Le UDA armoniche – atto primo

Di Cobol Pongide

Per Unità d’Ambiance (UDA) intendiamo quello spazio interessato dall’intervento umano che esprime compattamente una certa atmosfera, trasferendo o essendo investita, da un certo stato d’animo, su o da parte di chi l’osserva.
Esistono molti modi di circoscrivere l’UDA. L’UfoCiclismo visivamente utilizza una specifica tavola colori (la Tavola Cromatica degli Stati d’Animo) per delimitarne la continuità atmosferica di questo spazio. Si tratta di un modo prioritariamente (ma non esclusivamente) visivo di sintetizzare l’influenza esercitata su, o da, un’UDA.

Nel caso che vado a raccontare le UDA posseggono una compattezza in termini uditivi che, in via del tutto generale, come ufociclist* definiamo UDA armoniche. Va da sé, che la scelta di modi diversi di rilevare la continuità di un’UDA produce sovrapposizioni e accavallamenti tra spazi che abbiamo definito interUDAli (si veda l’atlante Tattico per approfondimenti).
La modalità con cui la compattezza dell’UDA armonica si propaga prevedono: una sorgente sonora e un fronte d’onda. In questo caso, la sorgente sonora costituisce il tonal, il fronte d’onda rappresenta l’attrattore, mentre ostacoli e rumore di fondo costituiscono psico-dissuasori (in questo caso dissuasori psico-acustici) e totem d’incongruenza (come nel caso d’ostacoli che intralciano la diffusione).
Una stanza completamente vuota e isolata al cui centro un corpo vibri, è considerato il caso ideale di UDA armonica: caratterizzata da una sorgente che diffonde in maniera indisturbata la continuità del fronte d’onda, il cui raggio d’azione è delimitato da deflettori (totem d’incongruenza).

Ammenoché la sorgente sonora non sia continua (quindi ininterrotta), l’UDA armonica è sempre un’UDA situazionale, ovvero essa si genera allorquando il tonal venga, per così dire, lasciato vibrare.
L’essere temporanea dell’UDA armonica è probabilmente una delle sue caratteristiche più interessanti. Spesso essa è anche portabile a differenza delle UDA stabili principalmente generate da una certa configurazione architettonica. Ad esempio, il boombox è, in questo senso, un ottimo generatore di eterotopie armoniche UDAli.
Infiltrandosi in UDA già esistenti, per via della portabilità, le UDA armoniche possono assecondare e rafforzare l’atmosfera dell’UDA ospite (far suonare l’Internazionale durante un corteo antagonista, ad esempio), oppure funzionare da totem d’incongruenza e operare contro la compattezza (suonare musica in piena notte, ad esempio). In questo ultimo caso il totem prende in gergo il nome di ordigno sonico.
Il più antico ordigno sonico portabile (semovente, in questo caso) di cui si ha conoscenza è il parasaurolofo. E’ possibile apprezzare il suo operato in questa ricostruzione in cui vengono esaltate, senza mezzi termini, le virtualità dei suoi infrasuoni.
Ovviamente la propagazione dell’UDA armonica, in condizioni ideali, avviene concentricamente ed è direttamente proporzionale all’intensità del suo tonal.

Un marciapiede lapideo è sempre una affordance attrattiva per i ciclisti urbani. La vibrazione, o la sua totale assenza, produce un irresistibile richiamo: una sensazione che dai pneumatici si trasmette direttamente al corpo lambendo, tra le prime, alcune zone erogene.
Alcuni ufociclist* propongono di definire questo particolare tipo di affordance col concetto di “linee del desiderio” o “linee desideranti” in una modalità, quest’ultima, che riporta alla mente la terminologia utilizzata da Deleuze e Guattari. Su ciò non esiste ancora un accordo generale e quindi la categoria non è entrata a far parte del lessico analitico.
Il problema principale risiede in quel “linee” che nell’ufociclismo (così come pure nella psicogeografia) sta prioritariamente a indicare le ley line.
Staremo dunque a vedere. Il dibattito al momento è intenso, ma non concitato.
Un altro versante ufociclistico, secondo me più interessante, propone di definire tale esperienza come affordance desiderante. Personalmente mi sento più avvinto da questa seconda accezione (anche se terminologicamente un po’ troppo generica e inutilmente roboante) che sottolinea esattamente quanto, poco sopra, sostenevo. Le particolari vibrazioni che i marciapiedi lapidei (ma non solo) trasmettono al corpo, hanno generalmente una funzione, per così dire, “emolliente”, che tende a rilassare senza per questo abbioccare. Ciò anche perché il tratto percorso sul marciapiede spesso consente ai ciclisti urbani di alienarsi momentaneamente dal traffico automobilistico. I due effetti combinati producono un risultato benefico sul corpo di chi pedala: un transitorio senso d’euforia alienata.

Le UDA di cui sto per parlare assumono entrambi i caratteri sopra elencati, quello armonico e quello tipico delle affordance attrattive, in quanto la loro emersione temporanea avviene transitando con la bici su dei marciapiedi.

L’UDA armonica di via Principe Eugenio

Sono a pochi sparuti passi da piazza Vittorio (Roma), punto d’incontro della CM mensile (ogni ultimo venerdì del mese).
Da qui fino a Porta maggiore s’articola questa strada a doppio senso di marcia (che nel tratto più vicino allo slargo prende il nome di via di Porta Maggiore) che finisce direttamente all’interno di un omphalos (Porta Maggiore, appunto). Qui convergono molti acquedotti romani e sopratutto iniziano le ley line di via Prenestina e di via Casilina.
Porta maggiore è anche una potente piattaforma girevole, che ha la caratteristica di “spazzare” quel quadrante producendo vortici disorientanti da cui non è sempre possibile emergere integri. La piattaforma girevole ha questa funzione scombussolante e rigenerante all’interno degli spazi antropici: produce quel caos che può fondare nuovi percorsi, nuove destinazioni e far scoprire luoghi di cui non si immaginava di provare desiderio.

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Porta Maggiore.

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Porta Maggione ufociclizzata. Vortice-piattaforma girevole.

Sono quindi sul marciapiede di via Principe Eugenio con alle spalle piazza Vittorio, sul lato sinistro attenendomi al convenzionale senso di marcia. Il marciapiede è come dicevo lapideo, composto di piccole lastre rettangolari, di cui molte divelte. Non so di che materiale si tratti. Ho cercato ma non ho trovato nulla di definitivo a tal proposito. Quindi senza saperne nulla direi basalto; ma giusto per dire qualcosa di sentito dire.

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Proprio la circostanza per cui le lastre di pietra sono divelte e sconquassate le rende dei generatori di suono producendo, quindi, l’UDA armonica. Il diametro del generatore (della sorgente sonora) è quello mostrato dal vettore nella mappa precedente (che mostra anche direzione e verso del mio pedalare). Esso s’estende da via La Marmora a viale Manzoni. Dopo quest’ultima, la composizione del marciapiede rimane la stessa, ma esso non emette più quel caratteristico suono figlio dell’incuria. Il marciapiede diviene noiosamente stabile, senza più alcun grillo per la testa.
I palazzi alla mia sinistra e sulla destra funzionano da deflettori continui (al netto delle strade che li tagliano), il che delimita “naturalmente” l’influenza dell’UDA.
Ecco quindi il suono generato:

E’ tutto piuttosto confuso (da qui lo “Atto primo” nel titolo, giacché mi ripropongo di effettuare nuovamente la registrazione con mezzi più adeguati che chiederò in prestito). C’è sempre molto rumore di fondo probabilmente perché sprovvisto di un microfono direzionale adeguato. Tuttavia anche in questa primitiva registrazione si comprende efficacemente il timbro e la peculiarità percussiva del suono. Di fatto il tutto ricorda l’armonia generata dalla percussione di un martelletto su una superficie in pietra.
Il timbro in questione è piuttosto cupo e profondo, leggermente cavernoso e, a volerselo un po’ strappare di bocca, bene s’addice a questa strada che si fa spazio tra antichi e massicci  palazzi di ormai qualche ammasso di lustri.
Restando fedele all’impressione uditiva cerco un corrispettivo visivo nella Tavola Cromatica degli Stati d’Animo provando ad associare rumore e colore. Per quel che mi riguarda si tratta del colore 12. Facendo riferimento all’atlante tattico scopro che il 12 (HEX (#): C5912F) è il limite superiore del cluster che ha il valore medio in 10. Sapore – “Amaro: ambiance inquieta, tremebonda“. Tutto ciò nel suo estremo più alto e quindi più vividamente caratterizzato.
La cosa mi sorprende un po’ in effetti, dato che la strada si presenta apparentemente ben sedimentata e a suo modo quieta. Il responso cromatico però s’armonizza con una ricognizione che facemmo tempo addietro, proprio nell’area di piazza Vittorio. Allora parlammo del tonal radiante rappresentato dalla sede di Casapound, lì a pochi passi. Parlammo di una possibile contrapposizione d’ambiance tra M.A.S. i Magazzini allo Statuto (storico e caratteristico esercizio-bazar della zona) e la sede fascista di via Napoleone. Altresì rilevammo l’importanza della Porta Alchemica proprio al centro della piazza, l’antico tonal della zona (si veda l’atlante Tattico).
Tutti questi attributi, paiono ancora in competizione tra loro e tale contrapposizione ci restituì allora un’impressione di UDA instabile, forse ancora in divenire; sensazione compatibile ancora oggi con il mio responso cromatico.
Tutta quest’ultima considerazione è però frutto di una evidente e consapevole sovrainterpretazione, giacché resterebbe da spiegare come la composizione atmosferica della zona di piazza Vittorio possa riverberarsi e rinascere in un’UDA armonica temporanea, generata da mattonelle sconquassate.

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L’UDA trattata con la tavola cromatica degli stati d’animo

Mi limiterò allora a rilevare l’UDA armonica ivi generata dal passaggio della mia bicicletta mtb a pneumatici tacchettati.
Nella mappa precedente, quindi, l’estensione dell’UDA armonica di via Principe Eugenio.
Dal punto di vista dell’autoinduzione di stati d’animo (alla maniera psicogeografica e anche, forse, nell’unica modalità con cui un’UDA del genere può essere utilmente considerata), mi pare si possa dire che questo attraversamento generi, in chi lo intercetta, un sentimento d’inquietudine: forse un’UDA per inquietarsi. L’effetto è ovviamente molto smorzato dal rumore di fondo che in questa città è ossessivamente ininterrotto.
Il corrispettivo marciapiede sul lato opposto è, nel momento in cui scrivo, invece privo di emissioni sonore. La pavimentazione infatti appare saldamente piantata con i piedi per terra.

L’UDA armonica di via Prenestina

Tra via Principe Eugenio e via Prenestina (la prossima meta) ci sono poche centinaia di metri. Superata Porta Maggiore, dirigendosi verso est, inizia infatti l’antica consolare.
Bisogna pedalare ancora pochi minuti prima di trovare, nella medesima direzione di marcia, un marciapiede (qui una foto trovata in rete) non dissimile da quello dell’UDA precedente.

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La nuova UDA, perché ovviamente è di quello che andrò a parlare, s’estende (come è possibile osservare nella mappa precedente) da via Giovanni Brancaleone a via Erasmo Gattamelata.
Ecco il suono:

Qui l’armonia è decisamente più acuta. Potrebbe trattarsi in effetti di un materiale diverso. Forse una diversa densità, anche se dal tipo di attacco percussivo a me pare lo stesso materiale e la stessa densità. Solo più acuto. Comunque poco importa se la pietra è la medesima oppure no. Quel che m’interessa è l’effetto psico-acustico che nel calpestarla si produce, conseguentemente generando UDA relative.
Anche qui forzando il discorso (come avevo fatto precedentemente sovrainterpretando): via Prenestina più movimentata e caratterizzata da transiti più virilianamente dromologici, sembra ben modularsi attorno al suono emesso da questa pavimentazione, ancora una volta sconnessa e riappropriatasi di gradi di libertà che per essa non erano stati previsti.
Osservando la tavola cromatica per connettere l’impressione uditiva a quella cromatica, mi viene da assegnare il pattern 26 (HEX (#): 003D80). Si tratta di un valore intermedio del cluster che ha come centro il colore 27.

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Di nuovo riferendomi all’atlante e all’interpretazione relativa al gradiente scelto: sapore – “Metallo: ambiance impenetrabile, ostile, riflettente“.
In questo caso il responso è meno inatteso. Intendo dire che via Prenestina è, per chi la conosce, un po’ impenetrabile e a suo modo forastica: più nervosa dell’UDA precedente. Anche qui la sinfonia che sottende all’UDA armonica pare aver intercettato il proprio pubblico ma, ancora una volta, questa correlazione si fonda su nulla più di un vago senso romanticheggiante. Tra ufociclist* ce lo diciamo spesso: “come fai a non voler bene alla Prenestina, nonostante lei ti pigli spesso e volentieri a calci”.

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La pavimentazione divelta su via Prenestina

Se in entrambi i casi le UDA armoniche appaiono accidentalmente coerenti con l’atmosfera che affiora dal contesto antropico, devo ammettere di essere rimasto un po’ deluso. Bello sarebbe stato poter scoprire il carattere riottoso di un’UDA temporanea che con forza s’oppone alla colorazione dominante. Bello sarebbe stato scoprire il pulsare irregolare di un totem d’incongruenza che si comporta come un ordigno sonico, minando l’integrità cromatica preponderante.
Sarà forse la mia nostalgia per l’ornitopode parasaurolophus che come un godzilla erbivoro spalanca varchi a botte di fronti infrasonici.

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Roma nord-est sul lungo Aniene – 8/12/2018

Rapporto redatto da Dafne e Cobol Pongide.

Siamo nuovamente partiti dal Macro Asilo di Roma per ripercorrere in diurna la ricognizione notturna del 22/11/2018.
Abbiamo originariamente scelto il Macro come punto di partenza per “esplorare” Roma nord-est perché molto interessati alla proposta contenutistica che questo spazio ha proposto sin da subito con l’insediamento della nuova direzione. Siamo interessati inoltre all’influenza (se mai ci sarà) che esso eserciterà sull’area metropolitana che lo comprende, tradizionalmente d’estrazione alto borghese.

Ripercorrere lo stesso tracciato (ampliandolo come vederemo) è invece l’occasione per coniugare la raccolta di due tipi diversi di input: 1) una percezione menosguardo-centrica” per quel che concerne l’attraversamento notturno atta a favorire l’acuirsi di altri sensi come l’udito e l’olfatto nella registrazione delle impressioni ambientali e 2) una percezione prosaicamente più cartografante che emerge invece con la vista e che ci consente di documentare fotograficamente il percorso e di riportarlo su una carta.
In questo rapporto cercheremo di coniugare i due assetti percettivi mescolandoli.

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Partenza da via Nizza alla ore 11.00 in direzione di viale Regina Margherita. E’ una rilassata mattina romana con poco traffico automobilistico.
Sabato di festa per chi crede, di mercati all’aperto, di ciclisti da weekend un po’ scoraggiati dal gelido sole invernale e dalla pioggia. Giornata di manifestazioni di piazza dei tre mali del paese: Salvini, il Papa e l’albero di Natale di Piazza Venezia. Ma anche giorno di ufociclisti che si muovono lontani dalle trafficate strade del centro.

