Decoro e funzione repressiva dell’ambientalismo

di Cobol

Il riferimento al decoro assume sempre più peso e rilevanza nella comunicazione e nella definizione degli spazi urbani contemporanei, sommandosi ad altri operatori logistici come le zone rosse, i daspo, il design ostile (si veda anche la XVI ricognizione ufociclistica), che proceduralmente funzionano in maniera molto simile.
Questo tipo di operatori sostituiscono il “piano regolatore” con strumenti situazionali ed emergenziali.
Il decoro è un operatore logistico movimentatore, con funzione d’aggregazione, nonostante esso operi in maniera apparentemente (o preventivamente) centrifuga (ovvero come disgregatore e dissipatore). Questo perché è per lo più coppia con l’oggetto cuspide che ne costituisce l’esito e che, in maniera del tutto generale, si comporta come un aggregatore.
Ma procediamo con ordine.

Il decoro è ovviamente un precetto che esprime un preciso giudizio di valore.
Da atteggiamento mentale (un po’ odioso perché già solo come espressione si presenta in modo sibillino, fin troppo soggettivo) si traduce in concrete azioni di polizia, sorveglianza, rimozione, deportazione, traslazione, trasformando geometricamente lo spazio urbano e definendo in modo somatico il suo design atmosferico (l’atmosfera disegnata-imposta in un’UDA). Altri esempi di decoro sono: l’allontanamento dei volatili tramite psico-dissuasori (versi di predatori rapaci generalmente), il quadro svedese (ma in generale molti attrezzi ginnici), il decespugliatore (quelli a motore funzionano anche da fronte sonico urticante costituendo delle UDA armoniche ostili), la derattizzazione, la tavola da stiro (la coppia che istituisce col ferro elettrico), lo scrub, la depilazione, le pulizie domestiche, il salotto piccolo borghese eccetera. Anche alcune delle cosiddette sottoculture possono essere considerate esempi di decoro, nel loro circoscrivere, uniformare ed espellere.
Nella definizione del sostantivo si legge: “Dignità che nell’aspetto, nei modi, nell’agire, è conveniente alla condizione sociale di una persona o di una categoria” (da Treccani). Il decoro ha quindi immediatamente a che fare con l’uniformità del singolo o di un gruppo ad una categoria sociale (ma anche ad una classe sociale). La dignità, spesso elevata a condizione basilare dell’esistenza (la dignità dell’essere umano), diviene, attraverso la mediazione del decoro, un processo d’approssimazione coatto a un modello di parte, scambiato come referente universale.
La sua efficacia egemonica oggi diviene tanto più “indiscutibile” data la sua capacità d’infiltrarsi nella “retorica” dell’emergenza ambientale che attualmente stiamo vivendo. In questo senso, l’ambientalismo si sta trasformando sempre più in uno strumento virtuale di repressione (resosi disponibile alla repressione, tanto nella sua versione critica che negazionista). Non si tratta ovviamente di non cogliere l’urgenza e l’impellenza dello sguardo ambientalista, dell’approccio ecologico, ma di sottolineare immediatamente il loro possibile reimpiego e la loro messa a valore, se non aggiornati alla (se non schermati contro le) più attuali strategie di dominio.
Cosa è decoroso? Chi mai potrà dirlo con esattezza? Qualcosa forse che somiglia al pragmatismo della Critica del Giudizio kantiana: la “resa” della ratio illuministica.
Non sappiamo cosa sia il decoro, ma possiamo misurarne gli effetti e la portata. Questi si concretizzano in azioni pratiche come ad esempio l’allontanamento di soggetti non graditi da luoghi ritenuti peculiari, l’imposizione di comportamenti rivolti a fasce sociali che, pur non socialmente pericolose, tendono a essere livellate e uniformate (colpite) su atteggiamenti e comportamenti “voluttuari” (vestiario, atteggiamento corporale e posturale, espressioni gergali, prossemica, esternazione d’opinioni eccetera). Il decoro diviene quindi un movimentatore, in cui gli unici referenti materiali sono i soggetti deportati, allontanati (da luoghi e/o da se stessi – alienati) e gli spazi residecorosi“, generalmente asetticizzati, ad opera della proscrizione. Una traslazione di corpi, quindi, e l’impostazione di un color overlay atmosferico spesso virato sul rosso (le zone rosse) anche se non necessariamente.
Questa è la funzione primaria, centrifuga, del decoro.

