Rapporto redatto da Silvia.
Rimaneggiato da Cobol.
Appuntamento alle ore 14.00 al punto di raccolta dell’ameno parchetto di via Amendola, nella zona sud di Saronno. Il luogo è stato scelto dai compagni del collettivo Telos, che in tandem con gli ufociclisti hanno deciso di ridisegnare una porzione dello spazio cittadino, mediante ricognizione ufociclista. Ne scaturirà un rapporto-resoconto (questo e forse anche altri) che narrerà, ce lo auguriamo, qualcosa di inatteso sulla città. Inatteso dovrà essere rispetto alle narrazioni statiche e stantie che da sempre aleggiano e che con maniacale perseveranza tutti governatori della città si prodigano, con accanimento terapeutico, a mantenere in vita.
I ricognitori giungono al raduno con la loro bicicletta, noncuranti del primo vento gelido che spazza via le nuvole di questa giornata settembrina. Ha inizio una breve tornata di piccole riparazioni e di cure verso i propri e gli altrui mezzi di locomozione: si massaggiano i copertoni, si gonfiano le camere d’aria, si verifica lo stato della catena e delle sue maglie. Ovviamente, ci si fa anche un po’ i reciproci complimenti per le biciclette più “belle” e meglio manutenute.
Andrea, che evidentemente s’è confuso sul senso della cosa, si presenta in automobile. Può accadere. Deve aver pensato si trattasse di una deriva psicogeografica classica, in giro a piedi a bighellonare come nella Parigi di metà del secolo scorso. Poco male, torna a casa e velocemente recupera la sua due ruote, con cui si ricongiunge rapidamente al gruppo dei ricognitori.
Piccolo brief per fare il punto della situazione e predisporsi collegialmente a guardare Saronno (soprattutto per gli autoctoni) in un modo un po’ diverso. È Anella a comunicarci immediatamente che nel parchetto ha appena intravisto un viottolo che non aveva mai notato prima. Perfetto! Partiamo col piede giusto.


Ad un certo punto, come sempre forzando (solo poco) il corso degli eventi storici, e non dopo non aver atteso, si decide che siamo proprio tutti e che è ora di partire. Si seguirà una traccia di massima che si è concordata nei giorni precedenti, a distanza. Ma come di sovente avviene, si lascerà molto spazio all’improvvisazione, al richiamo degli attrattori, alle repulsioni dei dissuasori, lasciandosi liberamente orbitare attorno alle rotonde, qualora ne dovessimo intercettare una o più di una: una pedalata sensoriale, per ciclisti sensibili, insomma.
Cercheremo, in fondo, di registrare le varie atmosfere che incontreremo sul nostro cammino, provando così a restituire un’immagine della città come agglomerato di “stati d’animo”, urbanisticamente reificati, solidificati in strade, piazze, sottopassi e altri oggetti, tra loro in combutta o in conflitto. Ne scaturirà una mappa sensoriale e atmosferica di uno spazio inquieto, con pressioni emergenti e forze che ne contengono l’espansione, in nome di un presunto decoro (si veda anche: Decoro e funzione repressiva dell’ambientalismo) e di un immaginario status quo.
Si parte proprio dal quartiere Matteotti, che ingloba il parchetto del punto di raccolta. Rione storicamente popolare e popoloso, qui in passato, sorgevano fabbriche ormai dismesse di cui rimane, nella migliore delle ipotesi, uno scheletro di cemento, messo duramente alla prova dalla termodinamica e dall’erosione incessante degli agenti atmosferici ostili. Ma prima di incontrare le fabbriche di cui siamo a conoscenza intercettiamo, percorrendo via Torricelli, un’altra istituzione totale: un costrutto religioso, la chiesa di San Giuseppe Confessore, un edificio moderno, probabilmente risalente agli anni Settanta.
A guardarlo superficialmente, non si tratta d’altro che di un oggetto architettonico sul territorio, ma ufociclisticamente siamo interessati alla sua funzione posta in relazione (in struttura diciamo anche) con altri oggetti più o meno prossimi.
A guardarli quindi meglio, gli oggetti antropici hanno, sempre più funzioni, raramente meno di due:
1) una sedimentata (durevole);
2) una situata (mutabile a seconda degli oggetti con cui entra in relazione).
Nella sua forma sedimentata, la chiesa è sempre un esomediatore (si veda: Esomediatore Frascati) la cui “politica” verticista si oppone sempre all’autogestione orizzontale e autonoma dei rapporti tra biologie senzienti, ma al momento questa funzione è per noi trascurabile.
Ci si domanda invece se contestualmente, se come funzione relativa (situata), essa possa qui agire da tonal. Le chiese lo sono spesso, anche se in modalità vicaria di qualcosa d’altro (si veda: Ley line Tor Sapienza), in attesa che un tonal definitivo e stabilizzato emerga a supportare e promuovere un’atmosfera. Ciò fintantoché un altro tonal non gli sottragga la funzione, e via così discorrendo, periodicamente. Definiamo l’atmosfera retta da un tonal come UDA (Unità d’Ambiance) e quindi lo spazio urbano come un insieme variegato di UDA.
Siamo fermi davanti a San Giuseppe Confessore e l’idea che possa temporaneamente funzionare da tonal viene espressa indirettamente da più ricognitori, dato che l’apparato industriale un tempo tipico di questa zona (e che probabilmente ne determinava l’atmosfera oggi in dismissione) ha, con ogni probabilità, ceduto il posto all’esomediatore in questo arduo compito di catalizzatore di un’emozione ambientale.