Per quel che concerne il Macro resta sospesa la domanda che ci eravamo già posti durante la ricognizione precedente ovvero se esso si stia configurando già come un tonal di quell’area, quindi se esso regga e consolidi una atmosfera già definita, oppure se in questo momento esso lavori come un totem d’incongruenza per minare e disfarsi di una atmosfera già consolidata da tempo.
La questione è “sottile” e forse al momento non ben delineabile. Per ora optiamo per la ragionevolezza della seconda opzione misurabile, da un punto di vista empirico, osservando, ad esempio, l’estrazione di alcuni di coloro che oggi fruiscono di questo spazio che, proprio come noi, in tanti anni ad esso non si erano mai approssimati. Sul fatto che  questo travaso della “periferia” verso il “centro” possa avere effetti duraturi se non permanenti nutriamo ben poche speranze; crediamo piuttosto che il Macro sia un simbionte delle scelte politiche di Giorgio de Finis e che con la conclusione del suo mandato esso potrà velocemente assumere nuove cangianti identità. Ma non potrebbe essere altrimenti, dato che una istituzione museale come questa è una scatola vuota riempita dalle visioni di chi l’anima. Ciò non toglie che l’interrogativo sulla natura contestuale del Macro nel sostenere o disgregare un’atmosfera rimanga circostanzialmente valida e per noi di gran interesse. Al più nel giro di pochi anni assisteremo, come in condizioni di laboratorio, ad un rapido susseguirsi di ruoli e funzioni che in circostanze meno sperimentali richiederebbero tempi più lunghi di gestazione.
Ed qui il punto: partigianamente a noi il Macro sta, in questo momento, molto simpatico e la tentazione di definirlo un tonal è davvero forte (lo abbiamo fatto ad esempio nella prima mappa della ricognizione in cui abbiamo lasciato aperta l’opzione tonal/totem). Questo perché come abbiamo spiegato nell’atlante ufociclistico si tende spontaneamente a guardare  all’azione aggregante come qualcosa di positivo mentre a quella disgregante come ad un fatto negativo. Ma anche volendo faziosamente posizionarsi sull’asse bene vs male (cosa che rifuggiamo) è facile comprendere come anche la funzione disgregante del totem d’incongruenza possa assumere, a seconda delle circostanze, un valore, o segno, alternato. La funzione disgregante della Porta Alchemica di piazza Vittorio o la concentrazione della Critical Mass ogni ultimo venerdì del mese sempre a piazza Vittorio, ad esempio, hanno per noi connotazioni di gran lunga più positive e assolutamente non commensurabili rispetto a quelle dell’attuale centro aggregatore retto dalla sede di CasaPuond.
E che macerie siano quindi!

La funzione di totem d’incongruenza ci viene confermata anche da un’altra evidenza: a pochi metri dall’ingresso principale del Macro rileviamo una cuspide in formazione (foto che segue).

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Neo-cuspide di via Nizza a pochi metri dal Macro.

Pur non esistendo ragioni necessariamente causali, negli anni di ricognizioni ci siamo accorti che le cuspidi tendono a concentrarsi (anche se non solo) nei dintorni dei totem d’incongruenza. Le cuspidi come retroaggregatori, depositi sedimentari, stratificazioni, si alimentano probabilmente dei detriti prodotti dai totem nel loro lavoro di smembramento il che, però almeno sul piano teorico, le rende spesso cuspidi temporanee, non necessariamente archeologiche (per approfondimenti si consulti l’atlante ufociclistico).
Come dato euristico ne abbiamo tratto una massima pragmatica: “cerca una neo-cuspide e probabilisticamente t’imbatterai in un totem d’incongruenza“.

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Consiliarmente in riferimento alla tavola cromatica degli stati d’animo abbiamo associato all’UDA formatasi attorno al Macro il valore 12 (esadecimale di riferimento: c5912f) del cluster 9-12. Leggendo dall’atlante: “Amaro: ambiance inquieta, tremebonda“. Il valore è il limite superiore del cluster quindi di questo particolarmente significativo. La sensazione tonale conferma ancora una volta l’ipotesi Macro = totem d’incongruenza collocandolo all’interno di uno spazio non più o non ancora solidamente sedimentato in cui un nuovo totem sta disgregando l’atmosfera che esisteva precedentemente.

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Dafne su viale Regina Margherita libera dal solito sovraffollamento automobilistico.

Procediamo per viale Regina Margherita quindi concedendosi addirittura il lusso di pedalare parallelamente per chiacchierare e scambiarsi impressioni sull’ambiente circostante. Dafne come sempre parla a bassa voce. All’altezza di piazza Buenos Aires giriamo a destra su via Tagliamento e subito, ancora a destra, su via Dora per un rapido passaggio nel quartiere Coppedè.
Dafne non ci era mai passata e come tutti coloro che c’accedono per la prima volta rimane incantata dalla sua composizione architettonica.
Non si tratta di un quartiere vero e proprio ma più propriamente di un quadrante composto da una piazza monumentale, piazza Mincio con la fontana delle rane, e un gruppo di palazzi che attorno alla piazza ruotano. Il quartiere Coppedè è piuttosto straniante per via degli stili architettonici che lo compongono e arredano.

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L’entrata del quartiere Coppedè col famoso lampadario ornamentale.

Spesso lo stile architettonico del Coppedè è definito liberty ma nella composizione delle facciate dei palazzi s’intravedono anche richiami al gotico ed elementi presi dalla classicità.

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Sempre nel quartiere Coppedè su un lato della piazza.

Ci accordiamo per il valore tonale 5 del cluster 5-8 (esadecimale di riferimento: 00663A). Leggiamo dall’atlante: “Basico: ambiance stabile, quieta, essenziale“. Il 5 rappresenta il limite inferiore del cluster e questo se ben s’accorda con la poca essenzialità architettonica (il quartiere Coppedè è esteticamente molto chiassoso) un po’ meno restituisce la sensazione di un’estrema stabilità del quadrante dotato di una sua fortissima e indiscutibile personalità. Forse il valore 8 non ci avrebbe del tutto soddisfatti per motivi inversi ma avrebbe consolidato l’attributo della stabilità che appare come una della caratteristiche emotive più forti dello spazio che stiamo percependo. Per il Coppedè non abbiamo un riferimento alla ricognizione notturna del 22/11/2018 dato che non ci eravamo passati. Ci manca quindi una collezione di sensazioni e atmosfere con cui ponderare quello che al momento percepiamo, onde sperare di spostarci verso un valore più vicino a quello atteso.

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Quartire Coppedè

Riprendiamo per via Tagliamento procedendo in direzione del quartiere Trieste anche noto come quartiere Africano per via della toponomastica.
Una bella vista da piazza Verbano che riassume visivamente tutto l’incedere di via Tagliamento (foto che segue) restituendoci un leggero scoramento per la monotonia:

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Giungiamo senza troppe sorprese a piazza Acilia lungo una sempre identica e poco significativa atmosfera che non ci prendiamo in carico di analizzare. A poche decine di metri da noi corre villa Ada una famosa ed estesa macchia di verde in questa parte di Roma. Dalla posizione in cui procediamo non è però visibile. Non è improbabile che villa Ada costituisca il tonal di questa zona ma non abbiamo per il momento modo d’approfondire.  Più realisticamente la villa assume in sé con ogni probabilità più di un ruolo divenendo in alcune sue parti, ad esempio, una scorciatoia ufociclistica o uno strappo tra diverse UDA.

Piazza Acilia spezza la monotonia della strada fin qui percorsa con una piattaforma girevole che mette un po’ disordine in questo tragitto. A sottolineare questo aspetto c’è un radicale cambio d’architettura della zona che da classica (lungo via Tagliamento) assume i connotati razionalisti delle linee moderniste e di quelle del ventennio fascista a Roma come è possibile vedere nella foto sotto.