Lo spostamento-allontanamento di biomasse da spazi selezionati per esperimenti di design atmosferico radicale, è solo il primo stadio del funzionamento del decoro. Come operatore esso lavora necessariamente in coppia con oggetti componenti lo spazio antropico che sono, per così dire, il suo bersaglio.
Una coppia tipica è allora quella decoro cuspide dato che a ogni traslazione corrisponde una nuova stratificazione. Detto in termini antropici: a ogni espulsione corrisponde la formazione o l’allargamento di una comunità fisica e psichica. Le cuspidi rappresentato proprio questo tipo di accumulazione di tratti materiali (corpi e oggetti) e di tratti psichici (stratificazioni di storie e memorie personali).
Una cuspide materiale, sedimentaria, è, ad esempio, una discarica informale (si veda anche L’UDA Torre Maura), mentre una “discarica psichica” è, sempre ad esempio, ben rappresentata da alcuni spazi che tendono a raccogliere e compattare l’emarginazione e il malessere psichico (si veda La cuspide preneste).
La cuspide è lo “ambito archeologico” in cui opera l’ufociclista intento a percepire l’atmosfera preponderante di un’UDA; ad accertarne il risultato finale coagulato nel design atmosferico (disciplina psicopolitica oggi fortemente virata sulla pratica dell’unpleasant design).
Il secondo stadio del decoro corrisponde allora alla creazione o alla espansione di una cuspide.
Questa è la funzione secondaria, centripeta, del decoro.
In questo senso, esso è un formidabile alimentatore di cuspidi, secondo quel principio d’espansione e di successiva aggregazione che interessa universalmente fenomeni fisici e fenomeni sociali.
La coppia decoro-cuspide è quindi paragonabile all’espansione di una supernova, alla creazione di un disco protoplanetario e, alla fine, alla concrezione dei planetesimi.

Prima di capire come eludere il decoro, quindi, poniamoci una domanda per cui abbiamo già elaborato una possibile risposta. Come si silenzia una cuspide?
Ovviamente silenziare una cuspide è una scelta situazionale. Le cuspidi sono inevitabili e anche, spesso, molto utili. Ma possono esistere molti motivi per cui potrebbe essere desiderabile toglierle di mezzo.
Del tutto spontaneamente il lavoro della nettezza urbana negli spazi antropici e un’attività di rimozione di cuspidi. Allo stesso modo gli sgomberi, la dispersione di assembramenti, l’articolo 655 del Codice penale, si pongono nella stessa categoria d’operatori “ecologici” anti-cuspide. In questi ultimi casi si realizza un fenomeno di ricorsione in cui il decoro che ha prodotto o alimentato la cuspide, interviene nuovamente per disgregarla. Qui s’evidenzia con forza e lucidità l’aspetto “illogico” di questo operatore: il suo essere uno strumento di pura rappresaglia e dominio al di là delle motivazioni propagandistiche con cui è argomentato e narrato.
Pare esistere un rapporto diretto tra rimozione delle cuspidi, efficienza della nettezza urbana, esercizio della repressione ed emersione di segmenti di autoritarismo. In maniera sintetica è quindi possibile rilevare l’esistenza di un rapporto di rendimento diretto tra decoro, perdita della memoria ed emersione di forme radicalmente disciplinari di governo (ad esempio il decreto sicurezza).
Se l’idea di una nettezza urbanamilitarizzata” può apparire paradossale, si pensi all’implementazione di strategie di controllo legate al servizio rifiuti (telecamere, codici identificativi eccetera), a come essa coopera con le polizie locali agli sgomberi abitativi e ai mercati rom, alle fortificazioni erette attorno alle isole ecologiche, alla psico-dissuasione e dissuasione fisica operata verso il recupero, sempre in favore dello smaltimento che alimenta il circuito di circolazione delle merci.
Man mano che il concetto di decoro assume vigore organizzativo e logistico, la nettezza urbana si trasforma sempre più in un meccanismo disciplinare, in un sotterraneo dispositivo paramilitare.
Ci pare ad esempio esemplificativo il fatto che mentre in più occasioni il corpo dei vigili del fuoco si è opposto al proprio impiego nelle vicende degli sgomberi, ciò non è mai avvenuto da parte della nettezza urbana (operatori ecologici) che come istituto, tra l’altro, avrebbe anche più margini di libertà rispetto al primo.
Gli organi di polizia sempre più organi di pulizia e viceversa.

