UDA contattistica a Saronno – 26/9/2020

Rapporto redatto da Silvia.
Rimaneggiato da Cobol.

Appuntamento alle ore 14.00 al punto di raccolta dell’ameno parchetto di via Amendola, nella zona sud di Saronno. Il luogo è stato scelto dai compagni del collettivo Telos, che in tandem con gli ufociclisti hanno deciso di ridisegnare una porzione dello spazio cittadino, mediante ricognizione ufociclista. Ne scaturirà un rapporto-resoconto (questo e forse anche altri) che narrerà, ce lo auguriamo, qualcosa di inatteso sulla città. Inatteso dovrà essere rispetto alle narrazioni statiche e stantie che da sempre aleggiano e che con maniacale perseveranza tutti governatori della città si prodigano, con accanimento terapeutico, a mantenere in vita.
I ricognitori giungono al raduno con la loro bicicletta, noncuranti del primo vento gelido che spazza via le nuvole di questa giornata settembrina. Ha inizio una breve tornata di piccole riparazioni e di cure verso i propri e gli altrui mezzi di locomozione: si massaggiano i copertoni, si gonfiano le camere d’aria, si verifica lo stato della catena e delle sue maglie. Ovviamente, ci si fa anche un po’ i reciproci complimenti per le biciclette più “belle” e meglio manutenute.
Andrea, che evidentemente s’è confuso sul senso della cosa, si presenta in automobile. Può accadere. Deve aver pensato si trattasse di una deriva psicogeografica classica, in giro a piedi a bighellonare come nella Parigi di metà del secolo scorso. Poco male, torna a casa e velocemente recupera la sua due ruote, con cui si ricongiunge rapidamente al gruppo dei ricognitori.
Piccolo brief per fare il punto della situazione e predisporsi collegialmente a guardare Saronno (soprattutto per gli autoctoni) in un modo un po’ diverso. È Anella a comunicarci immediatamente che nel parchetto ha appena intravisto un viottolo che non aveva mai notato prima. Perfetto! Partiamo col piede giusto. 

Ricognitori nel punto di raccolta in attesa di eventuali ritardatari
Il punto di raccolta sulla mappa parziale. È visibile il vialetto appena scoperto

Ad un certo punto, come sempre forzando (solo poco) il corso degli eventi storici, e non dopo non aver atteso, si decide che siamo proprio tutti e che è ora di partire. Si seguirà una traccia di massima che si è concordata nei giorni precedenti, a distanza. Ma come di sovente avviene, si lascerà molto spazio all’improvvisazione, al richiamo degli attrattori, alle repulsioni dei dissuasori, lasciandosi liberamente orbitare attorno alle rotonde, qualora ne dovessimo intercettare una o più di una: una pedalata sensoriale, per ciclisti sensibili, insomma.
Cercheremo, in fondo, di registrare le varie atmosfere che incontreremo sul nostro cammino, provando così a restituire un’immagine della città come agglomerato di “stati d’animo”, urbanisticamente reificati, solidificati in strade, piazze, sottopassi e altri oggetti, tra loro in combutta o in conflitto. Ne scaturirà una mappa sensoriale e atmosferica di uno spazio inquieto, con pressioni emergenti e forze che ne contengono l’espansione, in nome di un presunto decoro (si veda anche: Decoro e funzione repressiva dell’ambientalismo) e di un immaginario status quo.   
Si parte proprio dal quartiere Matteotti, che ingloba il parchetto del punto di raccolta. Rione storicamente popolare e popoloso, qui in passato, sorgevano fabbriche ormai dismesse di cui rimane, nella migliore delle ipotesi, uno scheletro di cemento, messo duramente alla prova dalla termodinamica e dall’erosione incessante degli agenti atmosferici ostili. Ma prima di incontrare le fabbriche di cui siamo a conoscenza intercettiamo, percorrendo via Torricelli, un’altra istituzione totale: un costrutto religioso, la chiesa di San Giuseppe Confessore, un edificio moderno, probabilmente risalente agli anni Settanta.
A guardarlo superficialmente, non si tratta d’altro che di un oggetto architettonico sul territorio, ma ufociclisticamente siamo interessati alla sua funzione posta in relazione (in struttura diciamo anche) con altri oggetti più o meno prossimi.
A guardarli quindi meglio, gli oggetti antropici hanno, sempre più funzioni, raramente meno di due:
1) una sedimentata (durevole);
2) una situata (mutabile a seconda degli oggetti con cui entra in relazione).
Nella sua forma sedimentata, la chiesa è sempre un esomediatore (si veda: Esomediatore Frascati) la cui “politica” verticista si oppone sempre all’autogestione orizzontale e autonoma dei rapporti tra biologie senzienti, ma al momento questa funzione è per noi trascurabile.
Ci si domanda invece se contestualmente, se come funzione relativa (situata), essa possa qui agire da tonal. Le chiese lo sono spesso, anche se in modalità vicaria di qualcosa d’altro (si veda: Ley line Tor Sapienza), in attesa che un tonal definitivo e stabilizzato emerga a supportare e promuovere un’atmosfera. Ciò fintantoché un altro tonal non gli sottragga la funzione, e via così discorrendo, periodicamente. Definiamo l’atmosfera retta da un tonal come UDA (Unità d’Ambiance) e quindi lo spazio urbano come un insieme variegato di UDA.
Siamo fermi davanti a San Giuseppe Confessore e l’idea che possa temporaneamente funzionare da tonal viene espressa indirettamente da più ricognitori, dato che l’apparato industriale un tempo tipico di questa zona (e che probabilmente ne determinava l’atmosfera oggi in dismissione) ha, con ogni probabilità, ceduto il posto all’esomediatore in questo arduo compito di catalizzatore di un’emozione ambientale.    

Ricognitori analizzano le fattezze di un esomediatore
L’esomediatore San Giuseppe Confessore

Anella ci racconta che proprio dove è stata edificata la chiesa, un tempo c’era una delle tante fabbriche della zona, di cui però non ricorda la storia. Il fatto che una chiesa abbia soppiantato una fabbrica ci pare molto significativo e transitivamente ci ricorda il meccanismo di riscrittura che gli edifici cristiani hanno, nell’antichità, compiuto sul precedente culto mitraico. Una conferma generale sul ruolo tonale di questi edifici.
Individuato un possibile tonal ci viene da domandarci se sia agevole rintracciare anche il suo opposto territoriale, il totem d’incongruenza dell’UDA, che con il primo compartecipa, ma stavolta per sottrazione, alla corretta definizione dell’emozione ambientale.
Spostandoci solo di pochi metri ci imbattiamo in un enorme cratere (purtroppo non meteoritico) prodotto dall’eradicazione (quattro anni fa) di due palazzine popolari: l’ex complesso residenziale delle Farfalle sembra lì lasciato a monito di ciò che il quartiere è stato e che oggi non è più. L’allora governo della città aveva illuso gli abitanti degli stabili i quali avevano creduto nella promessa di una collocazione migliore. Invece, dopo l’esplosione delle palazzine (evento pubblico a cui hanno assistio centinaia di esultanti e incuriositi cittadini) non è rimasto altro che un immenso vuoto, mentre gli ex residenti vivono tuttora, come situazione eternamente provvisoria, collocati in palazzine vicine, liberi di mirare e rimirare (come in un girone dantesco) quell’orrido nulla che un tempo chiamavano casa.
Consiliarmente ci sentiamo di eleggere il cratere a totem, monito appunto, che mina la compattezza dell’atmosfera promossa dal tonal-esomediatore San Giuseppe Confessore. È un po’ come se il nuovo tonal volesse esporre come un trofeo il “corpo straziato” del nemico battuto. A tutti gli effetti, il nuovo tonal emerso con la spinta epocale della nuova classe sociale del general intellect, ha spazzato via, proprio come un meteorite, il vecchio tonal (e le sue propaggini), che rappresentava una classe (quella operaia) ormai divenuta fantasmatica, in un’alternanza da conflitto di classe, la cui “violenza” nell’eradicazione è stata tutt’altro che metaforica.

Il cratere da impatto

Registriamo quindi nell’interspazio tra l’esomediatore-tonal e il cratere-totem d’incongruenza, una prima zona di conflitto atmosferico del tipo 1, posizionata esattamente su via Torricelli.
Sulla mappa evidenziamo quindi le isobare tipiche dell’emissione di pressione atmosferica opposta per oggetti-funzione così importanti (le isobare del totem sono generalmente più deboli di quelle del tonal, pena la trasformazione radicale dell’atmosfera).

Sono visibili le isobare in opposizione del tonal (in alto a destra) e del totem (in basso a destra), su via Torricelli

Ci attenderemo di rintracciare in questa zona d’interferenza delle anomalie (si veda: Ley line Tor Sapienza), ma lo spazio è a dir poco micrologico, una stretta via, e al più dovremmo ispezionarlo da provetti entomologi, onde scoprire comportamenti anomali e bizzarri tra gli insetti ivi residenti.   
Ci pare poi francamente significativo, e forse affatto accidentale, che tale lotta tra pressioni atmosferiche avvenga proprio su via Torricelli!!! Che capolavoro!  
Ci ridestiamo dalla sorpresa per questa eccezionale concomitanza di fatti e ci spostiamo ancora pochi metri. Incontriamo questa volta lo scheletro di una fabbrica, dimora oggi di gatti randagi che accettano di buon grado il cibo offerto da qualche signora o signore a loro affezionati. Anch’esso è lasciato a monito dell’atmosfera che fu, con funzione simile (anche se meno iconica e con meno capacità evocativa) del cratere da impatto torricelliano.

Scheletro di fabbrica su via Balasso
Sempre via Balasso, vista in profondità
Momento consiliare dinanzi al cratere prodotto dall’impatto col general intellect

Qualora quindi qualcuno desiderasse mutare l’atmosfera di questo quartiere, potrebbe allearsi col totem d’incongruenza, potenziandolo. Ad esempio, organizzando feste, mercatini dell’usato, picnic, nel cratere. Si potrebbero ripristinare le funzioni alternative (non lavoriste) nelle fabbriche abbandonate, solo per fare degli esempi fin troppo ovvi.
L’ispezione del quartiere popolare Matteotti prosegue in direzione dei campetti di via Leonardo da Vinci. Decidiamo di raggiungerli passando per una stradina interna, parallela alla via principale. Il viottolo è curato e delimitato da panchine che si affacciano sul campetto da basket liberato. I compagni di Telos raccontano orgogliosamente di come, quest’estate, abbiamo ripristinato lo spazio, rimuovendo anni d’incuria e di entropia. Marcello racconta di come lo abbiano reso nuovamente fruibile a chiunque. C’è orgoglio nelle sue parole e negli sguardi degli altri compagni che hanno partecipato alla rinascita di un luogo oggi nuovamente restituito alla cittadinanza.
La stretta stradina che costeggia lo skate park e il campetto liberato (non ha un nome proprio ma lo deriva dalla parallela via Leonardo da Vinci), si presenta nella sua funzione di varietà dimensionale del tipo 2. Si tratta di uno spazio monodimensionale, spazialmente parlando, con una seconda dimensione accessoria (attorcigliata) che è quella atmosferica. Questa ha un carattere impositivo, un suo specifico “far-fare”. Le varietà dimensionali d’ordine inferiore esprimono questa funzione imperativa a chi l’attraversa: “procedi, non sostare, non occupare lo spazio di transito, accelera uniformemente nella direzione indicata”, lasciando a chi la percorre limitatissimi gradi di libertà entro cui immaginare repentini cambi di direzione e tragitti alternativi o ortogonali. Una volta imboccata, resta poco da fare se non percorrerla disciplinatamente nella direzione indicata dalla sua unica dimensione spaziale. 

La varierà dimensionale del tipo 2
Il campetto liberato

A questa funzione, rafforzata dalle opere murarie laterali che la trasformano in una sorta di budello, si contrappone l’improvvisa apertura laterale del campetto liberato (foto precedente), non a caso per lungo tempo narcotizzato mediante incuria nella sua funzione di potenziale tonal dell’UDA filiforme.
Tra la varietà dimensionale e il possibile tonal, si spalanca il micrologico spazio di conflitto atmosferico, che proprio come quello incontrato in precedenza, è troppo piccolo per essere agevolmente analizzato nelle dinamiche esistenziali che internamente innesca.

I due punti sovrapposti: conflitto atmosferico tra tonal in potenza, punto in alto, e varietà dimensionale d’ordine inferiore, punto in basso

Dietro il campetto liberato s’innalza un’architettura in costruzione, che nei mesi a venire potrebbe anche minare l’esistenza e la funzione di questo coraggioso tonal. Vedremo, intanto la palazzina cresce e getta sguardi sempre più torvi all’indirizzo del campetto.

L’edificio in costruzione che sovrasta il campetto liberato

Usciamo dalla varietà dimensionale del tipo 2 immettendoci su via Varese, percorrendola fino a Viale San Josemaria Escrivá de Balaguer, dove ci attende un nuovo cratere da impatto. Questa volta a essere state abbattute non sono delle palazzine, ma un vecchio e immenso complesso di fabbriche. Al suo posto troviamo una desolante “assenza” dove, si dice, sorgerà l’ennesimo supermercato e una torre da venticinque piani. In tutto si tratterà di un complesso architettonico moderno, con alberghi e uffici, capace di occupare tanto spazio nella maniera meno razionale e più cementificatrice possibile. Il niente affatto condivisibile auspicio è che il borgo saronnese possa un giorno assurgere a costola integrata della megalopoli Milano. Insomma, un altro grande buco in attesa d’essere colmato di rampante neoliberismo. È a questo punto della storia che l’ufociclista Silvia, pur abitando in questa città da quando è nata, pensa per la prima volta in vita sua, che effettivamente Saronno somiglia proprio al Groviera!