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Piazza Acilia

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Palazzo d’architettura fascista

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Lo stile architettonico ci segue per tutta via Novella (le due foto successive) che abbiamo intrapreso girando a sinistra da piazza Acilia. Man mano che saliamo per questa strada il quartiere assume caratteristiche sempre più residenziali che rimangono più o meno tali fino a piazza Vescovio.
In mezzo a questi palazzi, incontriamo un’area verde che ci fa credere di essere in un ulteriore parco, forse la continuazione del Parco Nemorense o Villa Ada. In realtà si tratta di un’area militare. Si potrebbe definire uno psico-dissuasore, come elemento scoraggiante che ti invoglia a tornare sui tuoi passi. Ma non ci facciamo intimorire e proseguiamo.

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Intercettiamo anche un interessate inizio di sedimentazione, forse una cuspide in divenire (foto che segue):

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Siamo nel quartiere storicamente più a destra di Roma. A piazza Vescovio troviamo il monumento dedicato al fascista Francesco Cecchin (foto che segue) con l’incisione dei versi di Ernst Jünger : “L’Uomo è un essere animato da una speranza, da un bagliore di eternità. Un raggio d’immortalità lo ha penetrato. Questo distingue anche il suo modo d’amare da ogni altra specie d’amore”.

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Piazza Vescovio è un’altra piattaforma girevole ancora più tentacolare rispetto a piazza Acilia ma dotata di minore momento angolare. Su questo si genera spesso molta confusione: la forza di una piattaforma girevole non è valutabile in base alla direttive di fuga che produce ma alla lunghezza del vettore e alla quantità di moto (che in generale è una variabile e dipende dalle affordance, gli inviti all’uso, della piattaforma stessa). In questo caso tanto vettore che affordance assumono valori molto contenuti sopratutto rispetto a piazza Acilia.
Potremo intendere il monumento al camerata Cecchin come psico-dissuasore. Tutta questa zona appare come un enorme psico-dissuasore ai nostri occhi, votato come è alla violenza fascista e a tutto ciò che essa comporta. Scritte in onore di fascisti morti sopratutto negli anni Settanta sono un po’ ovunque. Eppure ci tornano in mente le parole di quei due uomini incontrati nella ricognizione precedente che ci invitavano a tornare in zona a cancellare quelle scritte (si veda la ricognizione del 22/11/2018) e non possiamo non domandarci perché non siano loro a farlo.
Dopo poco arrivano dei nonni con i nipoti e i bambini si mettono a fare lo scivolo sul disonorevole monumento alla memoria.

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Un chiarissimo caso di affordance conflittuale (si veda l’atlante ufociclistico) in cui gli inviti all’uso vengono più o meno consapevolmente violati e reinterpretati (a volte sbeffeggiati). Ci vengono in mente le pagine de La struttura assente di Umberto Eco e della sua guerriglia semiologica a cui l’UfoCiclismo ha attinto in materia di simbolismo conflittuale e deturnamenti simbolici.
La “sacralità” simbolica di questo oggetto svanisce al cospetto di una delle sue utilità pratiche (ludiche in questo caso) destituendo il segno in favore della granitica impellenza all’uso.

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Piazza Vescovio

Lasciamo lo psico-dissuasore/giostra di piazza Vescovio per ritrovare, restando in tema, uno degli oggetti che nella precedente ricognizione ci aveva più incuriositi e resi inquieti. Poco vicino: in via Montebuono. E’ la vecchia sede di Forza Nuova ora trasformata in un fruttivendolo.
Qui incontrammo i due uomini precedentemente citati e qui la situazione si ribalta rispetto a piazza Vescovio. Quando chiedemmo loro il perché non fosse il quartiere a cancellare i simboli inneggianti al fascismo ci dissero che la zona è “tenuta sott’occhio” e che spingersi in una tale azione avrebbe prodotto delle ritorsioni. Qui lo psico-dissuasore è ancora forte è gioca un ruolo di controllo sociale tanto decisivo da assumere le caratteristiche di un attrattore nella tenuta timica di questo quadrante romano. Attorno ad esso continuano ad aggregarsi atmosfere, memorie, pratiche.
I ruoli di attrattore e di psico-dissuasore sono spesso mutevoli: un cancello socchiuso può per alcuni rappresentare un invito ad entrare mentre per altri un rischio da evitare. Si tratta di attributi spesso soggettivi che assumono una valenza definitiva solo se connessi al tonal o al totem d’incongruenza di cui sono espressione. La forza repressiva espressa da questa scritta (più in generale dai segni prepotentemente visibili nel quartiere Trieste), nonostante il radicale cambio d’uso dell’edificio che la ospita, funziona da psico-dissuasore ai nostri occhi comportandosi come un attrattore nel campo gravitazionale dello specifico tonal che rappresenta. Non abbiamo indagato ulteriormente per scoprire il tonal di questa unità d’ambiance che immaginiamo però coerente con la simbologia che osserviamo.

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La mappa che indica l’attrattore di via Montebuono

Con Dafne ci consultiamo e cerchiamo rapidamente di cogliere il perimetro dell’UDA appena scoperta. Ne diamo una descrizione di massima nella mappa che segue. Non è il compito che ci siamo dati quello di individuare i precisi contorni delle unità d’ambiance che incontriamo, ci interessa invece ricavarne delle impressioni tonali.

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Ci accordiamo per il colore 36 della tavola cromatica degli stati d’animo (esadecimale di riferimento: 869FB1) del cluster 33-38. Leggiamo dall’atlante ufociclistico: “Insipida: ambiance deprivata, traumatizzata“.
A questo punto non possiamo non soffermarci sulla impellente necessità di una excusatio non petita.
Il valore mediano 36 sembra rispecchiare più i nostri orientamenti esistenziali che non le nostre impressioni sensoriali, e di fatto non è detto che le due cose, almeno in certi casi, non coincidano. Tuttavia la scelta del colore viene metodologicamente effettuata prima della lettura degli attributi. Sul manuale ufociclistico la tavola cromatica degli stati d’animo e gli attributi per cluster di colore sono separati proprio per evitare tale sovrapposizione intenzionale. Ovviamente sussiste, a lunga andare, la possibilità che inconsciamente tonalità e attributi si associno automaticamente nella mente dell’ufociclista. La verifica a tre ricognitori (il numero perfetto per una ricognizione cartografante) dovrebbe prevenire questo inconveniente.
Vero è che la tavola cromatica degli stati d’animo (se correttamente utilizzata) è uno strumento molto potente e spesso euristicamente molto indicativo. Da che mondo è mondo per gli esseri umani l’associazione tra colori e stati d’animo è parsa assolutamente naturale anche se nessuno strumento tradizionalmente scientifico può spiegare il nesso di causa-effetto.
Lo strumento nacque qualche anno fa proprio dall’esigenza di dare un senso oggettivo all’esperienza. Restano semmai aperte le questioni della sua perfettibilità, sia nel campo degli attributi che in quello della ulteriore segmentazione dei colori.
Ancora più importante resta in discussione il senso di quell’oggettività che esso vorrebbe esprimere. Si tratta di connotazioni che l’osservatore proietta verso l’ambiente o viceversa di attributi che l’ambiente trasmette all’osservatore? La questione è aperta… ma a ben vedere lo è da secoli nella contrapposizione tra immanentisti e trascendentalisti e in maniera più o meno radicale essa attraversa tutti gli istituti conoscitivi umani.
Come ufociclisti crediamo si tratti di una falsa opposizione dato che sarebbe impossibile per chiunque osservasse dall’esterno (un alieno ad esempio) distinguere l’osservato dall’osservatore. Ma tenteremo di tornare più approfonditamente sulla questione in altra sede.
Ci soddisfa la percezione tonale nel cluster 33-38. Anche l’attraversamento notturno, l’incontro con i due testimoni a cui avevamo elevato la fantamulta, ci riporta a quelle specifiche sensazioni: un’UDA fortemente traumatizzata, retta dai vessilli fascisti dei “martiri” Francesco Cecchin e l’onnipresente Paolo Di Nella. Un’UDA che si coagula, è proprio il caso di dire, attorno al sangue versato e ai corpi straziati non può che esprimere atmosfere traumatizzate, pavide e emozionalmente prosciugate: deprivate.
Questo è evidentemente il mondo a cui i fascisti aspirano.