Anella ci racconta che proprio dove è stata edificata la chiesa, un tempo c’era una delle tante fabbriche della zona, di cui però non ricorda la storia. Il fatto che una chiesa abbia soppiantato una fabbrica ci pare molto significativo e transitivamente ci ricorda il meccanismo di riscrittura che gli edifici cristiani hanno, nell’antichità, compiuto sul precedente culto mitraico. Una conferma generale sul ruolo tonale di questi edifici.
Individuato un possibile tonal ci viene da domandarci se sia agevole rintracciare anche il suo opposto territoriale, il totem d’incongruenza dell’UDA, che con il primo compartecipa, ma stavolta per sottrazione, alla corretta definizione dell’emozione ambientale.
Spostandoci solo di pochi metri ci imbattiamo in un enorme cratere (purtroppo non meteoritico) prodotto dall’eradicazione (quattro anni fa) di due palazzine popolari: l’ex complesso residenziale delle Farfalle sembra lì lasciato a monito di ciò che il quartiere è stato e che oggi non è più. L’allora governo della città aveva illuso gli abitanti degli stabili i quali avevano creduto nella promessa di una collocazione migliore. Invece, dopo l’esplosione delle palazzine (evento pubblico a cui hanno assistio centinaia di esultanti e incuriositi cittadini) non è rimasto altro che un immenso vuoto, mentre gli ex residenti vivono tuttora, come situazione eternamente provvisoria, collocati in palazzine vicine, liberi di mirare e rimirare (come in un girone dantesco) quell’orrido nulla che un tempo chiamavano casa.
Consiliarmente ci sentiamo di eleggere il cratere a totem, monito appunto, che mina la compattezza dell’atmosfera promossa dal tonal-esomediatore San Giuseppe Confessore. È un po’ come se il nuovo tonal volesse esporre come un trofeo il “corpo straziato” del nemico battuto. A tutti gli effetti, il nuovo tonal emerso con la spinta epocale della nuova classe sociale del general intellect, ha spazzato via, proprio come un meteorite, il vecchio tonal (e le sue propaggini), che rappresentava una classe (quella operaia) ormai divenuta fantasmatica, in un’alternanza da conflitto di classe, la cui “violenza” nell’eradicazione è stata tutt’altro che metaforica.

Registriamo quindi nell’interspazio tra l’esomediatore-tonal e il cratere-totem d’incongruenza, una prima zona di conflitto atmosferico del tipo 1, posizionata esattamente su via Torricelli.
Sulla mappa evidenziamo quindi le isobare tipiche dell’emissione di pressione atmosferica opposta per oggetti-funzione così importanti (le isobare del totem sono generalmente più deboli di quelle del tonal, pena la trasformazione radicale dell’atmosfera).

Ci attenderemo di rintracciare in questa zona d’interferenza delle anomalie (si veda: Ley line Tor Sapienza), ma lo spazio è a dir poco micrologico, una stretta via, e al più dovremmo ispezionarlo da provetti entomologi, onde scoprire comportamenti anomali e bizzarri tra gli insetti ivi residenti.
Ci pare poi francamente significativo, e forse affatto accidentale, che tale lotta tra pressioni atmosferiche avvenga proprio su via Torricelli!!! Che capolavoro!
Ci ridestiamo dalla sorpresa per questa eccezionale concomitanza di fatti e ci spostiamo ancora pochi metri. Incontriamo questa volta lo scheletro di una fabbrica, dimora oggi di gatti randagi che accettano di buon grado il cibo offerto da qualche signora o signore a loro affezionati. Anch’esso è lasciato a monito dell’atmosfera che fu, con funzione simile (anche se meno iconica e con meno capacità evocativa) del cratere da impatto torricelliano.



Qualora quindi qualcuno desiderasse mutare l’atmosfera di questo quartiere, potrebbe allearsi col totem d’incongruenza, potenziandolo. Ad esempio, organizzando feste, mercatini dell’usato, picnic, nel cratere. Si potrebbero ripristinare le funzioni alternative (non lavoriste) nelle fabbriche abbandonate, solo per fare degli esempi fin troppo ovvi.
L’ispezione del quartiere popolare Matteotti prosegue in direzione dei campetti di via Leonardo da Vinci. Decidiamo di raggiungerli passando per una stradina interna, parallela alla via principale. Il viottolo è curato e delimitato da panchine che si affacciano sul campetto da basket liberato. I compagni di Telos raccontano orgogliosamente di come, quest’estate, abbiamo ripristinato lo spazio, rimuovendo anni d’incuria e di entropia. Marcello racconta di come lo abbiano reso nuovamente fruibile a chiunque. C’è orgoglio nelle sue parole e negli sguardi degli altri compagni che hanno partecipato alla rinascita di un luogo oggi nuovamente restituito alla cittadinanza.
La stretta stradina che costeggia lo skate park e il campetto liberato (non ha un nome proprio ma lo deriva dalla parallela via Leonardo da Vinci), si presenta nella sua funzione di varietà dimensionale del tipo 2. Si tratta di uno spazio monodimensionale, spazialmente parlando, con una seconda dimensione accessoria (attorcigliata) che è quella atmosferica. Questa ha un carattere impositivo, un suo specifico “far-fare”. Le varietà dimensionali d’ordine inferiore esprimono questa funzione imperativa a chi l’attraversa: “procedi, non sostare, non occupare lo spazio di transito, accelera uniformemente nella direzione indicata”, lasciando a chi la percorre limitatissimi gradi di libertà entro cui immaginare repentini cambi di direzione e tragitti alternativi o ortogonali. Una volta imboccata, resta poco da fare se non percorrerla disciplinatamente nella direzione indicata dalla sua unica dimensione spaziale.