Un altra drammatica eradicazione, questa volta su Viale San Josemaria Escrivá de Balaguer

Usciamo dall’ambizioso complesso e nuovamente su via Varese c’imbattiamo in una significativa piattaforma girevole. È Giacomo del collettivo Telos a farcela notare: una rotonda di medie dimensioni, con al centro l’immancabile praticello maniacalmente curato e, meno prevedibilmente, un gazebo in ferro che protegge una grande palla granitica, con su scritta la parola Saronno. Quanta surreale complessità! Sulla funzione della piattaforma girevole ci siamo già ampiamente soffermati (si vedano: Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli e Esomediatore Frascati). Eviteremo quindi divagazioni foriere di sbandate e smarrimenti. Ciò che qui conta è la sua collocazione, e quindi la sua specifica funzione, in relazione agli oggetti ad essa più prossimi.

Piattaforma girevole surrelalista

Per comprendere la funzione, procediamo pedalando verso il prossimo oggetto significativo, un altro esomediatore: il Santuario della Beata Vergine dei Miracoli. La chiesa, che dà il benvenuto a chi entra nella città da nord ovest, è oggi circondata da un ampio sagrato, edificato forse con la recondita intenzione di farne una piazza. Al progetto, a parte la presenza di un’ampia seduta circolare che estroflette (proiettandoli come i raggi di una bici) tutti coloro che la utilizzano, manca scientemente l’apparato di seduta e di stazionamento vis a vis, proprio come ormai in uso in tutte quelle città che, coadiuvate dagli ultimi ritrovati nel campo dell’architettura ostile, e in nome del decoro, dichiarano guerra alle forme di socialità biologica (si veda: Come si ritonalizza una zona rossa – Sea Watch 3). Già, usiamo il generico concetto di biologia, perché a essere sempre più estromessi non sono solo gli umani, ma qualunque essere vivente.

L’esomediatore Santuario della Beata Vergine dei Miracoli
Ricognitori dinanzi all’esomediatore
Sempre l’esomediatore Santuario della Beata Vergine dei Miracoli, da un’altra prospettiva. Da qui è visibile la seduta estroflettente

Valutiamo quella del Santuario un’atmosfera altamente respingente. Gli elementi che ci spingono a questa conclusione sono molti:
1) la forma della piazza;
2) la disposizione a raggiera delle sedute;
3) il continuo via vai di automobili veloci sulla strada prospiciente la chiesa, che produce frastuono, immersi in cui, non è certo piacevole sostare.
Insomma, si tratta di un apparato centrifugo in tutti i sensi e per tutti i sensi. Nuovamente una molteplicità di funzioni:
1) sedimentata, quella dell’esomediatore;
2) situate quella del l’UDA armonica (si veda: UDA armoniche – Atto primo) e dello psico-dissuasore.
Sull’esomediatore abbiamo ben poco da dire oltre quanto scritto in precedenza e in altri rapporti. Possiamo aggiungere che al momento, al di fuori della chiesa si sono aggregate un po’ di persone in attesa dell’uscita dei novelli sposi, ovvero di due persone che si sono reciprocamente promesse eterna fedeltà al cospetto di un alieno e dei suoi vicari terrestri esomedianti.

Una piccola folla d’adoratori d’alieni, ma solo in circostanze mediate

Più interessante, invece, la funzione di psico-dissuasore, che dissuade dal vivere la piazza, producendo un effetto centrifugo (di cui abbiamo appena detto), ma potenziato quando messo in coppia con la funzione della piattaforma girevole (la rotonda armata di gazebo) poc’anzi incontrata. Anche la piattaforma girevole ha una funzione dissipatrice e sparpagliatrice dei flussi cittadini, ma decisamente meno vocazionalmente votata alla dissuasione, rispetto a uno psico-dissuasore, che ha invece un’esclusiva funzione “idrorepellente”.
Al contrario, la piattaforma girevole può essere, e spesso lo è, un elemento altamente rivitalizzante del tessuto cittadino, producendo inattesi disorientamenti e improvvise riconfigurazioni spaziali. Nel caso specifico, la vicinanza con lo psico-dissuasore rafforza la funzione sparpagliatrice e respingente che con la coppia si è generata.
Per quel che riguarda la UDA armonica, invece, possiamo considerare lo spazio della piazza come interessato da un’atmosfera molto compatta, prodotta dal rumore proveniente dalla trafficata strada adiacente. Nello specifico si tratta di un’UDA edificata dal frastuono che, a sua volta, rinforza la funzione centrifuga della piazza in questione. Potremmo definirne i contorni cromatici mediante Tavola cromatica degli stati d’animo, ma al momento non è il compito che ci siamo dati (si veda ad esempio: Ufociclismo a Omegna).
A proposito di psico-dissuasori, i componenti del collettivo Telos si accorgono di una presenza costante, visibile più o meno dal momento che ci siamo messi in marcia. Un’automobile grigia ci segue e si ferma ogniqualvolta la ricognizione si sofferma a ragionare sugli oggetti-funzione incontrati. Si tratta di una nota civetta della Digos che ci accompagna senza alcuna cautela nel celare la propria presenza. Si tiene a debita distanza, ma è costantemente presente.
Si tratta, allora, di un efficacissimo esempio di psico-dissuasore mobile, una sorta di zona rossa (si veda anche: Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione), semovente, che ovunque si sposta sovrascrive temporaneamente l’atmosfera sedimentata. Ci mettiamo l’anima in pace: siamo destinati ad avere la scorta e a sentire costantemente mutata l’emozione dei luoghi che attraverseremo.
Siamo nuovamente su via Varese, solo per pochi metri, prima di girare a destra immettendoci in viale Santuario della Madonna dei Miracoli, e poi subito in un coagulo di viuzze interne senza nome, ma indicate nella mappa qui sotto.

Dal basso verso l’alto sono indicati: la piattaforma girevole e i suoi flussi, l’esomediatore Santuario della Beata Vergine dei Miracoli, l’entrata di un sottopasso pedonale e piazza dei Mercanti. La linea rossa è il percorso effettuato durante la ricognizione. Tra il secondo e il terzo punto il coagulo di viuzze

Raggiungiamo uno degli accessi al bellissimo sottopasso pedonale che attraversa lo spazio di servizio dedito al transito ferroviario.

Sottopasso ciclo-pedonale tra l’esomediatore e piazza dei Mercanti
Sottopasso ciclo-pedonale tra l’esomediatore e piazza dei Mercanti. Bello!
Sottopasso ciclo-pedonale tra l’esomediatore e piazza dei Mercanti. I ricognitori violano la geometria spaziotempo dell’area ferroviaria
Sottopasso ciclo-pedonale tra l’esomediatore e piazza dei Mercanti. effettivi visivi tipici delle velocità relativistiche
Sottopasso ciclo-pedonale tra l’esomediatore e piazza dei Mercanti. Ne siamo fuori. Integri, nonostante l’orizzonte degli eventi

Ora le constatazioni che ci sentiamo di fare sono le seguenti:
1) questo tipo di varchi possono essere delle scorciatoie o degli strappi, lo decideremo osservando accuratamente la mappa;
2) questo tipo di passaggi generalmente mettono in comunicazioni UDA di diverso tenore atmosferico, e per questa ragione sono molto importanti.
Transiti di questo tipo eludo il limite a cui i due bordi delle diverse UDA tendono (si veda anche: conflitto atmosferico dei tipo 1), producendo un passaggio con caratteristiche anaffettive, cioè deprivato dalla percezione sensoriale del cambio d’atmosfera.
Nello specifico, le due aree messe in comunicazione da questo transito (nella mappa successiva indicate coi colori rosso e verde) sono atmosfericamente tra loro irriducibili: un esomediatore repulsore, da una parte, e un parcheggio (piazza dei Mercanti che i saronnesi amano chiamare piazza Rossa, per via dell’acceso colore rosso delle mattonelle, che una volta lastricavano il pavimento), dall’altra.
Chiamata anche piazza Ribelle, la seconda UDA è separata dalla prima da una terza (lo spazio di transito ferroviario indicato in blu), caratterizzato a sua volta da un’atmosfera completamente diversa rispetto alle precedenti (a tutta prima potremo parlare di un’UDA alienata, ma per esserne sicuri dovremmo approfondire le sue caratteristiche spaziali).

Riferimenti di massima delle tre UDA messe in comunicazione dal sottopasso ciclopedonale. I colori delle UDA sono solo distintivi e non designano il tipo di atmosfera

Da definizione ci troviamo quindi in presenza di uno strappo, ovvero di un transito ciclopedonale capace, di comprimere i tempi di spostamento da un’UDA all’altra, modificando lo spazio in cui queste esistono e prendono forma.
Al momento del nostro arrivo la piazza, che normalmente funziona da parcheggio si è trasformata in un campo da cricket per un gruppo di giovani indiani e in uno da calcio per giovani nostrani. Essa è particolarmente interessante perché tecnicamente si tratta di un attrattore in cui l’aggregazione è del tutto spontanea, ovvero non risponde a pratiche d’ingegneria sociale protese a creare intermittenza tra inclusione ed esclusione. Qui si viene per stare assieme senza particolari instradamenti e senza l’ausilio dello sbrilluccichio delle vetrine e delle merci, a differenza di altri spazi di ritrovo “ufficiali”. La conformazione della piazza, inoltre, alterna ampi spazi aperti adatti a giochi di squadra e aree più appartate e intime adatte alla pratica dell’infrattologia (per un più corretto senso del concetto di infrattologia si guardi l’opera dell’Associazione Psicogeografica Romana – una definizione rigorosa è contenuta in Ufociclismo. Tecniche illustrare di cartografia rivoluzionaria).

Piazza Ribelle: attrattore. Momento collegiale
Piazza Ribelle e i suoi occupanti temporanei

I ricognitori ritengono collegialmente degno di nota questo suo alternarsi di funzioni.
Silvia propone uno spunto di riflessione su come la libera aggregazione praticata in questo luogo, sia testimoniata dalla presenza di graffiti, frutto di una lotta continua tra governo della città e writers locali. Anella le fa da contraltare sottolineando come la piazza raccolga solo una fetta della popolazione, quella più giovane. Mamme con bambini e anziani preferiscono la piazza centrale, prossima tappa della ricognizione.
Ci rimettiamo in cammino verso il centro della città e più precisamente in direzione di piazza Libertà, il cuore pulsante della parte più antica di Saronno.
Contornata da baretti e negozi merciologicamente piuttosto prevedibili, al momento dell’arrivo delle biciclette pullula di gente e di suoni. L’atmosfera ricorda un po’ quella domenicale. Alla fine di corso Italia, nuovamente un esomediatore, la parrocchia dei Santissimi Pietro e Paolo con funzione, quasi certamente, di tonal (stavolta stabile) di questa UDA storica.
Ci guardiamo attorno e scrutiamo il tipico paesaggio dei centri storici italiani, fatto di colori e architetture familiari. C’è anche lo psico-dissuasore mobile che ovviamente ci ha seguiti anche qui. Anzi la nostra presenza sembra interessare un po’ tutte le autorità locali stazionanti in questo spazio. Ci sentiamo insolitamente osservati. Soprassediamo e ci guardiamo attorno per intercettare visivamente un possibile totem d’incongruenza. Ma qui, appare tutto molto coerente senza divagazioni atmosferiche di alcun tipo. Nessuna struttura in particolare attira la nostra attenzione.
Emergono spontaneamente una serie di riflessioni su questo spazio così simbolico. Ci soffermiamo sul suo tramutarsi atmosfericamente a seconda delle ore del giorno e del periodo dell’anno. Emerge un’interessante ipotesi: il totem d’incongruenza potrebbe non essere una struttura immobile, quanto piuttosto una condizione ambientale recante in sé una specifica funzione. Questa piazza almeno d’inverno si svuota, infatti, non appena cala il sole, emanando una lugubre sensazione di solitudine. Discorriamo sul concetto di paura e sul significato di “spazio vuoto”. Se fosse quindi questa condizione a funzionare da totem? Se fosse una circostanza ambientale a funzionare da disgregatore di questa aggregazione garantita e un po’ coatta? Se fossero queste condizioni al contorno a minare le fragili certezze del tonal?
Negli ultimi anni, le politiche di degravitazione umana dagli spazi, il loro trasformare i luoghi in “corridoi” di mero transito, la psicosi giustizialista da decoro, hanno risucchiato nel vortice espulsivo anche i centri urbani, un tempo vissuti ventiquattrore su ventiquattro e oggi svuotatisi di biomassa, ridotti a contenitori a mezzo servizio di una popolazione confinata negli avamposti della conurbazione. Ci pare sia esattamente questa la condizione di piazza Libertà e del suo flebile tonal (ci verrebbe da dire: “non ci sono più i tonal di una volta”). Ipotesi molto stimolante e applicabile in maniera generica a tantissimi spazi antropici. Ufociclisticamente ci sforzeremo di trovare un nome-concetto per questa peculiare funzione.