Ci allontaniamo per immetterci su viale Somalia in direzione di via Salaria. Ora villa Ada è alle nostre spalle. Ci inseriamo sulla Salaria intravedendo quel groviglio di sopraelevazioni e di vettori che è un tipico tratto di quella zona. La città fatta di abitazioni e persone sembra terminare d’improvviso per fare spazio al “mondo delle automobili” in cui l’accelerazione la fa da padrone e ti sovrasta sensorialmente da ogni direzione del visibile. Ci restiamo poco fortunatamente. Questa parte della Salaria non è pensata per pedoni e biciclette ma solo ed esclusivamente per sfreccianti automobili: per esseri umani abitacolati. Un estremo esempio di varietà dimensionale del tipo 2.
La lasciamo immediatamente, dicevamo, poiché qui inizia una varietà dimensionale di tipo 1, una ciclabile (visibile nelle due foto che seguono la successiva mappa).

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La varietà dimensionale del tipo 2 è l’intreccio tra la tangenziale di Roma e via Salaria. Il tipo 1 è invece la ciclabile che ci apprestiamo a percorrere.

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Incrociamo via Catalani su cui inizia a emergere una vegetazione un po’ diversa da quella finora incontrata (foto seguente). Le abitazioni si rarefanno. Sulla sinistra c’è Dafne su un lato della ciclabile che osserva una sedia in plastica bianca in una posizione che sarebbe difficile descrivere.

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Attraversiamo il sottopasso della circonvallazione Salaria (quello visibile in foto) e attraverso una scorciatoia arriviamo in via del Prato della Signora.
La sera della ricognizione notturna (leggi qui) ci avevamo incontrato due giovani in atteggiamento infrattologico (per un più corretto senso del concetto di infrattologia si guardi l’opera dell’Associazione Psicogeografica Romana).

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La scorciatoia per del Prato della Signora.

Giungiamo al tratto di ciclabile lungo Aniene sbarrato da cancello che lo preserva ciclopedonalmente. Sulla nostra sinistra s’intravede via Salaria (foto che segue).

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Entriamo e ci accoglie questa desolata panchina pericolosamente posta in prossimità del pendio che s’affaccia sull’Aniene (foto che segue).

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Con lei, un desolato e malconcio palo della luce (foto che segue). Nessuno degli impianti d’illuminazione presenti funziona. Lo avevamo verificato la sera della ricognizione notturna e per noi va anche bene così dato che l’inquinamento elettromagnetico ci impedirebbe altrimenti di scrutare il cielo in cerca di segnali alieni. Forse per altri ciclisti e avventori del percorso va invece meno bene.

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Ci addentriamo incrociando qua e là ciclisti più o meno tecnicamente attrezzati: chi impegnato nella rilassante passeggiata della domenica e chi invece in estenuanti allenamenti.

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Giungiamo al ponte ferroviario su uno slargo che qualcuno sta trasformando in qualcosa che al momento non ci è chiaro. E’ probabile si tratti di uno spazio dedicato a Ugo Forno il bambino antifascista in cui ci eravamo già imbattuti durante la ricognizione notturna del 22/11/2018.
Avevamo eletto questo spiazzo a luogo per il picnic di benvenuto per gli alieni che anche quella volta non erano atterrati. Senza badare al fatto che potesse trattarsi o meno di un’UDA contattistica ci era parso il luogo più adatto ad una pausa ludico-riflessiva. In effetti il continuo sopraggiungere di treni rende quello spazio un po’ troppo rumoroso e frenetico. Tuttavia l’incontro con Ugo Forno è stato illuminante e a tutti gli effetti s’è trattata di una interessantissima scoperta e di un proficuo IR3 (incontro ravvicinato del terzo tipo) con un essere umano particolarmente interessante.
Attorno a noi un murale e una targa ricordano il giovane Forno.

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Il murale dedicato a Ugo Forno.

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Costeggiamo la struttura del ponte ferroviario che scopriamo essere stato realizzato dalla Fioroni s.p.a. nel 1988… vabbè…

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E giungiamo fino a questo curioso antro dall’aspetto ciclopicico che è il preludio a un sottopasso non illuminato.
Ragioniamo sul fatto che il possente muro che si staglia sopra di noi possa essere abitato da centinaia di migliaia di esseri viventi, dalle dimensioni più varie, dagli scorpioni alle lucertole, alle miriadi di insetti, oltre alle innumerevoli piante che possono mettere radici tra le crepe e le fenditure. Si potrebbe parlare insomma di un interessante esempio di ecosistema creato, anche involontariamente, dall’uomo e questo ci da ragione di credere che l’essere umano non sia nato solo per distruggere tutto quello che ha intorno.

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Siamo perplessi sul fatto che possa trattarsi di una scorciatoia. In effetti non esiste altro passaggio che congiunga quest’area segata dalla ferrovia. Non si tratta quindi tanto di una via ciclopedonale alternativa, quanto piuttosto dell’unico passaggio che permette a due punti di connettersi.

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La funzione separatore

Sospendiamo il giudizio e rileviamo invece la sua funzione di separatore, una sorta di messa in scena che emula l’esistenza di due unità d’ambiance distinte quando invece si tratta della stessa. I separatori spesso inducono in inganno l’ufociclista intento a rilevare le unità d’ambiance che prende fischi per fiaschi e inizia a vederci doppio.
Dall’altra parte del sottopasso, infatti, troviamo la stessa identica atmosfera (foto che segue). Sulla nostra sinistra scorre silenzioso l’Aniene. Se non lo sapessimo e fossimo troppo distratti a scrutare il cielo neanche ce ne accorgeremmo.

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Dopo pochi metri incrociamo una struttura in disfacimento (foto che segue). L’atmosfera che questa ciclabile emana in questo momento è molto diversa da quella che percepimmo durante la ricognizione notturna precedente. Il buio e la nebbia ci avevano restituito l’impressione di uno spazio decisamente più impervio, quasi occluso da una più energica e avvolgente natura. Ci ricordiamo inoltre che la sera della ricognizione lo scorrere dell’Aniene era percepibile e ciò delimitava e limitava ulteriormente lo spazio circostante. L’atmosfera che respiriamo visivamente ora è invece molto diversa. Permane invece quella straniante sensazione di trovarsi ormai fuori dal contesto cittadino fortemente urbanizzato in chi, ovviamente, non frequenta troppo spesso questa ciclabile. Ma si tratta solo di un’impressione perché dalla vista aerea è possibile comprendere come questa striscia di terra preservata attorno all’Aniene sia invece funzionalmente incapsulata nella città. In un certo modo, come è ovvio che sia, questo aspetto viene completamente a dissolversi la notte mentre nelle ore diurne qua e là fanno capolino le cime degli edifici più alti che ci rammentano dove stiamo pedalando.

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D’improvviso la vegetazione si fa più folta (foto che segue) fino a circondarci. Si tratta di un bellissimo canneto che probabilmente la notte precedente ci aveva fortemente condizionati percettivamente. E’ piuttosto lungo e Cobol decide di documentarlo con un video nel tentativo di rendergli giustizia.