A questa funzione, rafforzata dalle opere murarie laterali che la trasformano in una sorta di budello, si contrappone l’improvvisa apertura laterale del campetto liberato (foto precedente), non a caso per lungo tempo narcotizzato mediante incuria nella sua funzione di potenziale tonal dell’UDA filiforme.
Tra la varietà dimensionale e il possibile tonal, si spalanca il micrologico spazio di conflitto atmosferico, che proprio come quello incontrato in precedenza, è troppo piccolo per essere agevolmente analizzato nelle dinamiche esistenziali che internamente innesca.

Dietro il campetto liberato s’innalza un’architettura in costruzione, che nei mesi a venire potrebbe anche minare l’esistenza e la funzione di questo coraggioso tonal. Vedremo, intanto la palazzina cresce e getta sguardi sempre più torvi all’indirizzo del campetto.

Usciamo dalla varietà dimensionale del tipo 2 immettendoci su via Varese, percorrendola fino a Viale San Josemaria Escrivá de Balaguer, dove ci attende un nuovo cratere da impatto. Questa volta a essere state abbattute non sono delle palazzine, ma un vecchio e immenso complesso di fabbriche. Al suo posto troviamo una desolante “assenza” dove, si dice, sorgerà l’ennesimo supermercato e una torre da venticinque piani. In tutto si tratterà di un complesso architettonico moderno, con alberghi e uffici, capace di occupare tanto spazio nella maniera meno razionale e più cementificatrice possibile. Il niente affatto condivisibile auspicio è che il borgo saronnese possa un giorno assurgere a costola integrata della megalopoli Milano. Insomma, un altro grande buco in attesa d’essere colmato di rampante neoliberismo. È a questo punto della storia che l’ufociclista Silvia, pur abitando in questa città da quando è nata, pensa per la prima volta in vita sua, che effettivamente Saronno somiglia proprio al Groviera!

Usciamo dall’ambizioso complesso e nuovamente su via Varese c’imbattiamo in una significativa piattaforma girevole. È Giacomo del collettivo Telos a farcela notare: una rotonda di medie dimensioni, con al centro l’immancabile praticello maniacalmente curato e, meno prevedibilmente, un gazebo in ferro che protegge una grande palla granitica, con su scritta la parola Saronno. Quanta surreale complessità! Sulla funzione della piattaforma girevole ci siamo già ampiamente soffermati (si vedano: Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli e Esomediatore Frascati). Eviteremo quindi divagazioni foriere di sbandate e smarrimenti. Ciò che qui conta è la sua collocazione, e quindi la sua specifica funzione, in relazione agli oggetti ad essa più prossimi.

Per comprendere la funzione, procediamo pedalando verso il prossimo oggetto significativo, un altro esomediatore: il Santuario della Beata Vergine dei Miracoli. La chiesa, che dà il benvenuto a chi entra nella città da nord ovest, è oggi circondata da un ampio sagrato, edificato forse con la recondita intenzione di farne una piazza. Al progetto, a parte la presenza di un’ampia seduta circolare che estroflette (proiettandoli come i raggi di una bici) tutti coloro che la utilizzano, manca scientemente l’apparato di seduta e di stazionamento vis a vis, proprio come ormai in uso in tutte quelle città che, coadiuvate dagli ultimi ritrovati nel campo dell’architettura ostile, e in nome del decoro, dichiarano guerra alle forme di socialità biologica (si veda: Come si ritonalizza una zona rossa – Sea Watch 3). Già, usiamo il generico concetto di biologia, perché a essere sempre più estromessi non sono solo gli umani, ma qualunque essere vivente.



Valutiamo quella del Santuario un’atmosfera altamente respingente. Gli elementi che ci spingono a questa conclusione sono molti:
1) la forma della piazza;
2) la disposizione a raggiera delle sedute;
3) il continuo via vai di automobili veloci sulla strada prospiciente la chiesa, che produce frastuono, immersi in cui, non è certo piacevole sostare.
Insomma, si tratta di un apparato centrifugo in tutti i sensi e per tutti i sensi. Nuovamente una molteplicità di funzioni:
1) sedimentata, quella dell’esomediatore;
2) situate quella del l’UDA armonica (si veda: UDA armoniche – Atto primo) e dello psico-dissuasore.
Sull’esomediatore abbiamo ben poco da dire oltre quanto scritto in precedenza e in altri rapporti. Possiamo aggiungere che al momento, al di fuori della chiesa si sono aggregate un po’ di persone in attesa dell’uscita dei novelli sposi, ovvero di due persone che si sono reciprocamente promesse eterna fedeltà al cospetto di un alieno e dei suoi vicari terrestri esomedianti.