Uno spazio senza cuspidi è in sostanza uno spazio senza memoria (a cui la memoria è stata strappata, in molti casi un’UDA traumatizzata, che distinguiamo dall’UDA contattistica anch’essa, ma per altri motivi, caratterizzata da assenza di una storia lineare).
La cuspide ha quindi un nemico “naturale” che si espande ricorsivamente: l’operatore decoro estirpa l’oggetto cuspide che è il prodotto dell’operatore decoro, e così via.
L’individuazione di un meccanismo ricorsivo siffatto può essere la prima spia di una “strategia della tensione”. In altri termini lo ha spiegato bene Paolo Di Vetta in occasione del suo intervento al Mars Beyond Mars IV. La procedura consiste nel mantenere in vita un certo tipo di criticità onde cronicizzarla, renderla strumento di propaganda contro un gruppo sociale-obiettivo (si veda ad esempio questo articolo impiegato come strumento di strategia della tensione).
Torniamo quindi alla domanda iniziale: come si silenzia il decoro?
Una possibile risposta-strategia è quella relativa al conflitto atmosferico del tipo 1 e più precisamente l’atmosfera come barricata rendendo “l’UDA non qualificabile, rifiutandosi consapevolmente di considerarsi una forma di capitale” (da UfoCiclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile).
Produrre degrado volontario (tattico) e “controllato” è una contro-strategia giacché il decoro interviene agilmente laddove il presidio “ossidante” territoriale è venuto meno, dove la speculazione d’ogni tipo trova terreno fertile e facilmente adattabile alla propria retorica perbenista. Sopratutto laddove, in sostanza, la riqualificazione è poco necessaria (o lo è solo di facciata) o la pagano gli altri (la collettività o, da qualche tempo, graffitari conniventi).
La costruzione di psico-dissuasori “fantoccio” (ufociclisticamente chiamati spaventapasseri) o di azioni disordinanti è necessaria onde dissuadere da pianificazioni territoriali a opera del capitale palazzinaro e da rapaci mire di riqualificazione speculativa. Esempi di spaventapasseri sono: il graffitismo brutto (ma brutto davvero), il non utilizzo dei cassonetti, l’opposizione all’apertura di esercizi alla moda (da parte dei residenti), gli schiamazzi randomici ma frequenti, le masse critiche di bambini che giocano all’aperto, il cibo disponibile per gli uccelli collocato sui terrazzi privati, l’opposizione alla disinfezione contro le zanzare, l’incentivo alla crescita d’erbacce (amandole e curandole – variante di guerrilla gardening), la comparsa sulle pagine dei giornali locali di annunci ambigui che lascino presagire loschi quanto generici “giri”, il parcheggiare malamente, l’accumulo di carcasse di biciclette, la preparazione di alimenti particolarmente maleodoranti con le finestre e con le porte aperte, la continua richiesta d’informazioni a esercenti locali su luoghi malfamati (inesistenti), il sopraggiungere di pseudo-giornalisti impegnati in pseudo-inchieste riguardo tragedie (inesistenti) consumatesi di recente nel quartiere, l’affissione di cartelli commemorativi di morti (inventati) deceduti a causa di malattie infettive una volte scomparse ma tornate alla ribalta con gli anti-Vax eccetera.