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La qualità del video è inqualificabile (quello che segue): tutto completamente sfocato… ma il tunnel del canneto rende perfettamente l’idea e la sensazione della varietà dimensionale del tipo 1 che di notte è ulteriormente amplificata.
Le varietà del tipo 1 sono fortemente irrigimentate. Nel loro diversificarsi possono essere pensate (in modo inversamente proporzionale alla numerazione) come un “dover-fare” foucaultiano. Il tipo 1 è quindi la dimensione più intransigente, quella in cui l’aspetto atmosferico, l’ambiance, schiaccia gli elementi spaziali riducendo drammaticamente la libertà dai vincoli. Spesso in una varietà del tipo 1 risulta complesso tornare sui propri passi, riconsiderare una decisione, prendere in considerazione alternative. In questo esse offrono una certa “schiettezza” sullo stato delle cose in coloro che le affrontano consapevolmente.
Il tunnel di canne è anche una meravigliosa “camera atmosferica” (alcuni ufociclisti lo definiscono: ponte ologrammi o camera d’aria), un ambiente che genera miraggi sensoriali vividi e in cui le atmosfere si presentano con una concretezza oggettiva che lascia sbalorditi. In questi luoghi è possibile sperimentare shock emotivi controllati, proprio come consigliavano i situazionisti, cambi improvvisi d’ambiance e momenti psicotici che ci disallineino da una condizione d’alienazione permanente. Consigliamo di percorrerla di notte per ottenere un effetto più lacerante.

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Un dettaglio del canneto con lo specchio d’acqua dell’Aniene inquinato.

Ci avviciniamo al sottopasso del ponte delle Valli. Nelle prossime tre foto non accade nulla ma servono per mostrare come muta l’ambiente circostante.
Per discrezione non ci avventuriamo lungo le miriadi di stradine che si aprono sul lato dell’Aniene onde non creare situazioni scomode nella già scomoda esistenza di tutti coloro che vi dimorano.

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Sotto il cavalcavia del ponte delle Valli

Sotto il cavalcavia del ponte delle Valli (foto sopra), lungo un grande murale, attira la nostra attenzione questa icona della Madonna Nera (foto che segue). E’ stata appesa intenzionalmente: unica disposizione non casuale tra molti cumuli d’oggetti che si trovano lì accidentalmente. Attorno traccie d’insediamenti abitativi sempre sul lato del lungo Aniene.

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Sempre sotto il cavalcavia in un accesso al fiume troviamo una cuspide ben sedimentata (foto che segue). Ci sono molti oggetti di scarto che tendono rovinosamente a crollare verso le acque sottostanti.

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In mezzo al cumulo curiosamente anche delle lenti di prova da oculisti. Recuperiamo quelle rimaste intatte e le portiamo via con noi.

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Giungiamo alla fine di un primo tratto di questa ciclabile su via dei Campi Flegrei. E’ la strada che ci immette direttamente su via Nomentana.
Nella ricognizione notturna del 22/11/2018 ci eravamo fermati qui per poi tornare indietro verso Porta Pia in direzione del centro.
Questa volta proseguiamo per il ponte Nomentano (foto che segue) un antico transito d’epoca romana.

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Prima di attraversarlo ci sporgiamo. La prima cosa che ci si para innanzi è la consueta scena di O-bike vandalisticamente gettate nel fiume. Ce ne sono due.
Ci eravamo già domandati qui il senso più generale di questo tipo di comportamento riservato al servizio di bike-sharing.

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Attraversato il ponte (foto che segue) ci troviamo nella zona di Sacco Pastore in un panorama completamente autunnale.

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Troviamo l’accesso (foto che segue) al Parco dell’Aniene dove potremo riprendere a seguire il fiume fino a via Tiburtina nella zona est/sud-est di Roma.

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Da questo momento in poi non ci aspettiamo di trovare oggetti cartograficamente rilevanti lungo il nostro percorso. Ci godremo il panorama e il sole ora caldo. Le ambiance “naturalistiche” offrono molti meno appigli interpretativi delle zone fortemente urbanizzate: antropizzate.
Il parco dell’Aniene può esser considerato come un lungo strappo che unisce una generica ambiance Nomentana ad un’altrettanto generica ambiance Tiburtina. Su quest’ultima abbiamo compiuto un lavoro molto più dettagliato di mappatura che è possibile seguire nei rapporti precedenti.

La notte prima è piovuto e le biciclette si riempiono di fango attraversando le numerose pozze che incontriamo strada facendo. Prudentemente infatti non incrociamo praticamente nessun ciclista dato che a quest’ultimi è bene noto il grado di possibile impantanamento a cui si può arrivare.
Nelle due foto che seguono due sguardi al panorama offerto dal parco.

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Dalla parte opposta dell’Aniene (foto sopra) s’intravede un insediamento abitativo come tanti incontrati durante questa ricognizione. Qui la nostra attenzione è catturata dall’incresparsi del fiume che per quasi tutto il tragitto da noi compiuto ha proceduto silenziosamente.
Ci accorgiamo solo adesso della direzione dell’acqua. Essa scorre nel verso che non ci aspettavamo. La bussola conferma: direzione est fino a congiungersi col Tevere.

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Tutto il sentiero che costeggia l’Aniene è segnato da un percorso il cui centro è evidentemente ripulito dal ripetuto passaggio delle biciclette. In alcuni punti più avanti verso via Tiburtina si forma una sorta di stretta corsia in mezzo al prato (un binario) in cui per le biciclette può diventare anche difficoltoso muoversi evitando di sbandare.

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Dafne, con la sua bici ibrida con stretti pneumatici, perplessa sul modo d’infangarsi ragionevolmente il meno possibile guadando il pantano.

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La cartellonistica ci avvisa che lungo quel sentiero dalla Nomentana alla Tiburtina sono esattamente sei chilometri e cento metri. Ponte Mammolo è il nome della zona della Tiburtina in cui sbuca il sentiero ciclabile che stiamo pedalando.

Ci rimettiamo in moto.
Dopo qualche metro a Cobol si stacca d’improvviso la ruota anteriore.  Le sue parole ancora a caldo, ancora a terra: “meglio qui che sull’asfalto“. Vai a capire come è andata. Sta di fatto che è sempre meglio verificare con una certa periodicità lo stato dello sgancio rapido delle ruote. La rovinosa caduta sul cerchione lo rimodella nel modo che è possibile vedere nel filmato.

Neanche troppo male. La bici con molte cautele, è ancora utilizzabile.
Poche escoriazioni. Procediamo quindi prudentemente con un movimento ondulatorio che a tratti ci procura qualche risata.
La ricognizione finisce un po’ bruscamente qui.
Tutta l’attenzione rivolta verso l’ambiente che ci circonda finisce per essere catalizzata dalle difficoltà di procedere con la ruota in quello stato.
Veniamo anche bloccati da un gregge di pecore con a capo una pecora di vedetta particolarmente loquace, ma nessuno dei due ha la prontezza d’immortalare un fatto tanto raro a Roma. Ci domandiamo anzi in quali circostanze un gregge di pecore possa sentirsi minacciato e caricare. C’è grande confusione sul mondo animale in questo momento.

Raggiungiamo la fine del parco dell’Aniene su via Furio Cicogna e scavallata la Tiburtina giù per la Palmiro Togliatti ci dirigiamo verso casa: Roma est.
In enorme ritardo sulla tabella di marcia si torna nel quadrante a noi più familiare in cerca di un cerchione per la sostituzione. Domani la bici deve essere già perfettamente funzionante.

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L’entrata ciclopedonale al parco dell’Aniene da via Cicogma

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Le biciclette col loro carico di fango.

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La mappa ufociclistica della ricognizione. Qui per vederla ingrandita

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La mappa interattiva del percorso. Qui per vederla ingrandita.