Più interessante, invece, la funzione di psico-dissuasore, che dissuade dal vivere la piazza, producendo un effetto centrifugo (di cui abbiamo appena detto), ma potenziato quando messo in coppia con la funzione della piattaforma girevole (la rotonda armata di gazebo) poc’anzi incontrata. Anche la piattaforma girevole ha una funzione dissipatrice e sparpagliatrice dei flussi cittadini, ma decisamente meno vocazionalmente votata alla dissuasione, rispetto a uno psico-dissuasore, che ha invece un’esclusiva funzione “idrorepellente”.
Al contrario, la piattaforma girevole può essere, e spesso lo è, un elemento altamente rivitalizzante del tessuto cittadino, producendo inattesi disorientamenti e improvvise riconfigurazioni spaziali. Nel caso specifico, la vicinanza con lo psico-dissuasore rafforza la funzione sparpagliatrice e respingente che con la coppia si è generata.
Per quel che riguarda la UDA armonica, invece, possiamo considerare lo spazio della piazza come interessato da un’atmosfera molto compatta, prodotta dal rumore proveniente dalla trafficata strada adiacente. Nello specifico si tratta di un’UDA edificata dal frastuono che, a sua volta, rinforza la funzione centrifuga della piazza in questione. Potremmo definirne i contorni cromatici mediante Tavola cromatica degli stati d’animo, ma al momento non è il compito che ci siamo dati (si veda ad esempio: Ufociclismo a Omegna).
A proposito di psico-dissuasori, i componenti del collettivo Telos si accorgono di una presenza costante, visibile più o meno dal momento che ci siamo messi in marcia. Un’automobile grigia ci segue e si ferma ogniqualvolta la ricognizione si sofferma a ragionare sugli oggetti-funzione incontrati. Si tratta di una nota civetta della Digos che ci accompagna senza alcuna cautela nel celare la propria presenza. Si tiene a debita distanza, ma è costantemente presente.
Si tratta, allora, di un efficacissimo esempio di psico-dissuasore mobile, una sorta di zona rossa (si veda anche: Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione), semovente, che ovunque si sposta sovrascrive temporaneamente l’atmosfera sedimentata. Ci mettiamo l’anima in pace: siamo destinati ad avere la scorta e a sentire costantemente mutata l’emozione dei luoghi che attraverseremo.
Siamo nuovamente su via Varese, solo per pochi metri, prima di girare a destra immettendoci in viale Santuario della Madonna dei Miracoli, e poi subito in un coagulo di viuzze interne senza nome, ma indicate nella mappa qui sotto.

Raggiungiamo uno degli accessi al bellissimo sottopasso pedonale che attraversa lo spazio di servizio dedito al transito ferroviario.





Ora le constatazioni che ci sentiamo di fare sono le seguenti:
1) questo tipo di varchi possono essere delle scorciatoie o degli strappi, lo decideremo osservando accuratamente la mappa;
2) questo tipo di passaggi generalmente mettono in comunicazioni UDA di diverso tenore atmosferico, e per questa ragione sono molto importanti.
Transiti di questo tipo eludo il limite a cui i due bordi delle diverse UDA tendono (si veda anche: conflitto atmosferico dei tipo 1), producendo un passaggio con caratteristiche anaffettive, cioè deprivato dalla percezione sensoriale del cambio d’atmosfera.
Nello specifico, le due aree messe in comunicazione da questo transito (nella mappa successiva indicate coi colori rosso e verde) sono atmosfericamente tra loro irriducibili: un esomediatore repulsore, da una parte, e un parcheggio (piazza dei Mercanti che i saronnesi amano chiamare piazza Rossa, per via dell’acceso colore rosso delle mattonelle, che una volta lastricavano il pavimento), dall’altra.
Chiamata anche piazza Ribelle, la seconda UDA è separata dalla prima da una terza (lo spazio di transito ferroviario indicato in blu), caratterizzato a sua volta da un’atmosfera completamente diversa rispetto alle precedenti (a tutta prima potremo parlare di un’UDA alienata, ma per esserne sicuri dovremmo approfondire le sue caratteristiche spaziali).

Da definizione ci troviamo quindi in presenza di uno strappo, ovvero di un transito ciclopedonale capace, di comprimere i tempi di spostamento da un’UDA all’altra, modificando lo spazio in cui queste esistono e prendono forma.
Al momento del nostro arrivo la piazza, che normalmente funziona da parcheggio si è trasformata in un campo da cricket per un gruppo di giovani indiani e in uno da calcio per giovani nostrani. Essa è particolarmente interessante perché tecnicamente si tratta di un attrattore in cui l’aggregazione è del tutto spontanea, ovvero non risponde a pratiche d’ingegneria sociale protese a creare intermittenza tra inclusione ed esclusione. Qui si viene per stare assieme senza particolari instradamenti e senza l’ausilio dello sbrilluccichio delle vetrine e delle merci, a differenza di altri spazi di ritrovo “ufficiali”. La conformazione della piazza, inoltre, alterna ampi spazi aperti adatti a giochi di squadra e aree più appartate e intime adatte alla pratica dell’infrattologia (per un più corretto senso del concetto di infrattologia si guardi l’opera dell’Associazione Psicogeografica Romana – una definizione rigorosa è contenuta in Ufociclismo. Tecniche illustrare di cartografia rivoluzionaria).