Soggettiva del tonal Santissimi Pietro e Paolo

Sono già passate un paio d’ore dalla partenza. Alcuni membri del gruppo mostrano i primi segni di cedimento psicofisico e di assideramento. Il repentino cambio di stagione ha scombussolato un po’ tutti, ma la maggior parte dei ricognitori resiste e continua con l’esplorazione.
Ci siamo immessi su via Roma, nuovamente in direzione della periferia saronnese. Qui si respira un’aria diversa e una diversa emozione. Questa parte di città è sicuramente meno affollata e più silenziosa. Le case sono prettamente villette borghesi con giardini curati ospitanti costose automobili.
Incontriamo una piccola piattaforma girevole e Marcello, che in quel momento guida il gruppo, inizia spontaneamente a orbitarci attorno… pochi altri ricognitori lo seguono, mentre altri lo osservano incuriositi. Si tratta di una pratica nota alla massa critica che serve proprio per esorcizzare e a volte neutralizzare la vorticosa forza disgregatrice delle piattaforme girevoli (si veda: Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli).
Ben presto, l’attenzione dei ricognitori cade su un pezzo di strada che, brutalmente, impatta con l’antica ferrovia abbandonata, quella che collegava Saronno al limitrofo paese di Solaro. È interessante notare come i binari morti siano rimasti incastonati in terra delimitando con decisione una tagliata tra due file di case. Tutto ciò rafforza ancor di più la funzione di varietà dimensionale del tipo 2 del tratto di strada ferrata (si veda anche La varietà dimensionale 2 – Capranica-Civitavecchia).

La varietà dimensionale ex ferrovia Saronno-Solaro

Qui a differenza dell’opposizione varietà dimensionale/campetto liberato, nulla sembra contrapporsi allo strapotere della dimensione imperativa di questo canyon artificiale. Lo scorcio è comunque davvero suggestivo e costituisce anche una sorta di attrattore che ci piacerebbe seguire perdendoci nell’ambiguità esistenziale di un tratto ferroviario fantasma. I compagni del Telos assecondano il desiderio espresso dagli ufociclisti invitandoci a proseguire, onde re-intercettare la ferrovia in un punto ancora più caratteristico, ci dicono.
Prima di raggiungerlo, si attraversa il complesso delle case popolari dell’Aquilone.

L’Aquilone: case popolari
L’Aquilone, ancora

Fronteggiati da un parco, questi palazzoni ospitano persone di etnie e di strati sociali molto diversi: un vero e proprio pot-pourri.
Si dice che l’Aquilone rappresenti un coacervo di culture, colori e odori diversi. Nei suoi cortili le donne e i bambini si incontrano per chiacchierare e giocare, o più semplicemente per passare del tempo assieme, come si soleva fare una volta. Un po’ aulicamente si dice che all’Aquilone regna la pace. Ma a prima vista, questi enormi palazzoni grigi, fatti costruire qualche decennio or sono dall’imprenditore Berlusconi, producono una sensazione nettamente in contrasto con quanto appena sostenuto. Altri osservatori, più cinici, traducono l’idillio sopra descritto sostenendo che il decantato incontro di culture si risolve speso nel campestre frastuono di rumorosi grigliatori sudamericani che, di tanto in tanto, nel parco adiacente, condividono musica, calorosità e vivande con coloro che hanno voglia di socializzare. Altro non ci è dato sapere, se non comportandosi come novelli antropologi impegnati in una seduta di osservazione partecipante. Comunque sia, Cobol i palazzoni li trova belli, mentre Silvia ne percepisce l’orridume. I due si scambiano un po’ di disincantate visioni del mondo in fatto di architetture periferiche, ma alla fine ognuno rimane fermo sulla propria visione estetica.
Stiamo nuovamente incrociando la ferrovia dismessa, la varietà dimensionale. Abbiamo radicalmente mutato prospettiva, giacché i binari che inseguiamo scorrono ora su un terrapieno reso, nel punto in cui ci troviamo, discontinuo dalla presenza di un antico sottopasso, o ponticello, che in passato è stato al centro di animate polemiche. Alcuni saronnesi lo vorrebbero vedere morto per via del fatto che le sue dimensioni inibiscono il passaggio di grosse cilindrate. I “puristi archeologici” invece lo amano per via di quell’aria un po’ retrò. Evidentemente, almeno per il momento, il partito di quest’ultimi ha avuto la meglio.

Il primo dei sottopassi-ponticelli su cui corre la varietà dimensionale che stiamo inseguendo

Per noi la sua funzione è di separatore (si veda anche: Separatore Torre Spaccata), dato che inscena l’interruzione di compattezza dell’atmosfera dell’UDA. Lo si attraversa e si ha la sensazione di essere transitati in un’atmosfera diversa, una sorta di portale “stargate”, mentre in realtà l’emozione da un capo all’altro è esattamente la stessa.
Il parallelismo col primo Stargate (il film) è molto calzante: un complicato tunnel spaziotempo, solo per poi ritrovarsi di nuovo in una sorta di antico Egitto (la trama del film). Sì, il separatore può essere un oggetto deludente proprio come uno stargate. Tuttavia, diviene un elemento centrale qualora lo si inserisca all’interno di un più ampio e dettagliato studio di una UDA.
Subito dopo ne incontriamo un altro, più suggestivo:

I ricognitori lo attraversano anche qui non percependo alcun cambio d’atmosfera. Uno di loro, un’anima pia, è salito sul terrapieno e ripristina un lenzuolo con un messaggio d’amore. Il vento lo aveva ribaltato e quindi occultato. Per questo forse un amore era finito.

Decidiamo collegialmente di salire per goderci l’ultimo tratto di varietà dimensionale. Si abbandonano le bici in modo da inerpicarsi su per il terrapieno e camminare a contatto col ferro dei binari. Le biciclette restano al livello sottostante sorvegliate da Anella. A farle compagnia, c’è lo psico-dissuasore mobile che ha parcheggiato a una ventina di metri. E ci scruta. Forse dentro.
Qui la varietà dimensionale della ferrovia, se possibile, si declassa dal tipo 2 al tipo 1, sottraendo ancor più spazio a manovre non previste, col suo fare imperativo: “procedi! Non retrocedere! Mai!”.  

A cavallo della varietà dimensionale
Si sperimentano tecniche di violazione delle imposizioni della varietà dimensionale

Ai lati della strada ferrata ci sono solo dirupi scoscesi che non consento nessuna agevole manovra fisica o mentale che sia, se non rischiando ruzzoloni o tracolli psichici. Qui anche i pensieri sembrano compressi entro un lungo tubo da cui si fatica a venir fuori.
La bellezza del luogo fa da contraltare alla tipica sensazione che eziologicamente chiamiamo di claustrofobia da varietà dimensionale. Abbiamo la sensazione di essere contenuti nella materializzazione del concetto di “ineluttabile destino”. Ecco, se il destino fosse ineluttabile, sarebbe proprio come questo pezzo di ferrovia dismessa. Una varietà dimensionale di ordine inferiore come questa è un ottimo luogo in cui ragionare sul significato di “libero arbitrio”. Qualcuno dovrebbe organizzarci un dibattito. Ecco; si dice che forse il suo destino sarà quello di pista ciclabile: da una varietà dimensionale all’altra. Dalla padella alla brace. Una scelta alternativa potrebbe essere invece quella di spazio onomatopeico per ragionamenti sul destino, l’arbitrio e sinonimi dei due. Un corridoio convegni capace di penetrare fisicamente la concettualità esplorata. Di ciclabili invece ne abbiamo le scatole piene! La strada è di tutti e per le bici non vogliamo i vostri rachitici ghetti! Non ci chiuderemo volontariamente in una varietà dimensionale d’ordine inferiore! Nonostante per alcuni ciclisti urbani l’unica cosa di conto sembrano essere ciclabili e rastrelliere. Che povertà di spirito…
Comunque sia, ora regna un roboante silenzio e il tratto che percorriamo a piedi ha un sapore indefinibile: sospeso. A tratti è romantico, giacché, seppur abbandonati, i binari narrano ancora di storie di viaggi lontani nel tempo. Prevale tuttavia un senso denso di desolazione, scaturito dalla vista di quei binari tanto fragili e implacabilmente destinati a finire nel vuoto. Ma prima del salto nel vuoto, alla nostra destra si apre la vista di un bellissimo parchetto che possiamo osservare da posizione sopraelevata.

Gan eden

Sembra chiuso su tutti i lati da vegetazione molto ben curata (forse troppo), mostrandosi, quindi, come spazio apparentemente inaccessibile, chiuso da un lato da alberi fitti e dall’altro dal terrapieno ferroviario su cui ci troviamo. A guardarlo così è possibile immaginare, al suo interno, lo sviluppo di specie animali e vegetali autoctone assolutamente originali. Si tratta sicuramente di un’illusione prospettica, ma ce la godiamo dato che ci ricorda il bel gan eden incontrato in una ricognizione nel quadrante sud-est di Roma (si veda: Intersezione Togliatti).
Siamo dentro al nostro Viaggio al centro della Terra, vecchia pellicola che narra di un mondo all’interno del mondo, popolato da animali, da piante e da atmosfere sopravvissute alla fine delle ere preistoriche.
A fianco al parchetto-ganeden s’innalza una struttura ufomorfica che immortaliamo nella sua prepotente ostentazione. Si tratta ovviamente di una navicella aliena intenta ad atterrare nel gan eden (e dove altrimenti?): una scena che tanto piacerebbe a Mauro Biglino, su cui potrebbe sciorinare decenni di video per i suoi accoliti complottisti.

Struttura ufomorfica

Registriamo fotograficamente e su mappa questa struttura come significativa perché da sempre attratti dalle conformazioni ufomorfiche che, più o meno consapevolmente, invadono le città, offrendo prospettive di fuga immaginifiche.   
Giungiamo rapidamente al limite della ferrovia fantasma e con lei della varietà dimensionale del tipo 1. Una varietà dimensionale di grado così basso non poteva che terminare in modo così grossolano, brusco e irragionevole: una fine senza compromessi, “senza se e senza ma”. Oltre, qui, proprio non si procede: c’è un complesso di pali e inferiate a impedircelo. Ma soprattutto c’è un differenziale di altitudine difficilmente colmabile con un salto umano. Siamo in presenza di una funzione occultatore (si veda anche: Separatore Torre Spaccata).

Il ponte ferroviario prima della fine
L’occultatore – fine della varietà dimensionale. I binari sotto visibili sono del nuovo tratto ferroviario

Lo slancio sul vuoto lascia intendere una continuità dell’atmosfera di questa UDA, mentre in realtà al di là del limite si apre tutta una zona caratterizzata da un’atmosfera completamente diversa. L’occultatore è un po’ il “voler-essere” dello stargate, e non a caso funzioni come l’occultatore e il separatore hanno definizioni simili, ma contrarie. 
Torniamo rapidamente a recuperare Anella e con lei le biciclette. Lo psico-dissuasore mobile non se l’è portata via.

Ripercorriamo il ponte ferroviario a ritroso. Facendo attenzione.: violare il senso di una varietà dimensionale d’ordine inferiore può essere pericoloso

Percorriamo alcune stradine strette nei dintorni del ponticello fino a giungere all’imbocco con via Milano. Qui accade qualcosa di abbastanza insolito, un inatteso sbalzo termico, segno tangibile e pervicacemente sensoriale di un radicale cambio d’atmosfera, tanto termico che psico-emotivo: un piccolo shock. Anche se la giornata è già di per sé piuttosto fredda, come ci si addentra per via Milano, si percepisce una drastica diminuzione della temperatura. La via caratterizzata da un sottopasso stradale costeggia da un lato una zona ex industriale in abbandono, completamente riassorbita dalla vegetazione, e dall’altra il cimitero cittadino. Ci fermiamo alle porte di quest’ultimo

Cimitero cittadino

Dal punto di vista della funzione, si tratta di una cuspide (si veda: Cuspide via Prenestina), uno stratificatore storico e archeologico che racconta, se analizzato con tecniche stratografiche, sempre qualcosa della città. Da questo punto di vista, i cimiteri sono accomunabili alle discariche (fatti i debiti distinguo), alle rampe dei parcheggi e a tutti quei luoghi in cui spontaneamente si accentrano e si accumulano i residui e gli scarti del vivere quotidiano.
Dalla parte opposta al cimitero, dentro l’area dismessa dovrebbe sorgere un campus universitario, ma al momento ivi si è sviluppato un bosco dove, si dice, abbiano dimora forme di vita aliene e volpiformi: forse anche questo un jurassic park o un gan eden. Ma su questa specifica area le sorprese non mancano e gli dedicheremo un supplemento a parte.
Ora raggiungiamo gli edifici d’ingresso a questa area, collocati all’incrocio tra via Milano e via Varese. Qui, fino a qualche anno fa, c’era lo spazio occupato Telos liberato dall’omonimo collettivo. Oggi lo spazio è disoccupato e completamente cementato onde impedire l’accesso (con ogni mezzo necessario) a curiosi e intraprendenti esploratori. La facciata cementata, con porte e finestre riassorbite dai muri, al modo di cicatrici, costituiscono un totem d’incongruenza (funzione situata) in questa zona spopolata di cui però al momento non siamo in grado di identificare, con nostra grande frustrazione, il reciproco tonal.  

Totem d’incongruenza ex Telos
Un’occhiata dall’alto alla zona boschiva possibile UDA contattistica e probabile sede di un gan eden. Meno aulicamente potrebbe anche trattarsi della zona del film Stalker

Siamo anche alla fine della ricognizione. Qui la mappa intera ingrandita.