 

Ley line Tor Sapienza – Roma 12/8/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide

Qualche tempo fa l’amico ufociclista e psicogeografo Daniele pubblicò sul gruppo fb degli ufociclisti questo articolo sulle ley line commentando “Non hanno tutti i torti…”.
In breve nell’articolo si sostiene che, a volerle trovare, le ley line sono un po’ dappertutto e quindi la loro individuazione non serve proprio a nulla e non ci dice proprio nulla.
Poi il commento di Daniele all’articolo diceva anche altre cose ma ci arriviamo con prudenza lungo questa ricognizione fisica e mentale.
Comunque se lo dice lui c’è da credergli.

In questo giorno di agosto mi trovo a ricognizzare da solo dopo molto tempo… dopo l’ultima uscita con tante defezioni un po’ me lo aspettavo nonostante il tragitto sia semplice e quasi lineare.
Molti ufociclisti sono in villeggiatura o cauti per l’eccessivo caldo. Io sono tranquillo: la zona la conosco e so che è generosa di fontanelle.
Le ricognizioni ufociclistiche richiederebbero in realtà almeno tre componenti che assieme comprovino impressioni e ruoli assegnati agli oggetti/sequenza incontrati.

Sono all’incrocio tra via Prenestina e via di Tor Sapienza e lo scopo di questa pedalata è quello d’indagare la ley line Tor Sapienza che proprio con Daniele individuammo circa un anno fa quando iniziammo a scrivere l’atlante ufociclistico.

Ancora da fermo, la prima cosa che so esserci in zona (perché nascosta alla vista) è questa cuspide (foto che segue): un pezzo della antica via Prenestina (qui la vista aerea).

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In mancanza di un’altra collocazione più funzionale alla specifica analisi, un reperto archeologico è una cuspide, un aggregatore psichico e temporale in cui converge un bel po’ di storia dello spazio o dell’UDA in cui si trova. Tuttavia questo è proprio uno di quei casi in cui ci sono buone ragioni per sospettare si tratti invece di un’altra cosa (o comunque anche di un’altra cosa) e nello specifico di un omphalos.
Lo avevamo rilevato nell’atlante ufociclistico proprio a proposito della ley line Tor Sapienza: da qui iniziano quella di Tor Sapienza e quella della via Prenestina, sebbene quest’ultima possa essere fatta risalire anche ad un altro omphalos generatore: Porta maggiore.

La ley line Prenestina (di cui non mi occuperò oggi) è già individuata (segnalata) da tre punti allineati noti:
1) l’omphalos (l’antica Prenestina);
2) il MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz);
3) la torre medioevale di Tor Tre Teste.

I punti 2 e 3 sono illustrati nelle prossime due foto:

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Il Metropoliz all’interno di cui c’é il MAAM

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La torre di Tor Tre Teste

Sebbene su via Prenestina possa imbattermi lungo infiniti punti (segnalatori), per supporre l’esistenza di una ley line bastano, almeno preliminarmente, tre punti. Per quello che è oggi il mio fine mi fermo quindi qui.

Torno invece indietro al MAAM perché è da qui che abbiamo supposto nascere la ley line Tor Sapienza o più precisamente dall’omphalos.

Non mi soffermerò sulla presentazione del MAAM e del Metropoliz perché è stato detto e scritto tantissimo e tantissimo si trova in rete. Si tratta di un esperimento unico nel suo genere e proprio in ragione di ciò iniziammo un anno fa uno studio di una ley line a partire da questo anomalo oggetto.

L’idea al suo stato più basilare è che le ley line si sviluppino (o si ancorino) attorno a segnalatori di una certa, qualsivoglia, rilevanza.
Ufociclisticamente il Metropoliz/MAAM rappresenta un attrattore molto forte, un tonal in potenza, che da anni sta modificando l’atmosfera dell’UDA in cui risiede e un po’ di tutto il quartiere Tor Sapienza in generale.
A spalleggiarlo, come vedremo più avanti, e poco lontano, il Centro Culturale Municipale Giorgio Morandi con una ruolo molto diverso.

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Il Metropoliz/MAAM un po’ più da vicino.

Sulla torre di Tor Tre Teste: qui trovate delle informazioni, ma per i più feticisti scatto una foto al bassorilievo da cui prende il nome:

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Il le tre figure sono ricoperte dall’edera… non si vedono le teste.

Le ley line sono una cosa molto seria e me lo ricorda proprio Daniele perché nell’indire questa ricognizione ho ironicamente scritto che “le ley line psicogeografiche non vanno prese troppo sul serio“. Mi rifaccio all’articolo di cui poco sopra ho messo il link, ma in realtà esse, concettualmente provenienti dal mondo della ricerca archeologica, rappresentano sicuramente una delle prime forme di organizzazione dello spazio utilizzate dall’uomo.
L’unico riferimento (tradotto in italiano) per capirne qualcosa in più è il libro di Nigel Pennick Linee magiche.
In un secondo momento le ley line sono però divenute materia per affamati ricercatori new age e questo ha un po’ complicato le cose. Le linee hanno iniziato ad assumere connotati esoterici, magici e sono, loro malgrado, divenute portatrici di insondabili quanto improbabili energie. Non più quindi riferimenti geografici ma “portali” verso terre d’altra consistenza.
La cosa tra l’altro non è neanche del tutto errata dato che è certo che queste linee assumessero significati simbolici speciali tanto per la loro funzione primaria quanto per il fatto che potevano essere utilizzate come vie per riti e iniziazioni.
Tuttavia questa accezione sembra essere un po’ sfuggita di mano ai moderni “cacciatori di ley line”.
La psicogeografia ha “silenziosamente” assistito a questa svolta senza contenerne i chiassosi effetti… da cui la mia boutade di cui sopra.
Ma la cosa non finisce qui…

Pedalo su via Cesare Tiratelli che costeggia il Metropoliz, poi via Luigi Alemanni fino a ricongiungermi a via di Tor Sapienza. Pochi metri ancora fino a via Francesco Paolo Michetti. Qui risiede il secondo segnalatore della ley line Tor Sapienza.

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Nella foto precedente il basamento che rimane della torre di Tor Sapienza.
La storia della torre la trovate al link poco sopra (e anche una sua foto prima del crollo).
Si tratta di un ex tonal, a tutti gli effetti, tanto forte da dare il proprio nome all’intero quartiere come a Roma spesso accade. Oggi ha perso questa funzione trasformandosi in un attrattore o in una cuspide… al momento poco importa.
Un autoctono mi racconta che durante la ritirata nazista da Roma la torre fu fatta brillare (era usata come polveriera). A quel punto gli abitanti del quartiere recuperarono tutte le pietre crollate per ricostruire e sistemare le case del posto. In questo senso, quindi, la torre ancora vive pienamente a Tor Sapienza e in maniera tutt’altro che metaforica essa si è irradiata (un po’ come una supernova) per rigenerare le ferite di guerra.
La storia mi pare molto bella ma su ciò, purtroppo,  il mio interlocutore non null’altro da aggiungere.

Sono tornato su via di Tor Sapienza. Procedo ancora in direzione Tor Cervara e pochi metri più avanti s’erige la parrocchia Santa Maria Immacolata e San Vincenzo de Paoli.

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E’ indubbiamente, al momento, il tonal di Tor Sapienza e non rientra nella ley line che sto seguendo.
Ecco cosa scriviamo sull’atlante ufociclista a proposito di questa parrocchia: “… divenuta in seguito tonal data soprattutto la sua posizione strategica proprio su via di Tor Sapienza. Attorno a questa parrocchia oggi il quartiere si ritrova producendosi a volte in feste dal sapore “paesano” che sembrano il marchio di un certo modo demenzial-clericale di concepire la socialità“.