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Tutto ciò, beninteso, non è detto che basti. Anzi, per lo più si tratta di strategie soft di resistenza e di sperimentazione che dovrebbero ispirare e alimentare tecniche personalizzate e più efficaci.
Ancora più in generale, c’è bisogno d’avviare una riflessione e un esercizio critico nei confronti della nettezza urbana, delle sue metodologie, del suo strapotere.
C’è inoltre necessità di produrre un ripensamento generale sulle modalità e sugli ambiti pertinenti le lotte ambientaliste, prendendo atto di un ecosistema profondamente mutato e di un capitale attratto da nuove risorse (il cosiddetto Green ad esempio) e da nuovi territori: in altre parole, emancipare dalle battaglie prettamente resistenziali almeno una parte delle energie esistenti.

Un esempio quantitativo e qualitativo di stanziamento di uomini e mezzi per il decoro: operazione Alto Impatto.

Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione

Gli spazi antropici possono generare o farsi investire da atmosfere che, seppur prioritarie, sono sempre e solo quelle prevalenti, rispetto ad altre compresenti ma minoritarie se non addirittura triviali. Abbiamo definito tali spazi UDA, ovvero Unità D’Ambiance cercando di dar loro un perimetro, un limite, che ne delimiti l’influenza, onde cogliere lo scarto con altre UDA adiacenti.
L’idea che l’UDA sia qualcosa di non permeabile è comunque del tutto errata.
Da un punto di vista euristico non c’è differenza tra la percezione che si riceve e quella che si trasmette all’ambiente, dato che, in ultima analisi, l’elaboratore e il percettore di sensazioni coincidono: la pelle, la carne, con tutti i suoi differenziati organi sensori.
Tale dispositivo, o AI come suggerisce di definirlo l’Associazione Psicogeografica Romana (APR), non può che operare una distinzione convenzionale tra ciò che investe i propri sensi e ciò che i propri sensi hanno irradiato. Questo dato è inestricabilmente immanente e bisogna farci pace.

Un modo piuttosto rapido per descrivere il carattere delle UDA è quello di associare ad esse un codice colore. L’UfoCiclismo ha sviluppato una specifica tavola cromatica degli stati d’animo proprio per questo scopo, con la consapevolezza, però, che emozioni e colori sono associabili in via del tutto denotativa, quando invece la percezione atmosferica (relativa alle atmosfere) dovrebbe essere un’esperienza il più possibile sinestetica e connotativa. Dagli occhi, la percezione primaria andrebbe ricacciata giù nella gola, passando per l’udito e l’olfatto fino al tatto, e magari esperita sincronicamente con i cinque o anche più sensi (per coloro che hanno scoperto di possederne d’ausiliari).

Non è quindi un fatto strano che qualcuno abbia scelto di definire rosse le zone della proscrizione: zone rosse.
La definizione che ne da la ligia Wikipedia è la seguente: “Con la locuzione zona rossa si definisce un’area soggetta ad un alto rischio di carattere ambientale, sociale o d’altro genere. Può essere istituita temporaneamente o definitivamente e può essere interdetta al pubblico“.
Accettando quindi come socialmente condivisa l’associazione emotiva tra rosso e pericolo, e altresì accettando il carattere arbitrario della sua competenza perimetrale (la zona rossa è uno spazio visibilmente perimetrato e delimitato da transenne, guardie, telecamere eccetera), vale la pena tentare di darne una più esaustiva, e meno superficiale, interpretazione cartografica.