La mappa topografica con il percorso e le funzioni incontrate. Ingrandisci
Mappa di percorso e funzioni senza topografia
Topografia con percorso. Ingrandisci
Legenda delle funzioni e degli oggetti (a seguire)

1 punto di raccolta parchetto;
2 esomediatore San Giuseppe Confessore;
3 totem d’incongruenza cratere torricelliano;
4 generica propaggine del totem fabbrica dismessa;
5 varietà dimensionale stradina, tonal in potenza campetto liberato, conflitto atmosferico;
6 altro cratere d’impatto neo liberista;
7 piattaforma girevole rotonda surrealista;
8 UDA armonica, psico-dissuasore, esomediatore Santuario della Beata Vergine dei Miracoli;
9 strappo sottopasso ciclopedonale;
10 attrattore piazza Ribelle;
11 esomediatore, (tonal) Santissimi Pietro e Paolo;
12 varietà dimensionale ex ferrovia Saronno-Solaro;
13 case popolari l’Aquilone;
14 separatore ponticello 2;
15 gan eden parchetto;
16 struttura ufomorfica;
17 occultatore fine varietà dimensionale;
18 cuspide cimitero cittadino;
19 UDA contattistica zona ex Telos (che tratteremo tra poco);
20 Totem d’incongruenza ex Telos – fine ricognizione

SUPPLEMENTO

La teoria (critica) ufociclista dello spazio, tra le altre cose divide gli oggetti urbani in funzioni e apparati. Finora abbiamo incontrato tutte funzioni: dissuadere, attrarre, scompigliare, “far-fare”, occultare e così via altre cose.
L’oggetto che andremo ora a descrivere è un po’ più complesso, un vero e proprio apparato. Come tale esso è un aggregatore di più funzioni (una macro, potremmo dire) che da vita a un oggetto articolato dal funzionamento dinamico.
Partiamo dall’osservazione della mappa, proprio nel punto di fine della ricognizione, laddove un tempo c’era lo spazio occupato Telos.  

L’ex Telos, il primo punto rosso a partire dal basso

È facile notare che l’edificio in questione si trova al centro di due direttrici costituite da via Varese e via Milano. Lasciamo stare le vie in quanto tali, per il momento. Ora concentriamoci sull’ex Telos. Dal punto di vista delle funzioni esso è stabilmente un omphalos.
L’omphalos è sempre definito dal suo rapporto con due oggetti immateriali detti ley line.
Le ley line sono linee rette (geodetiche per la precisione) definite almeno dall’allineamento di tre punti (segnalatori) significativi nello spazio. Allora:
ley line 1: totem (ex Telos) + cuspide (cimitero) + esomediatore (parrocchia dei Santissimi Pietro e Paolo).
Ley line 2: totem (ex Telos) + piattaforma girevole (rotonda con gazebo) + esomediatore (Santuario della Beata Vergine dei Miracoli):

Omphalos e relative ley line emerse grazie ai segnalatori

L’ex Telos è presente in entrambe le ley line come funzione situata (totem) e come funzione sedimentata (omphalos).
Le ley line di per sé sono oggetti molto interessanti per via della congiunzione spontanea che disegnano e che designa una sorta di linea pregna di senso, nel tessuto urbano.
Un tempo le ley line erano interpretate anche come “linee magiche” per via del significato pratico e/o rituale che rivestivano.
Quando due ley line hanno base comune (omphalos), cioè si originano da un medesimo punto, danno vita a quello che ufociclisticamente si definisce sottospazio o span. Il sottospazio, a sua volta, è il campo di generazione di una terza ley line (risultante), che è il prodotto vettoriale delle due precedenti e che serve a definire l’ampiezza dello span stesso oltre che la direzione e il verso della ley line risultante. Nella mappa successiva è mostrato come ottenere lo span da due ley line convergenti mediante regola del parallelogramma, ovvero doppiando e ribaltando le ley line così da ottenere un parallelepipedo.

Ley line e origine comune
Ley line e applicazione della regola del parallelogramma: la prima linea verde in basso a sinistra diviene la seconda in alto a destra e lo stesso per l’altra linea. Ingrandisci
Lo span ottenuto mediante regola del parallelogramma nella prima immagine, mentre nella seconda le frecce blu indicano le traslazioni da compiere per ottenere lo span

Ora, uno degli obbiettivi che l’ufociclismo si propone mentre esplora lo spazio antropico, è quello della ricerca di UDA contattistiche, ovvero di quegli spazi che per loro natura offrono le migliori condizioni per il contatto tra umani terrestri e umani e (eventuali) visitatori provenienti da spazi extraatmosferici.
L’estensione di alleanze con forme di vita poste nell’extraatmosfericità è sempre stata una priorità, e lo ancor più oggi che il neoliberismo inaugura una nuova era di conquiste territoriali al di fuori della biosfera (capitalismo multiplanetario e space economy).
Le UDA contattistiche sono virtualmente spazi totalmente inclusivi, ma spesso sono anche posti “misteriosi” e decisamente pericolosi. Il contatto è auspicabile ma mai scevro da rischi, dato che le sue giuste modalità a volte restano opache.
Qui (pdf: da “Ley line come linee energetiche” in poi) per chi fosse interessato alla procedura per comprendere se uno span e anche un’UDA contattistica e che, in sintesi, dipende dall’orientamento della terza ley line generata.

La ley line risultante: evidenziata la direzione e il verso
La risultante sul territorio urbano di Saronno

Ci pare molto significativo che l’ex Telos sia sorto proprio sull’omphalos di una UDA potenzialmente contattistica (ora capiremo se lo è davvero). Significativo, ma non sorprendente, dato che la vocazione di uno spazio liberato è proprio il suo essere restituito all’inclusività del territorio che occupa.
Lo span dell’ex Telos è molto ampio e la superficie utile alla ricerca dell’UDA contattistica vera e propria andrebbe meglio discriminata affidandosi anche ad una più accurata conoscenza del luogo e a una sua eplorazione in loco, cosa che al momento pare non possibile.
Prioritario è sottolineare questa concomitanza di funzioni sedimentate e di trasformazione dei luoghi in base a una qualche forma di vocazione territoriale. Ci sembra molto bello immaginare le potenzialità d’autonomo sviluppo ambientali in un’UDA contattistica. Cosa starà accadendo in questo momento nell’ex Telos? Quali forme di convivenza spontanea si staranno sviluppando?
Cosa ci dice la ley line risultante secondo la teoria ufociclista? Un oggetto volante che si muovesse nella direzione e nel verso del nostro vettore (da sud verso nord), guidato dal differenziale d’intensità dell’attrazione terrestre, procederebbe perdendo potenziale gravitazionale, ovvero diminuendo velocità, così da manifestare un’intenzione positiva al contatto. A tutti gli effetti, quindi, lo span dell’ex Telos è un’UDA contattistica.
Il suo futuro è invece piuttosto torbido. Le vocazioni possono essere facilmente ricoperte da colate di cemento e sepolte sotto l’urgenza di interessi più cogenti, ma in fondo tali rimangono per, prima o poi, riemergere.

Grazie a Loste Cesare per aver prestato la bici a Cobol

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Conflitto atmosferico: i bordi dell’UDA – Pietralata – Roma – 5/8/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena 

Dato l’incomprensibile alto numero di defezioni a questa ricognizione indetta in uno dei giorni più caldi, del mese più caldo, di un mondo avido d’ozono, abbiamo stabilito che le ricognizioni d’agosto sono esse stesse uno psico-dissuasore.
Ciononostante…

iniziamo col concetto di conflitto atmosferico così come l’UfoCiclismo lo mutua dal lavoro dell’APR (Associazione Psicogeografica Romana):
l’acquisizione di un’UDA quasi sempre avviene come sequenza di passaggi e dunque il ricambio della popolazione ha luogo raramente in blocco al pari di una deportazione. In una stessa UDA quindi si vengono a trovare gradualmente gruppi sociali molto diversi: da una parte i nativi, cioè coloro che hanno contribuito costitutivamente (in quanto capitale umano) alla generazione dell’UDA. Dall’altra i pionieri, i primi colonizzatori. Questi due gruppi per un certo periodo di tempo convivranno conflittualmente“.
La definizione è molto importante perché drammatizza, dinamizza e storicizza la figura dell’UDA (Unità d’Ambiance) che altrimenti parrebbe cangiante e mutevole per ragioni d’ordine metafisico. Il conflitto è il motore dell’UDA (come lo è della storia) e col conflitto cambiano o mutano forma anche tonal e totem d’incongruenza (per questi concetti si veda l’atlante, il glossario on line, i rapporti precedenti e quelli a venire).

Partiamo quindi da viale della Serenissima angolo via Prenestina in direzione Pietralata verso via Tiburtina. E’ Pietralata il nostro obiettivo, ma ben presto sorpassato il viadotto della stazione Serenissima notiamo sulla nostra destra un passaggio che non avevamo mai trovato aperto prima d’ora.

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Si tratta di un’affordance attrattiva (si veda questo rapporto): un cancello solitamente chiuso che spalancato “invita” ad entrare. Non possiamo fare altrimenti. Questa zona che costeggia via Collatina e più precisamente via Herbert Spencer è in questo periodo interessata da lavori che ne stanno ridefinendo l’aspetto; quindi non è strano imbattersi in cantieri e strade semichiuse.
Imbocchiamo la strada sterrata bianca:

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Cliccando sul link di via Spencer, poco sopra, si può vedere la vista aerea della zona che però, ad oggi, non è aggiornata e mostra una situazione dei lavori antecedente di qualche mese.
Ci ritroviamo nell’area dei lavori in corso in uno spazio verde che è l’accesso, scopriremo, a piccoli appezzamenti di terreno non visibili da viale della Serenissima. I terreni sono perimetrati con reti e mezzi d’accatto (reti del letto ad esempio) come spesso avviene in queste aree forastiche e in disparte. Se la si guarda dalla prospettiva aerea ci si rende conto che si tratta di una sorta di enclave attorno a cui si è continuata a crescere la città. Se si considera inoltre che l’enclave si situa ad un livello stradale interrato rispetto a tutti gli edifici che la circondano, viene subito in mente il romanzo L’isola di cemento di Ballard.

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Dal basso: il punto del viadotto da cui proveniamo. Sulla sinistra, appena visibile, una struttura appartenente alla stazione FL2 Serenissima. La scala è il tentativo di qualche prigioniero dell’isola di cemento di riemergere.

Ci sono un paio di Obike straziate e abbandonate. Le Obike sono il nuovo marcatore del degrado a Roma: il segno di questo tipo di conflitto incarnato nello sharing ciclistico è evidente in un po’ tutti gli angoli della città.
Quando si accede ad aree come questa è prevedibile trovare carcasse gialle di biciclette cannibalizzate o semplicemente vandalizzate come simbolo e collasso di un’idea di pubblico che è ormai solo proforma se non addirittura vero e proprio simulacro. Ogni bici gialla crudelmente sottratta al suo network urla di un’atomizzazione sempre più cinica che questa città sta vivendo in cui l’idea di collettività sta evidentemente assumendo nuove forme al momento difficilmente codificabili. Almeno da noi…
Le Obike potrebbero essere i segnalatori di conflitto atmosferico. Ne prendiamo nota, anche se al momento non è detto che siano queste il tipo di tracce che stiamo cercando.

Una nuova affordance attrattiva: una casina con la porta aperta. Sembra molto più antica della strutture che la stanno lentamente divorando.

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Siamo all’interno (foto precedente) ma non è chiaro di cosa esattamente si tratti. Quella visibile in foto sembra una valvola idraulica ma non ci sono indicazioni o segnali che lo confermino o lo smentiscano.

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Poco più avanti di casettina ne troviamo un’altra. Forse anche più antica della precedente (ancora visibile a sinistra nella foto) a giudicare dal tipo di mattoni e dalla forma dell’iscrizione.

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L’iscrizione ci conferma, ma era evidente, che si tratta di una casetta molto antica: 1910.

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Ci pare sempre più qualcosa avente a che fare con il controllo del flusso d’acqua. La chiusa visibile in foto è tutt’altro che abbandonata e forse ancora svolge la sua funzione. Non sappiamo quale.
Ma nell’area non sono presenti corsi d’acqua visibili.
Ci torna in mente che poco distante da dove siamo c’è una torre piezometrica nel quartiere di Tor Sapienza, potrebbe quindi trattarsi di una struttura che ha a che fare con un acquedotto. Scopriamo, in un secondo momento, che in quella zona passano tre importanti acquedotti di cui queste antiche strutture dovevano, forse un tempo, controllare o reindirizzare i flussi.
In qualche modo probabilmente le due strutture (casetta e torre piezometrica) sono allineate e quindi comportandoci un po’ come degli psicogeografi estendiamo per curiosità una linea da qui ad un importante punto d’interesse della zona, il centro commerciale Roma Est: attrattore popolar-commerciale in questa parte di Roma. Con nostra sorpresa la torre piezometrica di Tor Sapienza ci cade perfettamente dentro formando di fatto una ley line: guarda la mappa.
Al momento ci limitiamo nel rilevare questo allineamento (forse per future esplorazioni) senza tentare sovrainterpretazioni che ci porterebbero inutilmente fuori strada.

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Procediamo verso una “ziggurat” di blocchi temporaneamente depositati sul terreno.

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Foto con ufociclista arrampicatore per avere una stima delle dimensioni della ziggurat.