I ricognitori ritengono collegialmente degno di nota questo suo alternarsi di funzioni.
Silvia propone uno spunto di riflessione su come la libera aggregazione praticata in questo luogo, sia testimoniata dalla presenza di graffiti, frutto di una lotta continua tra governo della città e writers locali. Anella le fa da contraltare sottolineando come la piazza raccolga solo una fetta della popolazione, quella più giovane. Mamme con bambini e anziani preferiscono la piazza centrale, prossima tappa della ricognizione.
Ci rimettiamo in cammino verso il centro della città e più precisamente in direzione di piazza Libertà, il cuore pulsante della parte più antica di Saronno.
Contornata da baretti e negozi merciologicamente piuttosto prevedibili, al momento dell’arrivo delle biciclette pullula di gente e di suoni. L’atmosfera ricorda un po’ quella domenicale. Alla fine di corso Italia, nuovamente un esomediatore, la parrocchia dei Santissimi Pietro e Paolo con funzione, quasi certamente, di tonal (stavolta stabile) di questa UDA storica.
Ci guardiamo attorno e scrutiamo il tipico paesaggio dei centri storici italiani, fatto di colori e architetture familiari. C’è anche lo psico-dissuasore mobile che ovviamente ci ha seguiti anche qui. Anzi la nostra presenza sembra interessare un po’ tutte le autorità locali stazionanti in questo spazio. Ci sentiamo insolitamente osservati. Soprassediamo e ci guardiamo attorno per intercettare visivamente un possibile totem d’incongruenza. Ma qui, appare tutto molto coerente senza divagazioni atmosferiche di alcun tipo. Nessuna struttura in particolare attira la nostra attenzione.
Emergono spontaneamente una serie di riflessioni su questo spazio così simbolico. Ci soffermiamo sul suo tramutarsi atmosfericamente a seconda delle ore del giorno e del periodo dell’anno. Emerge un’interessante ipotesi: il totem d’incongruenza potrebbe non essere una struttura immobile, quanto piuttosto una condizione ambientale recante in sé una specifica funzione. Questa piazza almeno d’inverno si svuota, infatti, non appena cala il sole, emanando una lugubre sensazione di solitudine. Discorriamo sul concetto di paura e sul significato di “spazio vuoto”. Se fosse quindi questa condizione a funzionare da totem? Se fosse una circostanza ambientale a funzionare da disgregatore di questa aggregazione garantita e un po’ coatta? Se fossero queste condizioni al contorno a minare le fragili certezze del tonal?
Negli ultimi anni, le politiche di degravitazione umana dagli spazi, il loro trasformare i luoghi in “corridoi” di mero transito, la psicosi giustizialista da decoro, hanno risucchiato nel vortice espulsivo anche i centri urbani, un tempo vissuti ventiquattrore su ventiquattro e oggi svuotatisi di biomassa, ridotti a contenitori a mezzo servizio di una popolazione confinata negli avamposti della conurbazione. Ci pare sia esattamente questa la condizione di piazza Libertà e del suo flebile tonal (ci verrebbe da dire: “non ci sono più i tonal di una volta”). Ipotesi molto stimolante e applicabile in maniera generica a tantissimi spazi antropici. Ufociclisticamente ci sforzeremo di trovare un nome-concetto per questa peculiare funzione.

Sono già passate un paio d’ore dalla partenza. Alcuni membri del gruppo mostrano i primi segni di cedimento psicofisico e di assideramento. Il repentino cambio di stagione ha scombussolato un po’ tutti, ma la maggior parte dei ricognitori resiste e continua con l’esplorazione.
Ci siamo immessi su via Roma, nuovamente in direzione della periferia saronnese. Qui si respira un’aria diversa e una diversa emozione. Questa parte di città è sicuramente meno affollata e più silenziosa. Le case sono prettamente villette borghesi con giardini curati ospitanti costose automobili.
Incontriamo una piccola piattaforma girevole e Marcello, che in quel momento guida il gruppo, inizia spontaneamente a orbitarci attorno… pochi altri ricognitori lo seguono, mentre altri lo osservano incuriositi. Si tratta di una pratica nota alla massa critica che serve proprio per esorcizzare e a volte neutralizzare la vorticosa forza disgregatrice delle piattaforme girevoli (si veda: Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli).
Ben presto, l’attenzione dei ricognitori cade su un pezzo di strada che, brutalmente, impatta con l’antica ferrovia abbandonata, quella che collegava Saronno al limitrofo paese di Solaro. È interessante notare come i binari morti siano rimasti incastonati in terra delimitando con decisione una tagliata tra due file di case. Tutto ciò rafforza ancor di più la funzione di varietà dimensionale del tipo 2 del tratto di strada ferrata (si veda anche La varietà dimensionale 2 – Capranica-Civitavecchia).

Qui a differenza dell’opposizione varietà dimensionale/campetto liberato, nulla sembra contrapporsi allo strapotere della dimensione imperativa di questo canyon artificiale. Lo scorcio è comunque davvero suggestivo e costituisce anche una sorta di attrattore che ci piacerebbe seguire perdendoci nell’ambiguità esistenziale di un tratto ferroviario fantasma. I compagni del Telos assecondano il desiderio espresso dagli ufociclisti invitandoci a proseguire, onde re-intercettare la ferrovia in un punto ancora più caratteristico, ci dicono.
Prima di raggiungerlo, si attraversa il complesso delle case popolari dell’Aquilone.