Una zona rossa è a tutti gli effetti un’UDA a cui qualcuno ha attribuito il gradiente atmosferico rosso. Riferendoci alla tavola cromatica degli stati d’animo il rosso è compreso nel cluster 1-4 a cui negli anni gli ufociclisti hanno assegnato collegialmente questi attributi: “Ambiance ricca, varia, densa, strutturata” (si veda anche l’Atlante ufociclista pag. 112).
In effetti un’ambiance con tali attributi può facilmente divenire materia del contendere, innescare appetiti, al pari di un giacimento minerario, di una risorsa idrica, di uno spazio balneare, di una sorgente sulfurea eccetera, su cui qualcuno ha messo gli occhi, con l’intento di sottrarla alla collettività, di farne uno spazio privato escludendone arbitrariamente l’accesso ad altri.
Ne consegue che una volta individuata atmosfericamente una zona rossa (prima che qualcuno ne rivendichi di prepotenza il possesso) su di essa va preventivamente effettuato del conflitto atmosferico (del tipo 1), “degradandola”, rendendola non più appetibile, trasformandola in una barricata: “… costruzione di barricate simboliche come immondizia, graffiti, tag, stencil ostili, intollerabili, osceni. Sarà il caso di lasciare i cumuli volutamente senza manutenzione di modo che si popolino di cinghiali, ratti, insetti e gabbiani (bisognerà però scongiurare il ritorno della peste bubbonica con controlli capillari). In questo senso bisognerà costruire un giacimento (cuspide) senza manutenzione: osceno, indecente e disturbante.” (si veda anche l’Atlante ufociclista pag. 117).
Questa tattica ricorda quella impiegata da quegli animalisti che macchiano il manto degli animali considerati da pelliccia.

Una UDA rossa già individuata e perimetrata è così costituita:

1) psico-dissuasori: sono gli elementi immediatamente percepibili dell’avvenuta occupazione-usurpazione di una zona rossa. Alcuni psico-dissuasori sono: le transenne, le guardie, la presenza di ritmi nella segnaletica dei divieti (che culmina nel groviglio dei sensi vietati), la presenza di aviomezzi ben visibili e rombanti, un intorno di turisti e curiosi facenti funzione di cuscinetto tra il perimetro vero e proprio e le UDA circostanti (gergalmente chiamata carne da cannone dato che in caso di repentina e imprevista espansione della zona rossa questi saranno i primi a esserne tragicamente investiti, un po’ come accadde a Pompei ed Ercolano).
Su un asse funzionale gli psico-dissuasori si oppongono alle affordance attrattive, ovvero a quelle spontanee pulsioni a oltrepassare i limiti imposti dai primi. Una tipica tattica di superamento degli psico-dissuasori è la massa critica. Ad esempio quando la massa critica dei ciclisti urbani intraprende un sottopasso (psico-dissuasore perché generalmente inteso dagli automobilisti come rush finale prima di un allucinatorio traguardo) questa urla, ulula, fischia il vento e la bufera, onde ricacciare indietro la funzione dissuasiva.

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Ancora tecniche contro gli psico-dissuasori: Santiago di Cile 18 ottobre 2019

2) tonal: ogni UDA (e così anche una zona rossa) contiene al proprio interno un tonal che ne mantiene in vita il gradiente atmosferico. L’individuazione dell’oggetto che più rappresenta l’atmosfera è quindi un’operazione preliminare dell’individuazione di qualsiasi Unità D’Ambiance. Nelle zone rosse la sua localizzazione dovrebbe essere particolarmente semplice, almeno in teoria, dato che tra le motivazione ufficiali dell’instaurazione di un tale spazio della proscrizione, generalmente viene indicato il cosiddetto “obiettivo sensibile” da proteggere: spesso si tratta del tonal. Per la medesima ragione, quindi, agire direttamente sul tonal, facendogli perdere attrattiva e forza (conflitto atmosferico del tipo 1) è non di rado impossibile.
Le occupazioni autogestite (l’occupazione di uno spazio) sono tattiche utilizzate, più o meno consapevolmente, per “tenere a bada” il potere attrattivo di un tonal, quando la zona rossa non sia stata già militarmente instaurata.
L’alternativa è costituita allora dal totem d’incongruenza, una struttura sempre presente qualora esista il tonal. Il totem è la funzione inversa di quest’ultimo e ne bilancia la tonalizzazione: la caratterizzazione. Generalmente esso coincide con l’oggetto, la situazione “naturalmente” fuori posto nell’UDA esaminata. Qualora accessibile il totem è la struttura su cui intervenire, potenziandola, per ridurre l’influenza del tonal e per “sbiadire” il rosso della zona. A differenza del conflitto atmosferico e dell’atmosfera come barricata, il potenziamento del totem d’incongruenza è un processo di mutazione molto meno rapido, anche molto meno traumatico, in cui, alla fine, la zona rossa cambierà colore al pari di un cambio di destinazione d’uso.
Quantunque invece non fosse possible incidere sul totem perché neutralizzato, la zona rossa sarebbe tale solo in modo impropriamente detto, dato che si tratterebbe, in realtà, di un’UDA drammaticamente traumatizzata, pauperizzata, deprivata, a cui è stata sottratta la vita. In questo caso l’UDA necessita di un intervento molto più radicale ammesso che essa, a quel punto, possieda ancora qualche attributo d’interesse per coloro che vorrebbero rivitalizzarla. Un’UDA “morta”, militarmente protetta e prescritta, è in gergo definita linea maginot.