Ora in cima:
dall’alto offrono una bella visuale della zona (foto che segue).

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C’avventuriamo lungo una strada che costeggia via Spencer e che s’innoltra in una rada boscaglia:

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Abbiamo il tempo per riprendere il discorso sul conflitto atmosferico: se è infatti vero che la definizione da cui siamo partiti ha un importante ruolo, in questa ricognizione vogliamo verificare un’altra possibile accezione dello strumento.

Partiamo dall’unità minima della mappatura ufociclistica: l’UDA. Una mappa ufociclistica è, macroscopicamente, un insieme, una tassonomia, di UDA.
Abbiamo ipotizzato che l’UDA fosse isotropica da qualunque punto la si osservi. Ciò per noi significa, ad esempio, che essa non presenta “ispessimenti” o “assottigliamenti” atmosferici nell’intorno del tonal o del totem d’incongruenza qualora ci fossero. Ma più realisticamente: cosa accade ai bordi di un’UDA?
Noi intanto ci addentriamo e voi che leggete potete intrattenervi con un interessante articolo sulle “bolle isoglosse” che è stato d’ispirazione per formulare questo quesito.

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Dalla parte di via Spencer il percorso sterrato finisce contro un cancello chiuso. Sul lato destro (non visibile nella foto), c’è una piccola entrata agibile a piedi e in bici.
Giungendo fin qui abbiamo però visto altre diramazioni che, tornando sui nostri passi, esploreremo.

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Sul lato opposto (una delle diramazioni che non avevamo intrapreso), il percorso finisce su un cancello che guarda la centrale elettrica di via di Grotta di Gregna.
Anche qui, sempre sul lato destro, c’e’ un’entrata dalla parte di una pompa di benzina in dismissione.

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Per il resto poco da rilevare se non questo monumento all’attesa e alla solitudine che ci pare bello (foto precedente) e che guarda con pasoliniano scoramento nella direzione della farneticante centrale elettrica.

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Tutt’intorno si comprende che la zona è un’immensa discarica (guarda la foto precedente): il concentramento di decenni di detriti. Si trattasse di detriti autoctoni, autocumulatii, saremo in presenza di una cuspide (guarda questo rapporto). Ma in realtà ci pare trattarsi di scarti lasciati lì da camion provenienti da altrove data la classica forma a piramide che i cumuli hanno assunto. Solo una discarica.
Torniamo quindi indietro.

Nel tempo che ci serve per pedalare fino alla strada sterrata bianca possiamo riprendere il discorso sul conflitto atmosferico là dove lo avevamo lasciato: questa nuova idea proveniente dalla “bolle isoglosse” non ha nulla a che fare con l’isoglossa ma il modello di sviluppo e di espansione della bolla ci pare davvero pertinente a quello dell’UDA. Chi ha letto l’articolo che abbiamo linkato sopra avrà notato che proprio ai bordi di una bolla può accadere qualcosa d’interessante. Lo avevamo accennato nell’atlante ufociclistico a proposito delle UDA definendolo alone d’interferenza. Si tratta dello spazio in cui due UDA entrano in contatto e per una certa porzione di reciproca superficie si sovrappongono. Non avevamo però correlato a questo spazio di contatto l’idea di conflitto atmosferico.
L’ipotesi da verificare è quindi che nei punti di contatto tra UDA (le UDA sono ben più permeabili di una bolla), negli aloni d’interferenza, si creino conflitti tra atmosfere diverse: conflitti atmosferici, addirittura “temporaleschi”. Se così fosse, dovremmo trovare, in prossimità di questi bordi, qualche elemento rivelatore, dei segnalatori, di tali “belligeranti” contrapposizioni. Tutto ciò ci pare consistente con l’immagine di un’UDA isotropica ed espansiva.

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Siamo tornati al punto d’entrata e ci muoviamo nella direzione opposta alla strada bianca, lungo un tratto asfaltato che non è ancora accessibile al traffico ma che lo sarà tra breve a giudicare dallo stato dell’arte dei lavori. Passiamo sotto il cavalcavia della Serenissima (guarda la mappa complessiva alla fine del rapporto) e di nuovo c’imbattiamo in un’affordance attrattiva (foto precedente): irresistibile anche questa.

Purtroppo le foto che seguono non rendono bene l’idea dello spazio che abbiamo trovato. Non eravamo preparati e non avevamo portato con noi torce abbastanza potenti per illuminare lo spazio esplorato (ma forse non sarebbero comunque bastate). Avevamo solo le lucette delle nostre biciclette, del tutto inadatte a squarciare il buio implacabile del sottomondo. Proveremo comunque a rendere l’idea descrittivamente.

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Le scale che s’intravedono costeggiano un enorme tubo (la struttura nera sulla sinistra) seguendolo sia verso l’alto (qui in foto) che verso il basso (due foto sotto).
In alto si salirà per 10 massimo 15 metri.

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Ora siamo in cima alle scale e a questo punto inizia un corridoio che abbiamo seguito solo in minima parte data l’abbondante presenza d’acqua e fango a terra. Ovviamente dopo i primi tre minuti una quantità inenarrabile di zanzare ha iniziato a spolparci.
Siamo scesi nuovamente.

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Foto dal livello più alto della conduttura. Ci apprestiamo a scendere. La luce sulla sinistra è quella proveniente della porta d’entrata. Oltre la luce la zona scura è la scala che consente di seguire il tubo sotto terra.

Anche a scendere il tubo s’interra, da livello terra, per circa 10/15 metri.
Scesi quindi complessivamente 20/25 metri ci ritroviamo di nuovo in un corridoio (foto che segue). A terra c’è meno acqua che in cima alle scale e quindi lo percorriamo. La densità di zanzare invece è rimasta invariata.

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La luce che filtra in alto sulla sinistra proviene (ne siamo ragionevolmente certi) da quell’incavo che si vede nella terza foto di questo rapporto. All’inizio.  Siamo quindi scesi nuovamente al livello delle casettine e dello sterrato: l’isola di cemento ballardiana.

Nella foto che segue siamo nel punto in cui nella foto precedente filtrava la luce.
Si tratta di una passerella:

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Davanti al tubo sul lato destro della foto si apre un nuovo corridoio in cui non ci siamo avventurati (nella foto che segue) dato che eravamo già da qualche decina di minuti fuori portata degli ufociclisti che ci attendevano in superficie.

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Abbiamo invece proseguito oltre la passerella nella direzione originaria dove si è aperta un’enorme stanza lunga almeno cinquanta metri. L’abbiamo percorsa interamente (foto che segue).

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Alla fine di questo ambiente il tubo s’infila in un condotto più piccolo ma comunque percorribile. Ma noi ci siamo fermati al di qua.
Il tubo è davvero enorme ed è probabilmente la condotta di uno dei tre acquedotti che convergono in questa struttura sotterranea.
Tecnicamente si tratta di una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo rapporto) un percorso altamente disciplinante, che sarebbe molto interessante seguire interamente per scoprire se conduce a inattese aperture in altre zone di Roma.

Siamo di nuovo fuori e riprendiamo il percorso originario verso Pietralata.
Passato il cavalcavia che supera via Tiburtina sulla nostra destra troviamo subito l’entrata di via Feronia.
Da qui inizia la ricognizione in cerca di tracce di conflitto atmosferico.
Abbiamo scelto scientemente via Feronia perché molto caratteristica.
Si tratta di una stretta strada a senso unico che di per sé è una scorciatoia (non ufociclistica ma in senso tradizionale dato che è percorribile in automobile). La via si sviluppa all’interno di una sorta di piccola enclave caratterizzata da zone di verde e case basse che le conferiscono un aspetto decisamente anomalo rispetto al resto del quartiere. La stessa via Feronia sbuca però su via dei Durantini non prima di aver mutato decisamente aspetto (atmosfera).
La strada quindi s’articola all’interno di due UDA visibilmente ben distinte e con i rispettivi bordi che confinano senza soluzioni di continuità. Una condizione, almeno in teoria, perfetta per verificare la nostra ipotesi circa l’alone d’interferenza.

Prima d’entrare più nel dettaglio nella situazione di via Feronia, cogliamo l’occasione per rettificare una mappa illustrata nell’atlante ufociclistico. Nell’atlante avevamo utilizzato, per esemplificare la voce scorciatoia, uno stretto budello che proprio qui in via Feronia inizia (o finisce a seconda del verso da cui lo si guarda). Eccolo nella foto che segue.

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Di natura esclusivamente pedonale, la bici si può portare a mano, costeggia un campo di calcio e collega via Feronia con via Marica facendo risparmiare molta strada a chi lo percorre.
Nel nostro nuovo sopralluogo via Feronia e via Marica appaiono caratterizzate da due diverse atmosfere. In linea del tutto generale le considereremo come due UDA che esprimono differenti emozioni al contrario di quanto ci era apparso in ricognizioni precedenti.  Questa strettoia collegando due UDA differenti e attraversandone una terza, a sua volta esprimente un’atmosfera diversa, diviene per definizione uno strappo (si veda questo resoconto).
Abbiamo scoperto tra l’altro che questo strappo ha un nome “ufficiale”: vicolo Concordia. Accompagnato “coerentemente” dalla scritta Duce come sempre più spesso a Roma si incontra.

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Abbiamo allora immaginato l’esigenza di chiamarlo in quel modo per via di storiche faide che negli anni si sarebbero consumate in quella striscia di terra tra squadre rivali dopo una partita giocata nell’adiacente campo di calcio. Ma è solo una divertente ipotesi.

Guardiamo ora la mappa della zona per comprendere meglio il concetto di bordo dell’UDA:

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Abbiamo grossolanamente delimitato le due UDA di via Feronia (sulla destra si può vedere il campetto di calcio di vicolo Concordia). A destra c’è l’UDA appena attraversata: l’enclave. A sinistra l’UDA ancora da esplorare. Lo spazio in rosso è l’alone d’interferenza che si forma dal congiungimento senza soluzione di continuità della due UDA di via Feronia. Ci aspettiamo di trovare qualcosa, dei segnalatori, degli indizi di conflitto atmosferico nella zona segnata in rosso. Guardiamola nella foto che segue:

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L’immagine è sfalsata perché malamente ottenuta unendo due foto. Ma poco importa.
Rimaniamo un po’ delusi: non ci pare ci siano evidenti segnali di conflitto atmosferico qui: qualunque cosa questo concetto implichi. E’ però molto evidente il bordo come lo avevamo rappresentato sulla mappa: sulla destra è visibile via Feronia con la sua UDA verde mentre sulla sinistra inizia un complesso di palazzi che produce un’atmosfera del tutto diversa.
Restiamo induisticamente fermi all’ombra in attesa di un’ispirazione e ci guardiamo intorno in cerca di tracce. Nulla.
Di fatto non è detto che i segnali del conflitto siano così palesemente visibili. Nulla ce lo garantisce e nulla ci garantisce che la scelta di questa via sia stata la più adeguata.
Fermiamo un’autoctona e le chiediamo se ha la pazienza di raccontarci qualcosa su quella via. Emergono dei fatti interessanti.
Tanto per iniziare proprio in quel punto, ma dalla foto non è visibile, c’è un’enorme antenna ripetitore telefonico che negli anni è stata al centro di dure battaglie nel quartiere perché sospettata di essere la causa di un incremento in zona di morti per cancro.
L’autoctona ci dice inoltre che pochi metri più avanti c’è un parchetto e che anch’esso è stato per anni oggetto di battaglie tra il locale comitato di quartiere e i proprietari privati. Alla fine, dopo molti anni, il comitato di quartiere l’ha spuntata ed è riuscito ad appropriarsi l’agognato parco (nelle foto che seguono).

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La gentile signora ci dice inoltre che l’ufficio postale di via Feronia (foto che segue) è noto per essere stato oggetto di molte rapine (evidentemente sopra la media).

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Ci dice che i paletti gialli (foto seguente) che sono issati davanti alle vetrine furono installati dopo che, a più riprese e sempre a scopo di rapina, furono accelerate, contro l’entrata a vetri, delle automobili in sosta al fine di appropriarsi del contenuto del bancomat.

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Tutto molto interessante, e se non ci trovassimo già abbondantemente dentro la seconda UDA, troppo distanti dall’alone d’interferenza (ad eccezione dell’oggetto antenna), potremmo in parte, forse, ritenerci soddisfatti. Usiamo un doveroso condizionale perché questa nuova concezione di conflitto atmosferico, di cui ci stiamo sforzando di verificare la consistenza, dovrebbe evidenziare dei sintomi, proporre dei segnalatori, al di là delle informazioni storiche note o reperite circa lo spazio indagato.
Intuitivamente ci saremmo aspettati di trovare smottamenti, interruzioni, crolli, tafferugli, graffi, barricate o evidenze del genere. Ci saremmo aspettati di rinvenire psico-dissuasori, filo spinato, voragini nel terreno, il matto del villaggio, cani forastici e feroci, galeotti in fuga, caduta meteoriti, gente armata e asserragliata. Il tutto suona forse un po’ ingenuo e scenografico e a pensarci bene, con le debite differenze e misure, assomiglia un po’ alla descrizione di una cuspide. E che quindi una cuspide nasconda anche un alone d’interferenza e viceversa? Per il momento non aggraviamo la situazione con ulteriori insondabili domande.
L’antenna in realtà è un buon indicatore ed è anche collocato laddove il “modello teorico” prevedeva di rinvenire oggetti del genere. Tuttavia ci pare che la sua comprensione contestuale, come segnalatore, richieda ancora una certa internità ai “fattacci” del luogo. Spesso la realtà sperimentale cozza con le attese previsionali.
Restiamo quindi (incomprensibilmente) insoddisfatti perché ancorati ad un un’idea molto teatrale di conflitto atmosferico. E’ forse la parola conflitto a trarci in inganno.
La concezione di conflitto atmosferico dell’APR, al di là dell’operare per tutt’altro scopo, è fuor di dubbio di matrice storiografica. Essa richiede una conoscenza del territorio pertinente e il meno possibile intessuta di buchi cronologici. In un certo senso sono lo psicogeografo e l’ufociclista che indossano le lenti dello storico.
La concezione che stiamo verificando ha invece più a che fare col lavoro dell’archeologo sperimentale: a partire da certe tracce, da certi segnalatori reperibili sul territorio (quali?), l’ufociclista dovrebbe poter ragionevolmente ipotizzare di trovarsi all’interno di un alone d’interferenza anche non sapendo nulla sullo spazio che sta attraversando.
Si tratterebbe di uno strumento davvero potente.