Fronteggiati da un parco, questi palazzoni ospitano persone di etnie e di strati sociali molto diversi: un vero e proprio pot-pourri.
Si dice che l’Aquilone rappresenti un coacervo di culture, colori e odori diversi. Nei suoi cortili le donne e i bambini si incontrano per chiacchierare e giocare, o più semplicemente per passare del tempo assieme, come si soleva fare una volta. Un po’ aulicamente si dice che all’Aquilone regna la pace. Ma a prima vista, questi enormi palazzoni grigi, fatti costruire qualche decennio or sono dall’imprenditore Berlusconi, producono una sensazione nettamente in contrasto con quanto appena sostenuto. Altri osservatori, più cinici, traducono l’idillio sopra descritto sostenendo che il decantato incontro di culture si risolve speso nel campestre frastuono di rumorosi grigliatori sudamericani che, di tanto in tanto, nel parco adiacente, condividono musica, calorosità e vivande con coloro che hanno voglia di socializzare. Altro non ci è dato sapere, se non comportandosi come novelli antropologi impegnati in una seduta di osservazione partecipante. Comunque sia, Cobol i palazzoni li trova belli, mentre Silvia ne percepisce l’orridume. I due si scambiano un po’ di disincantate visioni del mondo in fatto di architetture periferiche, ma alla fine ognuno rimane fermo sulla propria visione estetica.
Stiamo nuovamente incrociando la ferrovia dismessa, la varietà dimensionale. Abbiamo radicalmente mutato prospettiva, giacché i binari che inseguiamo scorrono ora su un terrapieno reso, nel punto in cui ci troviamo, discontinuo dalla presenza di un antico sottopasso, o ponticello, che in passato è stato al centro di animate polemiche. Alcuni saronnesi lo vorrebbero vedere morto per via del fatto che le sue dimensioni inibiscono il passaggio di grosse cilindrate. I “puristi archeologici” invece lo amano per via di quell’aria un po’ retrò. Evidentemente, almeno per il momento, il partito di quest’ultimi ha avuto la meglio.

Per noi la sua funzione è di separatore (si veda anche: Separatore Torre Spaccata), dato che inscena l’interruzione di compattezza dell’atmosfera dell’UDA. Lo si attraversa e si ha la sensazione di essere transitati in un’atmosfera diversa, una sorta di portale “stargate”, mentre in realtà l’emozione da un capo all’altro è esattamente la stessa.
Il parallelismo col primo Stargate (il film) è molto calzante: un complicato tunnel spaziotempo, solo per poi ritrovarsi di nuovo in una sorta di antico Egitto (la trama del film). Sì, il separatore può essere un oggetto deludente proprio come uno stargate. Tuttavia, diviene un elemento centrale qualora lo si inserisca all’interno di un più ampio e dettagliato studio di una UDA.
Subito dopo ne incontriamo un altro, più suggestivo:

I ricognitori lo attraversano anche qui non percependo alcun cambio d’atmosfera. Uno di loro, un’anima pia, è salito sul terrapieno e ripristina un lenzuolo con un messaggio d’amore. Il vento lo aveva ribaltato e quindi occultato. Per questo forse un amore era finito.

Decidiamo collegialmente di salire per goderci l’ultimo tratto di varietà dimensionale. Si abbandonano le bici in modo da inerpicarsi su per il terrapieno e camminare a contatto col ferro dei binari. Le biciclette restano al livello sottostante sorvegliate da Anella. A farle compagnia, c’è lo psico-dissuasore mobile che ha parcheggiato a una ventina di metri. E ci scruta. Forse dentro.
Qui la varietà dimensionale della ferrovia, se possibile, si declassa dal tipo 2 al tipo 1, sottraendo ancor più spazio a manovre non previste, col suo fare imperativo: “procedi! Non retrocedere! Mai!”.


Ai lati della strada ferrata ci sono solo dirupi scoscesi che non consento nessuna agevole manovra fisica o mentale che sia, se non rischiando ruzzoloni o tracolli psichici. Qui anche i pensieri sembrano compressi entro un lungo tubo da cui si fatica a venir fuori.
La bellezza del luogo fa da contraltare alla tipica sensazione che eziologicamente chiamiamo di claustrofobia da varietà dimensionale. Abbiamo la sensazione di essere contenuti nella materializzazione del concetto di “ineluttabile destino”. Ecco, se il destino fosse ineluttabile, sarebbe proprio come questo pezzo di ferrovia dismessa. Una varietà dimensionale di ordine inferiore come questa è un ottimo luogo in cui ragionare sul significato di “libero arbitrio”. Qualcuno dovrebbe organizzarci un dibattito. Ecco; si dice che forse il suo destino sarà quello di pista ciclabile: da una varietà dimensionale all’altra. Dalla padella alla brace. Una scelta alternativa potrebbe essere invece quella di spazio onomatopeico per ragionamenti sul destino, l’arbitrio e sinonimi dei due. Un corridoio convegni capace di penetrare fisicamente la concettualità esplorata. Di ciclabili invece ne abbiamo le scatole piene! La strada è di tutti e per le bici non vogliamo i vostri rachitici ghetti! Non ci chiuderemo volontariamente in una varietà dimensionale d’ordine inferiore! Nonostante per alcuni ciclisti urbani l’unica cosa di conto sembrano essere ciclabili e rastrelliere. Che povertà di spirito…
Comunque sia, ora regna un roboante silenzio e il tratto che percorriamo a piedi ha un sapore indefinibile: sospeso. A tratti è romantico, giacché, seppur abbandonati, i binari narrano ancora di storie di viaggi lontani nel tempo. Prevale tuttavia un senso denso di desolazione, scaturito dalla vista di quei binari tanto fragili e implacabilmente destinati a finire nel vuoto. Ma prima del salto nel vuoto, alla nostra destra si apre la vista di un bellissimo parchetto che possiamo osservare da posizione sopraelevata.