3) varietà dimensionali (di tipo 1 o 2): si tratta di percorsi fortemente irregimentati, di varchi sorvegliati, di passaggi segreti inespugnabili eccetera, presenti nella zona rossa. Sono le vie d’accesso e di fuga da questo tipo di spazio, qualora esso sia stato già individuato, blindato e normato. Si può agire su di esse in modo da “tagliare i rifornimenti” allo spazio invaso, o da rendere difficile il transito verso questo (generando psico-dissuasori ad esempio). Individuare una varietà dimensionale di tipo 1 o 2 è semplice dato che al suo interno il ciclista si sente sopraffatto da un eterodiretto “dover-fare” o da un “non-poter-fare-altrimenti”.
Biciclette, monopattini, skate eccetera, ovvero mezzi autopropulsi e bidimensionali, sono gli unici a muoversi con destrezza e reversibilmente in queste tipologie di spazi.

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Un esempio di psico-dissuasore: i briques bloc utilizzati negli scontri a Honk Kong

4) occultatore: spesso, ma non sempre, le zone rosse estendono in apparenza la propria influenza attraverso occultatori come muri, ponti, sottopassi, portali, funi eccetera. Individuare la presenza di questi oggetti aiuta a comprendere con esattezza il perimetro dell’UDA e la sua conformazione.

5) cluster 33-38: qualora sia urbanisticamente possibile, bisognerebbe occuparsi di modellare tutte le UDA adiacenti la zona rossa con atmosfere di un colore compreso nel cluster 33-38 della tavola cromatica degli stati d’animo: “Ambiance deprivata, traumatizzata” (si veda anche l’Atlante ufociclista pag. 112). Questa tattica è comunemente definita far terra bruciata. Il contro-isolamento della zona rossa è un’operazione piuttosto complessa e di rado praticabile. Essa implica una massa critica di dimensioni straordinarie e molto tempo a disposizione: altrimenti detta rivolta.

Nel video qui sopra, il tentativo di ritonalizzare l’UDA di Champigny-sur-Marne, con l’uso di fiochi d’artificio contro il commissariato locale.

L’associazione rosso = pericolo è quindi solo l’esasperazione di uno degli stati d’animo possibili, di uno spazio che invece si presenta come ricco, vario, denso e strutturato. Che tale vivacità lo possa rendere anche relativamente “pericoloso”, riottoso, fuori controllo, è solo una delle possibili conseguenze.
E’ invece innegabile che esso si trasformi in assolutamente pericoloso, qualora sia il capitale e i suoi servitori a interessarsene: armandolo e recintandolo. Ma nessuna zona rossa sarà mai abbastanza sicura dato che come ovvia reazione essa produrrà, sempre nei proscritti, un’affordance attrattiva relativa.
Il conflitto cromatico è quindi prioritariamente un conflitto atmosferico in cui una delle parti impiega l’arma affilata della paura.

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