Ringraziamo la signora che è stata molto paziente e che ci vede andar via delusi. Avrà pensato di averci scoraggiati qualora fossimo stati intenzionati ad acquistare una casa in zona. E in effetti con quell’antenna…

Riprendiamo via dei Durantini e giriamo su via di Pietralata fino a via dell’Acqua Marcia. Anche qui s’avvicendano concomitanti due UDA. Applichiamo un ragionamento analogo a quello adottato per via Feronia e diamo un’occhiata all’alone d’interferenza (foto che segue) che si trova proprio all’incrocio tra Pietralata e l’Acqua Marcia.

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C’e’ una sorta di piccola Tunguska proprio lì dove ci aspettiamo di trovare qualcosa. Un boschetto raso al suolo, forse da un meteorite, e una baracca fatiscente e arrugginita. Tutt’attorno non ci sono segnalatori simili. Solo lì. Solo in quel preciso  e circoscritto punto.

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La baracca da un’altra angolazione. La fotografia è presa da via dell’Acqua Marcia

Ma una “prova” non basta ovviamente: ammesso che questa lo sia. Ci rincuoriamo forse un po’ e rimandiamo la verifica sperimentale della nuova categoria ad altre ricognizioni dove staremo attenti e vigili nel cogliere questo tipo di segnali. Su via dell’Acqua Marcia ci fermiamo ad ammirare un bel lavoro di ricolorazione dei palazzi (foto che segue):

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Il verde del primo palazzo è bellissimo. Il giallo del secondo lo è anche, ma il giallo (più ocra però suggerisce un’ufociclista) è già più comune a Roma.
Ci ripromettiamo di tornare a lavori finiti e di sperimentare qui la Tavola cromatica degli stati d’animo (si veda questo rapporto) per rilevare la tonalità emotiva dell’UDA: potrebbe essere molto interessante scontrarsi con colori così caratterizzanti e fuorvianti.
Condizionatori ovunque. Condizionatori come se piovesse.

Proseguiamo per via delle Messi d’Oro. Incontriamo il parcheggio sopraelevato della metro di Ponte Mammolo. E’ deserto in questo periodo. Un deserto composto da roventi placche di metallo.
Un ufociclista suggerisce trattarsi di una cuspide (foto che segue).

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Non è escluso che lo sia tanto più che in alcuni angoli si concentrano mucchi di stracci e altri tipi di detriti sicuramente originari. Contigua al parcheggio c’è anche un isola ecologica dell’AMA. L’isola ecologica non è una cuspide per le medesime ragioni per cui non lo era il parco di detriti incontrato all’inizio della ricognizione.
Ci soffermiamo un attimo a ragionare su questo fatto. L’ufociclista suggerisce trattarsi di una cuspide prioritariamente perché nel capitolo dell’atlante ufociclista che riguarda le cuspidi si dice che un parcheggio può esserlo.
La natura degli oggetti è sempre contestuale mai elettiva. L’ufociclismo mutua l’idea di una vocazione circostanziale degli oggetti incontrati dalla psicogeografia delle origini; mentre l’idea dell’inserimento dell’oggetto all’interno di relazioni gli proviene decisamente dallo strutturalismo. L’oggetto si trasforma quindi in un oggetto/sequenza (si veda l’atlante) il cui stato percepito è sempre momentaneo e circostanziale (situazionale). A questo proposito abbiamo già accennato in altri rapporti alla natura trans-oggettuale degli oggetti/sequenza (si veda anche questo rapporto), al loro mutare di ruolo nel tempo nello spazio ma anche entro le specifiche circostanze in cui esso è euristicamente inserito. Questo significa, in sostanza, che un oggetto può ricoprire più ruoli contemporaneamente che emergono isolatamente a seconda dell’angolazione e della prospettiva circostanziali da cui li si guarda.
Un parcheggio non è mai una cuspide per definizione quindi. Tuttavia può esserlo (e spesso un parcheggio lo è) in un dato momento della propria sequenza d’esistenza. Anche in questo caso è probabile che lo sia.

Risaliamo sul marciapiede contromano via Tiburtina nella sua parte sopraelevata. E’ un marciapiede per modo di dire. In quel tratto non interessato da abitazioni si è pensato che il passaggio di esseri bipedi o quadrupedi fosse opzionale. Un tratto di strada costruito abbastanza di recente immaginato solo ed esclusivamente a misura d’automobile.
Raggiungiamo una rampa da sempre chiusa di quel tratto (foto che segue) di via Tiburtina che in questo frangente assomiglia a un’autostrada:

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Si tratta di una scorciatoia vera e propria chiusa da barriere new jersey che impediscono l’entrata a automobili e moto. Le bici e i pedoni possono scavalcare.
Ci immette sul tratto finale di viale Palmiro Togliatti facendoci risparmiare un lungo tratto di percorrenza su via Tiburtina.

Risaliamo viale Togliatti per infilarci, invertendo la marcia, nuovamente sulla Tiburtina in direzione opposta rispetto a prima così da intercettare immediatamente un’altra rampa da sempre chiusa:

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Si tratta anche in questo caso di una scorciatoia che però a differenza della prima intercetta inizialmente una discarica:

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e poi una cuspide (foto che segue):

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La cuspide inizia sotto i piloni della sopraelevazione del tratto della metro B: Ponte Mammolo-Rebibbia. Risaliamo il dislivello verso le strutture di cemento laddove le sue tracce s’intensificano:

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Ci sono i segni dei generatori autoctoni della cuspide perché le intercapedini dei piloni sono saltuariamente abitate.

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Nella foto precedente abbiamo scavalcato i piloni nella direzione del fiume Aniene che però da questo punto non è visibile. E’ proprio davanti a noi al di là coperto alla vista dalla vegetazione.
Abbandoniamo questa scorciatoia.

Ci immettiamo nuovamente su viale Palmiro Togliatti in direzione di via Prenestina. All’altezza dei piloni della bretella Roma-l’Aquila (circonvallazione orientale: l’avevamo già incontrata qui a proposito del “parchetto sonico”) si apre un indecifrabile luogo (anch’esso probabilmente una cuspide in mancanza di altre definizioni o ipotesi migliori) che confina con un parco giochi. Di nuovo ci torna in mente Ballard:

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E’ uno spazio immenso e la foto non rende la sua ampiezza.
Lo attraversiamo per EVItare il “pericolosissimo” cavalcavia della Togliatti che scavalca la ferrovia FL2 (anche questa l’avevamo già incontrata qui) e c’addentriamo nel parco Baden Powell (il padre dello scautismo):

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Parco Baden Powell e canetto diffidente

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Ancora parco Baden Powell verso la fine

fino a via Grotta di Gregna. L’avevamo già incontrata all’inizio perché è la via dove abita la centrale elettrica che vedevamo dal parco che costeggia via Spencer.
Stiamo tornando al punto di partenza.
Ancora pochi metri e siamo su via Collatina e poi di nuovo via della Serenissima.

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Qui la mappa completa del percorso.

 

Collezioni e Tassonomie – La Rustica – Roma – 29/07/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena

Questa ricognizione/esplorazione ha avuto il compito di testare la consistenza di due categorie “minori” dell’UfoCiclismo: le collezioni e le tassonomie.
Spieghiamo immediatamente cosa intendiamo per minori.
Entrambe hanno una funzione di raccolta di oggetti/sequenza presenti sul territorio. In entrambi i casi le collezioni e le tassonomie preparano il terreno per l’analisi vera e propria selezionando preliminarmente gli oggetti che compongono il percorso analizzato o l’UDA studiata. Si tratta in altre parole di insiemi.
L’interrogativo che con questa esplorazione volevamo risolvere è il seguente: dato che la collezione si struttura come un insieme generale mentre la tassonomia come sottoinsieme (specializzato), è pensabile che la collezione, una volta organizzata in tassonomie, perda la sua funzione euristica e che quindi sparisca dall’orizzonte di un rapporto (un resoconto) definitivo?
Al contrario: la collezione può mantenere una sua funzione euristica nella decifrazione delle caratteristiche del territorio anche una volta che sia stato fatto un lavoro tassonomico di organizzazione sugli oggetti?

Partiamo dalle definizioni:
Tassonomia: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> tra loro omologhi. Idealmente tali oggetti sono tutti trasformabili l’uno nell’altro senza ricorrere ad azioni come strappi e cuciture (deformazione continua – omotopia).
Un insieme di <<tonal>> può ad esempio costituire una tassonomia“.
Collezione: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> somiglianti: non omotopici. Ad esempio <<tonal>> e <<totem d’incongruenza>>, <<affordance conflittuali>> e <<affordance attrattive>>. Si tratta di congruenze molto meno forti rispetto alla <<tassonomia>>“.
Lasciamo intatti i caporaletti presenti nell’atlante ufociclistico da cui abbiamo tratto le definizioni.

Siamo partiti da via di Tor Cervara angolo via Costi. Tecnicamente ci troviamo nel quartiere di Tor Cervara sulla tradotta che ci condurrà presso il quartiere La Rustica.
Non possiamo fare a meno di “collezionare” il primo oggetto/sequenza che ci si para dinnanzi:

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Il New York 777 – cafè – casinò, scommesse e lotterie… tanto. Tantissimo tutto concentrato in un solo edificio.
Emotivamente ci cattura e lo infiliamo nel nostro “sacchetto” che chiamiamo Collezione.
Ogni inizio è complesso: una ufociclista fa notare che l’oggetto dirimpettaio del New York 777 è però forse più interessante: “perché non partire da quello?“.  Lo riportiamo nella foto che segue:

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Nel sostenere la sua tesi l’ufociclista si lascia scappare un: “l’altro fa schifo!“… prendendosene anche la responsabilità giuridica.
E’ proprio quel “fa schifo” che supporta la scelta d’includerlo nella Collezione mentre ci spinge a non considerare degno di nota quello appena mostrato che, nella sua seppur più accettabile decenza, non esprime alcuna forza tonale. Lo schifo è invece una risposta ambientale ben più interessante, capace di caratterizzare un luogo fino ad arrivare a costituirne o a disgregarne la compattezza timica: quell’aura emotiva che esso compattamente emana.
L’ufociclista non sembra troppo convinta.

Procediamo quindi su via Costi e subito c’imbattiamo negli ex edifici del comando della guardia di finanza. Foto che segue.

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L’edificio è spettralmente abbandonato (per una mappa generale sulle occupazioni abitative si veda questo lavoro di Luca Brignone e Chiara Cacciotti.
inseriamo l’edificio nel sacchetto Collezione.
Via Costi è molto caratteristica. Si tratta di una larga strada senza abitazioni ma con edifici commerciali e amministrativi: una sorta di area neutrale posta tra Tor Cervara e La Rustica. Tecnicamente si potrebbe trattare di una enclave ma non è questa la sede per accertarlo.

In un cumulo di rifiuti poco più avanti troviamo Luigi il fratello di Super Mario.

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C’e’ anche Winnie The Pooh ma recuperiamo solo Luigi (che è qui nella sede ufociclistica pronto ad essere adottato da chiunque ne faccia richiesta).

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Ancora un oggetto da infilare nella Collezione: un ulivo che, non ce ne intendiamo, ma ci pare secolare. Ci viene in mente sempre a Roma la zona dell’Alberone che prende il nome da un leccio che non esiste più (qui ce ne parla Romano Talone accennando ad altre zone di Roma caratterizzate da altre specie di albero).
Ancora non azzardiamo ipotesi sul ruolo degli oggetti che stiamo incontrando; ci limitiamo invece a resocontarli.
Non siamo ancora a La Rustica ma questa inclusione di oggetti al di fuori dell’area che ci siamo preposti come caso di studio ha un senso che emergerà più avanti.
Proseguiamo per via Virgilio Guidi e poi finalmente per via della Rustica.
Poco prima ancora su via Guidi entriamo nel parco Fabio Montagna de La Rustica.
Non siamo in cerca di qualcosa in particolare ma continuiamo nella nostra raccolta.