Sembra chiuso su tutti i lati da vegetazione molto ben curata (forse troppo), mostrandosi, quindi, come spazio apparentemente inaccessibile, chiuso da un lato da alberi fitti e dall’altro dal terrapieno ferroviario su cui ci troviamo. A guardarlo così è possibile immaginare, al suo interno, lo sviluppo di specie animali e vegetali autoctone assolutamente originali. Si tratta sicuramente di un’illusione prospettica, ma ce la godiamo dato che ci ricorda il bel gan eden incontrato in una ricognizione nel quadrante sud-est di Roma (si veda: Intersezione Togliatti).
Siamo dentro al nostro Viaggio al centro della Terra, vecchia pellicola che narra di un mondo all’interno del mondo, popolato da animali, da piante e da atmosfere sopravvissute alla fine delle ere preistoriche.
A fianco al parchetto-ganeden s’innalza una struttura ufomorfica che immortaliamo nella sua prepotente ostentazione. Si tratta ovviamente di una navicella aliena intenta ad atterrare nel gan eden (e dove altrimenti?): una scena che tanto piacerebbe a Mauro Biglino, su cui potrebbe sciorinare decenni di video per i suoi accoliti complottisti.

Registriamo fotograficamente e su mappa questa struttura come significativa perché da sempre attratti dalle conformazioni ufomorfiche che, più o meno consapevolmente, invadono le città, offrendo prospettive di fuga immaginifiche.
Giungiamo rapidamente al limite della ferrovia fantasma e con lei della varietà dimensionale del tipo 1. Una varietà dimensionale di grado così basso non poteva che terminare in modo così grossolano, brusco e irragionevole: una fine senza compromessi, “senza se e senza ma”. Oltre, qui, proprio non si procede: c’è un complesso di pali e inferiate a impedircelo. Ma soprattutto c’è un differenziale di altitudine difficilmente colmabile con un salto umano. Siamo in presenza di una funzione occultatore (si veda anche: Separatore Torre Spaccata).


Lo slancio sul vuoto lascia intendere una continuità dell’atmosfera di questa UDA, mentre in realtà al di là del limite si apre tutta una zona caratterizzata da un’atmosfera completamente diversa. L’occultatore è un po’ il “voler-essere” dello stargate, e non a caso funzioni come l’occultatore e il separatore hanno definizioni simili, ma contrarie.
Torniamo rapidamente a recuperare Anella e con lei le biciclette. Lo psico-dissuasore mobile non se l’è portata via.

Percorriamo alcune stradine strette nei dintorni del ponticello fino a giungere all’imbocco con via Milano. Qui accade qualcosa di abbastanza insolito, un inatteso sbalzo termico, segno tangibile e pervicacemente sensoriale di un radicale cambio d’atmosfera, tanto termico che psico-emotivo: un piccolo shock. Anche se la giornata è già di per sé piuttosto fredda, come ci si addentra per via Milano, si percepisce una drastica diminuzione della temperatura. La via caratterizzata da un sottopasso stradale costeggia da un lato una zona ex industriale in abbandono, completamente riassorbita dalla vegetazione, e dall’altra il cimitero cittadino. Ci fermiamo alle porte di quest’ultimo

Dal punto di vista della funzione, si tratta di una cuspide (si veda: Cuspide via Prenestina), uno stratificatore storico e archeologico che racconta, se analizzato con tecniche stratografiche, sempre qualcosa della città. Da questo punto di vista, i cimiteri sono accomunabili alle discariche (fatti i debiti distinguo), alle rampe dei parcheggi e a tutti quei luoghi in cui spontaneamente si accentrano e si accumulano i residui e gli scarti del vivere quotidiano.
Dalla parte opposta al cimitero, dentro l’area dismessa dovrebbe sorgere un campus universitario, ma al momento ivi si è sviluppato un bosco dove, si dice, abbiano dimora forme di vita aliene e volpiformi: forse anche questo un jurassic park o un gan eden. Ma su questa specifica area le sorprese non mancano e gli dedicheremo un supplemento a parte.
Ora raggiungiamo gli edifici d’ingresso a questa area, collocati all’incrocio tra via Milano e via Varese. Qui, fino a qualche anno fa, c’era lo spazio occupato Telos liberato dall’omonimo collettivo. Oggi lo spazio è disoccupato e completamente cementato onde impedire l’accesso (con ogni mezzo necessario) a curiosi e intraprendenti esploratori. La facciata cementata, con porte e finestre riassorbite dai muri, al modo di cicatrici, costituiscono un totem d’incongruenza (funzione situata) in questa zona spopolata di cui però al momento non siamo in grado di identificare, con nostra grande frustrazione, il reciproco tonal.


Siamo anche alla fine della ricognizione. Qui la mappa intera ingrandita.