Il parco è molto ben tenuto. All’interno è arredato con attrezzi ginnici e guide all’uso. Le abbiamo raccolte:

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Si tratta di oggetti molto interessanti che esprimono una forma morbida di comando e di disciplinamento. Nel loro incedere numerico progressivo formano quello che Foucault definirebbe un Ordine del Discorso che sofficemente disciplina il corpo, lo sottomette ed esclude, su di esso, altri discorsi imponendo la propria volontà di verità:
Ora, questa volontà di verità, come gli altri sistemi d’esclusione , poggia su un supporto istituzionale: essa è riconfermata, e rinforzata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri, dell’editoria, delle biblioteche, come i circoli eruditi una volta, i laboratori oggi. Ma essa è anche riconfermata, senza dubbio più profondamente, dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, dal modo in cui è valorizzato, distribuito, ripartito, e in un certo qual modo attribuito“.
Possiamo scorgere una sorta di sistema d’esclusione in ogni istruzione per l’uso che morbidamente invita ad un utilizzo “superiore” segnando il territorio dei comportamenti non convenzionali, degli esercizi disfunzionali. In questo caso in particolare possiamo immaginare che gli esercizi “comandati” poggino su un sapere ginnico sopra la media, tuttavia che sia per il bene comune, sia che non lo sia, esso imbastisce un efficace sequenza di comportamenti che in questo specifico è molto ben esemplificato. Non a caso si chiamano percorsi, proprio come i percorsi di vita, le rette o non rette vie, le strade che qualcuno ha costruito per portarci da qualche parte o le passerelle che conducono al patibolo.
Ci viene in mente che potremo proporre l’aggiunta di una nuova voce ufociclistica: ritmi. Così in via del tutto informale si tratterebbe di oggetti/sequenza capaci di stabilire un ordine prioritario di segnali sul territorio ricorrendo a continue (e ritmiche) riproposizioni dello stimolo: una tabulazione della coazione a ripetere (abbiamo trovato una cosa non dissimile durante una ricognizione precedente a proposito degli specchi convessi stradali) che con cadenza più o meno stabile impongono una certa punteggiatura allo spazio quotidiano.
Nel sacchetto quindi.

Il parco dal lato più a sud/est costeggia ordinatamente la ferrovia FL2 (foto che segue) in una sorta di confine naturale apparentemente invalicabile. Lo è di fatto da questo lato del parco.
La ferrovia sappiamo essere una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo resoconto) oppure l’atlante ufociclistico.

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Procedendo c’imbattiamo letteralmente in una fogna a cielo aperto che attraversa in più punti il parco (foto che segue) e qui nella veduta aerea.

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L’odore è nauseabondo ancor più in questa stagione di rapide fermentazioni. L’oggetto è comunque interessante e lo inseriamo nel sacchetto Collezione.
La fogna (o marana) segna il limite del parco oltre il quale si apre un parcheggio.
Lo attraversiamo e notiamo che al momento è accessibile ma ancora chiuso.
Su un lato di questo si apre un cancello (un’affordance attrattiva – si veda l’atlante ufociclistico) che dà sulla ferrovia. C’infiliamo restando da questo lato del passaggio (foto che segue).

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In invito esplicito a entrare che noi non possiamo non accettare.
Contempliamo come significativa anche questa affordance attrattiva che consegniamo alla nostra Collezione dato che essa ha un carattere più che semplicemente soggettivo. Un cartello (foto che segue) infatti invita a non entrare mentre un cancello spalancato ci urla esattamente il contrario. Non si tratta quindi semplicemente di un passaggio ma di una sorta di “trappola” a cui è difficile resistere: “Le affordance attrattive attraggono per definizione e spesso l’ufociclista si lascia catturare pur sapendo d’incorrere in una possibile trappola; e questo perché talvolta è saggio e intelligente farsi intrappolare investendoci tutta la propria soggettività“.
Anche questa nel sacchetto.

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Alla fine del percorso calpestabile (foto che segue) in lontananza scorgiamo gli ex studi televisivi della TVR Voxson di Tor Cervara da dove siamo venuti.

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Foto con mano e reperto ferroviario. Sta diventando una specie di classico.

Abbiamo abbandonato la ferrovia e siamo tornati nel parco perché avevamo lasciato in sospeso un percorso (foto che segue).

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Di nuovo al confine tra il parcheggio e il parco. Di nuovo di fronte alla fogna che avevamo poco prima incontrato. L’odore è insopportabile al limite del mancamento. Davanti a noi si apre una misteriosissima ciclabile che continua a seguire imperterrita il corso della marana. Eroicamente c’infiliamo sprezzanti dell’epatiti.

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Scopriamo che la ciclabile costeggia la ferrovia proprio dalla parte che, precedentemente, dal parco sembrava inaccessibile.
Nella foto precedente il sottopasso che scavalca le rotaie. Qui l’intero tracciato.

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Incontriamo due campi da tennis in buono stato e tutta la ciclabile sembra manutenuta non di recentissimo ma comunque presidiata.

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Siamo giunti alla fine della ciclabile. Chiusa. Si affaccia su via della Stazione di Tor Sapienza. Ci siamo imbattuti nuovamente in una varietà dimensionale d’ordine inferiore (1 dato che si tratta di una ciclabile) che è anche uno strappo (si veda anche questo resoconto). Ancora una volta ci rendiamo conto che urge una ridefinizione del concetto di varietà dimensionale così come era stato presentato nell’atlante ufociclistico.

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I fruitori dello strappo hanno comunque trovato una soluzione al dato di fatto che esso è ancora chiuso: come si può vedere nella foto precedente con la grata divelta. Ciò ci conferma l’importanza strutturale di questi oggetti all’interno del contesto urbano.
Secondo noi si tratta di uno strappo e non di una scorciatoia (si veda l’atlante ufociclistico) perché ci troviamo in presenza almeno di due UDA (il parco Montagna e Tor Sapienza) uniti da una ulteriore UDA con proprietà irriducibili alle precedenti (la ciclabile).

Siamo tornati indietro, di nuovo nel parco, dato che ancora dobbiamo inoltrarci verso La Rustica vera e propria.
Incontriamo un centro estivo con piscina (nella foto che segue):

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Ghiacciolo all’arancia nel chiosco che sa di mare e poi torniamo rapidamente sulle tracce di un’antica via romana (forse la vecchia Collatina):

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Qui la via dalla vista aerea.
La strada romana è interessante e anch’essa finisce nel nostro sacchetto Collezione.
Usciamo finalmente dal parco Fabio Montagna.

Siamo su via della Rustica e ci imbattiamo nel murales in ricordo di Lucio Conte:

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Anche questa sorta di cenotafio è di particolare interesse.
Facciamo l’ennesima sosta al nasone (fontanella) così da constatare che nella squadra un’ufociclista in particolare ha esigenze idriche fuori dalla norma.
Procediamo e c’imbattiamo nella interessantissima parrocchia di S. Czestochowa la Madonna Nera (foto che segue):

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La chiesa ha un aspetto compatto e minaccioso che ricorda una sorta di bunker.
Due reperti quelli appena incontrati (il cenotafio a Conte e la parrocchia) che si affrontano a poca distanza l’uno dall’altro ricordandoci la lotta tra Peppone e Don Camillo.

Più prosaico il murales della ASR Roma a largo Crivelli a pochi metri di distanza. Probabilmente storico.

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Siamo giunti al limite de La Rustica. La via finisce su un campo di calcio qui mostrato nella foto aerea.
Al lato destro del campo sportivo (venendo da via della Rustica) si apre un parco che abbiamo visitato. Termina dietro al campo con una sorta di sotto-parco recintato e arredato con belle panchine verdi in metallo.
Vale la pena visitarlo assolutamente (nella foto successiva):

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Affaccia sulla circonvallazione orientale che dista pochissimi metri dalle panchine come è visibile in foto. La circonvallazione orientale è una sorta di autostrada in cui sfrecciano automobili di continuo e il frastuono che ne deriva obbliga gli avventori a urlare per parlarsi. Surreale.
Mettiamo anche il sotto-parchetto nel sacchetto Collezione.

Torniamo indietro. Abbiamo già raccolto parecchi oggetti/sequenza.
Percorriamo via Galatea che costeggia il campo di calcio per riprendere, con un giro largo, via della Rustica. C’imbattiamo in un enorme cunicolo piantato sotto i piloni della circonvallazione orientale (foto che segue) che conduce al sottosuolo:

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E’ così ampio che potrebbe entrarci tranquillamente e comodamente un adulto strisciando. Potrebbe essere il Santo Graal della speleologia urbana romana. Non ne sappiamo niente e attorno a noi non c’e’ nessuno a cui chiedere. Quante generazioni di palloni ci saranno finiti? Quanti animali domestici scomparsi? Il tubo ha l’aspetto di una fàuce spalancata pronta a divorare il quartiere.
Pericolosissimo.
Anche questo nella Collezione.

Improvvisamente via Galatea diventa via Damone che termina su una strada sterrata posta a pochi metri dalla circonvallazione orientale (si veda la foto successiva):

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Si tratta di una scorciatoia (la struttura sulla destra sono i pannelli frangi rumore che danno sulla circonvallazione orientale). La scorciatoia sbuca su via Delia ed è notevolissima perché le due strade, attraverso altri percorrimenti, risultano invece molto distanti.
Si tratta di una scorciatoia (e non di uno strappo) perché le tenute tonali di via Damone e di via Delia paiono, almeno ad una prima ricognizione, identiche.
Ottimo: anche questa archiviata e messa nella Collezione.

Fin qui il lavoro “bruto”  di raccolta degli oggetti/sequenza incontrati durante una ricognizione.
Fin qui il ruolo svolto dalla collezione così come previsto, ma che poco ci dice circa l’interrogativo iniziale.
Lo ricordiamo:
tirati fuori dal “sacchetto” tutti gli oggetti/sequenza incontrati e tassonomizzati in varie categorie avremo ancora bisogno della collezione come strumento euristico o potremo dichiarare il suo ruolo terminato ai fini della compilazione del rapporto?

Procediamo con la tassonomia sperando che emerga in autonomia la risposta.
Svuotiamo il sacchetto Collezione:

1) l’inquieto New York 777 – totem d’incongruenza/flap (si veda l’atlante ufociclistico o il glossario on line);
2) il fortino ex comando della guardia di finanza – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
3) l’ulivo centenario – attrattore;
4) il percorso ginnico disciplinante – affordance consce/flap;
5) la marana repellente – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
6) l’attrattiva FL2 – affordance attrattive;
7) la varietà dimensionale 1 (ciclabile) – strappo (si veda anche questo resoconto);
8) la anonima strada romana – cuspide (si veda anche questo resoconto);
9) il murales a Lucio Conte – attrattore/tonal;
10) la parrocchia di S. Cezstochowa – attrattore/tonal;
11) l’ASR di largo Augusto Corelli – attrattore;
12) il parchetto sonico – cuspide (si veda anche questo resoconto);
13) l’accesso al sottomondo della circonvallazione orientale – varietà dimensionale 1 (si veda anche questo resoconto);
14) lo sterrato di via Damone – scorciatoia.

Per le categorie non note si consulti l’atlante ufociclistico.

Abbiamo proceduto ad una prima attribuzione di ruoli che in caso di rapporto andrebbe ulteriormente approfondita.
Tra l’altro stiamo sommando oggetti/sequenza che tagliano trasversalmente più UDA e che si estendono anche oltre l’area d’indagine prefissata: come abbiamo spiegato all’inizio, questa ricognizione ha uno scopo “didattico” più che realmente conoscitivo quindi ci siamo calati in una condizione estrema mentre molti di questi oggetti potrebbero non essere associabili per definizione.
Procediamo quindi con la tassonomia:

Gruppo 1) 1, 2, 5.
Gruppo 2) 4, 6.
Gruppo 3) 3, 9, 10, 11.
Gruppo 4) 8, 12.
Gruppo 5) 7, 14.
Gruppo 6) 13.

Siamo stati incerti se unificare il gruppo 5 e il gruppo 6. Questo tipo di semplificazioni riguardano il contesto d’uso dell’oggetto e quindi appartengono ad una sorta di pragmatica contestuale o situazionale.
Rileggendo la definizione di tassonomia (all’inizio di questo rapporto) si comprende infatti l’esistenza di una sorta di trans-oggettualità perché gli oggetti possono appartenere a gruppi diversi a patto che tale apparentamento rispetti l’unica condizione posta, cioè quella della omotopia. La decisione è quindi pragmatica e funzionale alla coerente costruzione della mappa. In questo senso, ad esempio, avremmo potuto creare un gruppo con varietà dimensionale 1 e scorciatoia se avessimo voluto “sottolineare” questa caratteristica “filiforme” per lo spazio indagato.

I gruppi 1 e 3 si pongono all’apice del vertice di una ipotetica piramide valoriale sfidandosi, nel caso delle UDA ad esempio, sull’asse più importante: quello di aggregazione vs disgregazione.

A questo punto saremo pronti per organizzare gli oggetti entro specifici contesti di studio rilevando quali funzioni peculiari essi assolvano nella determinazione di UDA o di ley line.  Non lo faremo ovviamente.
Il problema che rimane senza soluzione è quello di che fine faccia lo strumento collezione ora che è stato, per così dire, svuotato.