1 punto di raccolta parchetto;
2 esomediatore San Giuseppe Confessore;
3 totem d’incongruenza cratere torricelliano;
4 generica propaggine del totem fabbrica dismessa;
5 varietà dimensionale stradina, tonal in potenza campetto liberato, conflitto atmosferico;
6 altro cratere d’impatto neo liberista;
7 piattaforma girevole rotonda surrealista;
8 UDA armonica, psico-dissuasore, esomediatore Santuario della Beata Vergine dei Miracoli;
9 strappo sottopasso ciclopedonale;
10 attrattore piazza Ribelle;
11 esomediatore, (tonal) Santissimi Pietro e Paolo;
12 varietà dimensionale ex ferrovia Saronno-Solaro;
13 case popolari l’Aquilone;
14 separatore ponticello 2;
15 gan eden parchetto;
16 struttura ufomorfica;
17 occultatore fine varietà dimensionale;
18 cuspide cimitero cittadino;
19 UDA contattistica zona ex Telos (che tratteremo tra poco);
20 Totem d’incongruenza ex Telos – fine ricognizione
SUPPLEMENTO
La teoria (critica) ufociclista dello spazio, tra le altre cose divide gli oggetti urbani in funzioni e apparati. Finora abbiamo incontrato tutte funzioni: dissuadere, attrarre, scompigliare, “far-fare”, occultare e così via altre cose.
L’oggetto che andremo ora a descrivere è un po’ più complesso, un vero e proprio apparato. Come tale esso è un aggregatore di più funzioni (una macro, potremmo dire) che da vita a un oggetto articolato dal funzionamento dinamico.
Partiamo dall’osservazione della mappa, proprio nel punto di fine della ricognizione, laddove un tempo c’era lo spazio occupato Telos.

È facile notare che l’edificio in questione si trova al centro di due direttrici costituite da via Varese e via Milano. Lasciamo stare le vie in quanto tali, per il momento. Ora concentriamoci sull’ex Telos. Dal punto di vista delle funzioni esso è stabilmente un omphalos.
L’omphalos è sempre definito dal suo rapporto con due oggetti immateriali detti ley line.
Le ley line sono linee rette (geodetiche per la precisione) definite almeno dall’allineamento di tre punti (segnalatori) significativi nello spazio. Allora:
ley line 1: totem (ex Telos) + cuspide (cimitero) + esomediatore (parrocchia dei Santissimi Pietro e Paolo).
Ley line 2: totem (ex Telos) + piattaforma girevole (rotonda con gazebo) + esomediatore (Santuario della Beata Vergine dei Miracoli):

L’ex Telos è presente in entrambe le ley line come funzione situata (totem) e come funzione sedimentata (omphalos).
Le ley line di per sé sono oggetti molto interessanti per via della congiunzione spontanea che disegnano e che designa una sorta di linea pregna di senso, nel tessuto urbano.
Un tempo le ley line erano interpretate anche come “linee magiche” per via del significato pratico e/o rituale che rivestivano.
Quando due ley line hanno base comune (omphalos), cioè si originano da un medesimo punto, danno vita a quello che ufociclisticamente si definisce sottospazio o span. Il sottospazio, a sua volta, è il campo di generazione di una terza ley line (risultante), che è il prodotto vettoriale delle due precedenti e che serve a definire l’ampiezza dello span stesso oltre che la direzione e il verso della ley line risultante. Nella mappa successiva è mostrato come ottenere lo span da due ley line convergenti mediante regola del parallelogramma, ovvero doppiando e ribaltando le ley line così da ottenere un parallelepipedo.



Ora, uno degli obbiettivi che l’ufociclismo si propone mentre esplora lo spazio antropico, è quello della ricerca di UDA contattistiche, ovvero di quegli spazi che per loro natura offrono le migliori condizioni per il contatto tra umani terrestri e umani e (eventuali) visitatori provenienti da spazi extraatmosferici.
L’estensione di alleanze con forme di vita poste nell’extraatmosfericità è sempre stata una priorità, e lo ancor più oggi che il neoliberismo inaugura una nuova era di conquiste territoriali al di fuori della biosfera (capitalismo multiplanetario e space economy).
Le UDA contattistiche sono virtualmente spazi totalmente inclusivi, ma spesso sono anche posti “misteriosi” e decisamente pericolosi. Il contatto è auspicabile ma mai scevro da rischi, dato che le sue giuste modalità a volte restano opache.
Qui (pdf: da “Ley line come linee energetiche” in poi) per chi fosse interessato alla procedura per comprendere se uno span e anche un’UDA contattistica e che, in sintesi, dipende dall’orientamento della terza ley line generata.


Ci pare molto significativo che l’ex Telos sia sorto proprio sull’omphalos di una UDA potenzialmente contattistica (ora capiremo se lo è davvero). Significativo, ma non sorprendente, dato che la vocazione di uno spazio liberato è proprio il suo essere restituito all’inclusività del territorio che occupa.
Lo span dell’ex Telos è molto ampio e la superficie utile alla ricerca dell’UDA contattistica vera e propria andrebbe meglio discriminata affidandosi anche ad una più accurata conoscenza del luogo e a una sua eplorazione in loco, cosa che al momento pare non possibile.
Prioritario è sottolineare questa concomitanza di funzioni sedimentate e di trasformazione dei luoghi in base a una qualche forma di vocazione territoriale. Ci sembra molto bello immaginare le potenzialità d’autonomo sviluppo ambientali in un’UDA contattistica. Cosa starà accadendo in questo momento nell’ex Telos? Quali forme di convivenza spontanea si staranno sviluppando?
Cosa ci dice la ley line risultante secondo la teoria ufociclista? Un oggetto volante che si muovesse nella direzione e nel verso del nostro vettore (da sud verso nord), guidato dal differenziale d’intensità dell’attrazione terrestre, procederebbe perdendo potenziale gravitazionale, ovvero diminuendo velocità, così da manifestare un’intenzione positiva al contatto. A tutti gli effetti, quindi, lo span dell’ex Telos è un’UDA contattistica.
Il suo futuro è invece piuttosto torbido. Le vocazioni possono essere facilmente ricoperte da colate di cemento e sepolte sotto l’urgenza di interessi più cogenti, ma in fondo tali rimangono per, prima o poi, riemergere.