Ci torna quindi utile aver forzato l’inclusione di oggetti al di fuori dell’area prescelta per il nostro esperimento e cioè gli oggetti 1, 2, 3.
A rigore essi non andrebbero contemplati entro lo spazio de La Rustica invece noi li abbiamo inclusi perché “attrattori” percettologici insiti nel complessivo percorso tracciato. Più semplicemente potremo affermare che i confini artificiali di un qualunque spazio non vanno mai intesi alla lettera perché ovviamente essi si sfrangiano in zone d’interferenza (alone d’interferenza). Lasciare fuori per principio (o per troppo perfezionismo) gli oggetti che popolano tali aree potrebbe compromettere l’analisi dello spazio. Ecco che allora la collezione ci torna utile come una sorta di “registro di lavoro” in cui includere al margine gli oggetti che potremo non necessariamente immediatamente tassonomizzare. Mancando di categorizzazione essi rimarrebbero disponibili, “aperti”  come possibili caratterizzatori timici dello spazio. La collezione mantiene quindi una funzione di “scorta”, da cui ripescare ruoli che potrebbero non essere contemplati nello spazio circoscritto che è il nostro nucleo d’analisi.

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Guarda la mappa completa.

 

 

 

Strappo – via Assisi – Roma – 22/7/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide

Gergalmente lo  “strappo” a Roma è il passaggio dato al volo, improvvisato, che consente evidentemente di percorrere tratte più velocemente e agevolmente rispetto ai mezzi che si avrebbero a disposizione per compiere lo stesso percorso.
“Ti do uno strappo”  indica, in maniera informale, la disponibilità ad accompagnare qualcuno da qualche parte facendole risparmiare tempo.

Non poco probabilmente l’UfoCiclismo ha integrato questo gergalismo nella sua concezione di strappo tanto più che anche in topologia esso indica un’operazione di discontinuità rispetto all’omeomorfismo delle UDA (si veda l’atlante UfoCiclistico) che per trasposizione vengono “violate” da passaggi atti a far risparmiare tempo nello spostamento in altre UDA. A differenza dalla scorciatoia, lo strappo ha caratteristiche peculiari. Da definizione esso è un: “Passaggio di natura concreta o/e di natura emozionale che connette elementi di una <<collezione>>. Gli strappi si distinguono quindi dalle <<scorciatoie>> per il fatto di mettere in comunicazione, ad esempio, punti di UDA differenti” (si veda l’atlante UfoCiclistico). Ancora, la caratteristica di uno strappo (ne avevamo già parlato qui) è quella di attraversare (collegando due UDA) un terzo spazio, spesso un’enclave, caratterizzato dallo sprigionare una colorazione emotiva irriducibile a quella dei due spazi adiacenti.
Lo strappo è quindi un concetto fondamentale dell’UfoCiclismo nella precisa definizione di un’UDA perché stabilisce attributi specifici e irriducibili ad una condizione (quella delle scorciatoie) che è peculiare del mezzo bicicletta stesso.
La bici per propria natura è una cacciatrice di scorciatoie, importante è quindi dettagliare le caratteristiche di uno spazio o di una condizione d’attraversamento (ufociclisticamente si parla di oggetti/sequenza) che pur molto simile alla scorciatoia è ad essa invece irriducibile.

Siamo tornati quindi sullo strappo di via Assisi a Roma che avevamo trattato nell’atlante. Partiamo da quella mappa quindi:

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Questa è la situazione (da manuale) che andremo a riesplorare con due UDA caratterizzate da differenti tonalità emotive e un passaggio (lo strappo) che attraversa un’altra UDA, in questo caso un’enclave (per la definizione di enclave si veda l’atlante UfoCiclistico).

Ce la siamo presa un po’ comoda e abbiamo iniziato questa ricognizione da uno dei quadranti estremi di Roma sud/est: il quartiere di Tor Tre Teste di cui abbiamo relazionato di un recente avvistamento UFO.
Siamo su via Viscogliosi quasi all’angolo con via di Tor Tre Teste. Qui si apre uno dei tanti varchi al parco Giovanni Palatucci più noto come parco di Tor Tre Teste.

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Lo attraversiamo tangenzialmente uscendo su via Castelli (nella foto che segue).

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La strada a senso vietato che intravediamo è via delle Nespole. Ne percorriamo pochi metri fino all’entrata in un altro parco (di cui non conosciamo il nome).

Prima ci soffermiamo sul “graffito” di Holly e Benji della Scuola Calcio Elite Savio su via Castelli (nella foto che segue).

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Via delle Nespole dicevamo quindi. Siamo già nel quartiere Alessandrino. Pochi metri come detto ed eccoci all’entrata del secondo parco.


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Se non la si conosce ci si può facilmente sbagliare perché sembra un’entrata privata. Si tratta a tutti gli effetti di una scorciatoia sopratutto provenendo dal senso vietato di via Castelli.  In fondo alla fila di macchine parcheggiate sulla sinistra c’é il parco che attraverseremo.

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Qui qualcuno o qualcosa sta dipingendo le panchine di un bel rosso.
Usciamo su via Bonafede. Per prendere subito via delle Passiflore. Attraversiamo viale Alessandrino per prendere viale della Bella Villa e poi via dell’Edera che ci porta direttamente sull’intersezione (si veda l’atlante UfoCiclistico) di viale Palmiro Togliatti altezza via Casilina (per il concetto d’intersezione si può leggere anche il resoconto della ottava ricognizione ufociclistica).

E’ un piccolissimo tratto quello che percorriamo sull’intersezione Togliatti (su ciclabile tra l’altro – da molti ritenuta la peggior ciclabile dell’universo); ci immettiamo infatti immediatamente su via Casilina.
Giusto il tempo di soffermarsi sugli scavi nei pressi della stazione di Centocelle (vedi foto che segue) su cui torneremo in maniera più dettagliata quando approfondiremo il concetto di UDA contattistica (si veda latlante UfoCiclistico).

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Un “vitone” blocca rotaie. I reperti archeologici (visibili dietro la vite) infatti sono posizionati esattamente al centro della ferrovia Roma-Giardinetti

Costeggiamo il parco di Centocelle per giungere fino a via di Centocelle. Qui percorriamo il tratto interessato agli incendi tossici del 2017 (e anche su questi torneremo a proposito della UDA Contattistica). Nella foto che segue, su via di Centocelle, il canalone da cui nel 2017 iniziarono i roghi che caratterizzarono l’estate tossica di quella parte di Roma.

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Arriviamo quindi a via degli Angeli e lì fino all’incrocio con via di Porta Furba/via di Tor Pignattara (nella foto che segue).

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Da qui si accede al quartiere del Mandrione dove risiede finalmente lo strappo.
Nella foto sopra quella che s’intravede è ancora via degli Angeli caratterizzata da una commistione di architetture nuove e altre risalenti agli anni Quaranta. La caratteristica più evidente del quartiere (una borgata) è il riutilizzo che fu fatto in senso abitativo dell’Acquedotto Felice negli anni sul finire della Seconda Guerra Mondiale (wikipedia). Lo vedremo tra poco.
Attira la nostra attenzione invece un’altra caratteristica: l’abbondante presenza di specchi convessi stradali in questa zona.
Ne abbiamo fatta una mappa.

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Il primo specchio su via degli Angeli (1).

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Sempre via degli Angeli. A destra una tipica casa bassa del Mandrione mentre a sinistra su un altro livello stradale (più basso) si ergono i palazzi di Tor Pignattara.

Adiacente al caratteristico scorcio mostrato nella foto precedente un altro specchio (2).
Ancora via degli Angeli:

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Nella foto che segue l’angolo con via dei Savorgnan (sul lato sinistro le automobili bellamente accomodate sul marciapiede):

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Sul lato opposto dell’incrocio un altro specchio (3) – la foto seguente:

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Siamo sempre su via degli Angeli. Se rotassimo la testa vesro destra vedremmo via dei Savorgnan.

Procediamo su via degli Angeli e attraversiamo la galleria del ponte della stazione Casilina.

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Il ponte tecnicamente è un occultatore (si veda latlante UfoCiclistico) o si può vedere questo resoconto.
Attraversata la galleria un nuovo specchio su via del Mandrione (4):

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A destra la strada è interdetta mediante psico-dissuasori (si veda latlante UfoCiclistico o il glossario on line).

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L’interdizione (forse solo momentanea) rende questo pezzo di via del Mandrione una scorciatoia o uno strappo (da definire) dato che attraversandolo è possibile mettere in comunicazione due aree altrimenti tra loro molto distanti.

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Nelle due foto precedenti l’area di via del Mandrione interdetta alle automobili.
Che pace.

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Un altro psico-dissuasore (un dosso artificiale) che serviva a moderare la velocità dei mezzi a combustione quando la via era aperta.

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Ancora via del Mandrione, nella foto precedente, e a pochi metri di distanza dallo psico-dissuasore un altro specchio (5). La sua posizione è curiosa visto che da quella angolazione e quella altezza permette a coloro che solo al di là del muro di vedere cosa accade in strada a mo’ di una telecamera.

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Un altro specchio (foto precedente). Sempre via del Mandrione (6).

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Nelle quattro foto precedenti una sequenza ravvicinatissima di specchi (cinque). Rispettivamente (6 -7 – 8 – 9 – 10)

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Nella foto precedente inizia (da questa parte di via del Mandrione direzione Casilina) la sequenza di archi dell’Acquedotto Felice chiusi (un tempo) e trasformati, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, in abitazioni di fortuna (baracche). Gli archi spesso sono piastrellati perché costituivano la cucina o il bagno di una baracca prospiciente.

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Nella foto precedente la piastrellatura è ancora evidente all’interno di un arco.

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Un altro specchio (11) e poco più avanti (foto successive) altri due. Rispettivamente (12 – 13)

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Un altro arco (foto che segue) un tempo adibito ad abitazione. E’ visibile la finestra che dava sul retro e un finestrino ancora più piccolo che forse era il bagnetto.

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Eccoci quindi all’entrata dello strappo (foto che segue).

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Il filmato precedente documenta lo stato di via del Mandrione nel 1973.
E’ riconoscibile l’acquedotto, e lì dove oggi sono visibili solo le tracce degli archi un tempo abitati, il filmato documenta dello stato delle baracche così come un tempo si dispiegavano lungo tutta la strada.

Prima d’addentrarci riguardiamo la mappa:

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Il cerchio rosso indica la posizione da cui è stata presa la foto precedente (l’entrata dello strappo) mentre la freccia rossa il senso di percorrenza fin qui eseguito su via del Mandrione.
Nell’ordine:
1) vediamo l’area senza la mappatura ufociclistica e
2) osserviamo come si compone fisicamente l’enclave attraversata dallo strappo.

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Come è possibile vedere l’area non mostra chiaramente il passaggio che stiamo esaminando. Topograficamente in rosa sono segnati gli edifici civili abitativi mentre in viola le aree industriali o addette a magazzini. Questo ci dà un’idea della composizione fisica dell’UDA di sinistra.

Ora capiamo quali sono i limiti fisici e la composizione dell’enclave che circonda lo strappo.
Riferendoci sempre alla foto precedente dell’entrata dello strappo a destra abbiamo la ferrovia (foto che segue).

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Mentre a sinistra è inaccessibile alla vista perché occupato da un’abitazione privata adiacente l’acquedotto.  Ecco cosa possiamo scorgere (foto che segue):

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Nella foto precedente (col riferimento sempre alla foto dell’entrata dello strappo) guardiamo al limite sinistro dell’enclave in uno spazio tra l’acquedotto e l’abitazione privata. Ancora non siamo entrati nello strappo.
La visione aerea ci chiarisce un po’ meglio la consistenza dell’enclave:

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Di nuovo: il cerchio indica l’entrata mentre il contorno rosso l’enclave. Davanti al cerchio l’entrata dello strappo.
L’enclave si presenta quindi come un indistinta proprietà privata: in basso  prevalentemente verde inaccessibile mentre in alto essa confina con la ferrovia. A destra c’é un’UDA costituita da piccole palazzine ed ex baracche condonate mentre a sinistra la città riprende il suo aspetto quasi abituale se non fosse che quest’area anticamente, costeggiando la ferrovia, era destinata a magazzini e ad attività produttive (quelle dal colore viola) e quindi ha un spetto abbastanza anomalo rispetto al resto del quartiere Tuscolano nel quale s’immette.

Entriamo quindi nello strappo:

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Un coppo “segnalatore” su cui è indicata la strada da seguire poco prima di superare l’arco d’entrata.

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Appena superato l’arco d’entrata (foto precedente) s’intravede l’enclave (proprietà privata).

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Davanti a noi: ecco il primo tratto dello strappo (foto sopra) fino al palo visibile (foto che segue).

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Sul palo già preso di mira dagli stickeristi lasciamo un adesivo: “la bicicletta buca la trama spaziotempo della città“… appropriatissimo!

Voltiamo a sinistra sempre lungo lo strappo:

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E raggiungiamo la salita a spire che termina su via Assisi (vera e propria) dove la città riprende il suo aspetto tradizionale:

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La parte terminale (provenendo da via del Mandrione) dello strappo: la salita a spire.

Si tratta di uno strappo molto importante perché ciclopedonalmente mette in comunicazione via Casilina con via Tuscolana (le due arterie più grandi in quella sezione della città) che altrimenti sarebbero (pur costeggiandosi a raggiera) tra loro molto distanti.
Le due arterie distano rispettivamente 1.09 chilometri mediante lo strappo e 2,34 chilometri senza strappo (si veda la mappa interattiva).

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Sul lato destro della parte finale dello strappo (foto precedente) si apre un percorso alternativo il cui ripetuto uso non previsto ha messo a nudo la struttura in ferro soggiacente. Passando da qui si evitano le spire e si giunge diretti all’ultima rampa percorrendo lo strappo nel senso inverso a quello da noi appena percorso: una scorciatoia in uno strappo.

Segue la mappa dell’intero percorso:

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