Le parrocchie spesso sono dei tonal “deboli” (lo avevamo visto già qui) che fanno le veci dei veri e propri referenti tonali venuti meno. La parrocchia in questione assurge a questo ruolo da dopo il crollo della torre ma al momento la sua forza irradiatrice è sotto attacco del nuovo attrattore MAAM.

Procedo ancora verso Tor Cervara e incontro piazza Cesare de Cupis (foto che segue).

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Anche piazza de Cupis non rientra nella ley line ma svolge delle funzioni importanti nell’UDA che la contempla. Si tratta di una piattaforma girevole dai flussi piuttosto vorticosi incrociando due strade importanti come via di Tor Sapienza (che oltre la rotonda diventa via di Tor Cervara) e via Collatina. Di queste costituisce una sorta di “collo d’imbuto”. A tutti gli effetti si tratta di un vortice così forte da spezzare in due il quartiere anche se l’atmosfera dell’UDA sembra globalmente tenere.
E’ compito delle piattaforme girevoli produrre ricombinazioni nell’UDA grazie al loro impulso centrifugo che espelle “tossine” prodotte dallo stazionamento atmosferico.
Ho detto poco sopra che sembra tenere, perché come abbiamo visto in questo punto via di Tor Sapienza viene bruscamente decapitata per fare posto a Tor Cervara che da vita, almeno formalmente, all’inizio di un altro quartiere.

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Sulla piazza veglia inquietante un’altra torre: quella della scuola elementare Gioacchino Gesmundo. Austera e severa rafforza e sottolinea la funzione svolta dalla piattaforma girevole prospiciente: una sorta di buttafuori a monito dei frequentatori più molesti. Se ci si pensa è un po’ proprio il ruolo della scuola: incamerare giovani menti e risputare adulte “anime corrotte”. Forse in generale un po’ il ruolo di tutte le istituzioni totali.
Autoctoni mi raccontano del timore che la scuola incute nei bambini del quartiere, con le sue grandi aule e le sue alte finestre che evidentemente miniaturizzano tutto ciò che vi entra. L’edificio d’epoca fascista emana davvero un senso d’oppressione in chi l’osserva come si trattasse di una moderna cattedrale gotica. La torre sembra squadrarti con malfido sospetto e non è detto che l’effetto prodotto non sia in fin dei conti stato progettato.
La piazza è nel complesso davvero caratteristica e interessante da visitare.

Prima di procedere verso via Tiburtina (la direzione originaria) pedalo mezza rotazione di piazza de Cupis per immettermi su via di Collatina in direzione Roma centro. Sono alla ricerca di quello che sospetto essere il totem d’incongruenza di quest’UDA.

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Pochi metri ancora e appare la torre piezometrica di Tor Sapienza che avevamo incontrata già qui (e qui nella vista aerea).
Più precisamente avevamo incontrato delle casette per il controllo del flusso dell’acqua degli acquedotti in zona via Serenissima (poco lontana) a cui avevamo funzionalmente ricollegato la torre piezometrica (entrambi gli impianti hanno funzioni di regolazione dei flussi idrici) che adesso m’appare in tutta la sua maestosità.

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Un cilindro anonimo che come un panopticon tiene d’occhio tutto il quartiere con fare minaccioso. Chi ci starà osservando da quella torre? Ci saranno dei cecchini appostati? Staranno scattando delle foto? Ci staranno ascoltando? Ci si è mai schiantato un elicottero o un aereo? Sono domande che inevitabilmente emergono osservandola.
Nella ricognizione precedente avevamo fatto riferimento a questa struttura. E proprio come in quella occasione m’imbatto, lì vicino, in una casetta del tutto identica a quelle in precedenza incontrate sotto il cavalcavia della Serenissima: per esperienza pregressa quindi so che dentro ci saranno valvole idrauliche o saracinesche (foto sotto).

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La torre piezometrica s’impone come la costruzione più alta della zona. Non si tratta di un totem d’incongruenza molto forte tanto per la sua posizione leggermente periferica rispetto all’UDA che tiene sotto scacco, quanto per il ruolo che condivide con l’attrattore MAAM che nella fattispecie lavora come un totem a smontare l’influenza atmosferica della parrocchia Santa Maria Immacolata e San Vincenzo de Paoli. MAAM a torre piezometrica: il tuo nemico è anche mio nemico.

Torno sui miei passi perché oltre la torre siamo abbondantemente fuori dall’UDA di Tor Sapienza e nel fare ritorno verso piazza de Cupis giro a destra su viale Giorgio De Chirico. Sono molto fuori la ley line ma ho tralasciato degli oggetti/sequenza dell’UDA molto interessanti e colgo l’occasione per documentarli. Giro su via Carlo Carra all’altezza del market Carrefour:

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Autoctoni mi dicono che il Carrefour, da quando è stato inaugurato, è un importante centro d’attenzione in quella parte di Tor Sapienza. In effetti guardandomi attorno non vedo nessun’altro negozio nei dintorni: e a essere precisi non vedo null’altro che i palazzi e il Carrefour. Raggiungo quindi viale Giorgio Morandi (foto che segue).

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L’enorme complesso abitativo (foto sopra) ha la forma di un circuito automobilistico e letteralmente racchiude il Centro Culturale Municipale Giorgio Morandi (qui nella immagine aerea) funzionalmente alleato col Metropoliz/MAAM e quindi, forse a sua insaputa, con la torre piezometrica. Le informazioni sul centro sono reperibili nella sua pagina fb che ho linkato poco sopra, ma in sostanza esso si occupa di portare attività ricreative e culturali in uno spazio in cui sembrano appena passati i lanzichenecchi cognitivi.

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L’entrata del centro culturale Giorgio Morandi

Nella foto successiva il graffito alieno di Yest, che ho conosciuto alla presentazione di De Core proprio qui al Morandi qualche mese fa.

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In linea del tutto generale mi pare di poter stabilire che mentre l’edificio a forma di circuito funziona da tonal di questa zona (sempre Tor Sapienza ma un’UDA molto diversa), il Centro Culturale Municipale Giorgio Morandi è il totem d’incongruenza di quest’UDA e mina la granita solidità del nulla culturale che pare essere stato il motivo ispiratore del genio urbanista che ha progettato questo frangente romano.

Torno nuovamente indietro su via le Giorgio De Chirico (direzione via Prenestina – sto praticamente tornando indietro) fino a delle scalette che si aprono sulla mia destra. Le avevo già viste in passato ma non avevo mai trovato il tempo di salirle. Conducono a un parchetto sopraelevato con delle giostrine:

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Nel parchetto c’é anche una pista per il pattinaggio su ruote.

Su una panchina un uomo e una donna con abiti indiani pranzano e amoreggiano l’uno accanto all’altra. Qui nel nulla ludico si aprono enormi sprazzi per l’amore agostano.
Ma nel silenzio totale il parchetto parla anche con un’altra voce: un graffito mi colpisce (le foto che seguono):

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L’ampio graffito è a ridosso di una struttura che delimita l’area cani. Nella prima foto è infatti visibile anche Laika. A Tor Sapienza ci sono alieni disegnati dappertutto. Ne avevamo incontrati al centro Morandi, quelli di Yest e di Pino Volpino. Ci sono questi che sono d’altra mano e forse sottolineano l’esperienza d’estraneità umana locale rispetto al resto del mondo sociale. In un parco collocato su un altro pianeta.

Dal parchetto poi s’accede al bel ponte Ilaria Alpi. E’ un attraversamento ciclopedonale di viale Giorgio De Chirico (nella foto successiva).

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Ancora (un po’ scura ll’immagine successiva) una foto del ponte dal basso: l’ho attraversato e sono sceso nuovamente su viale De Chirico.

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Questo ponte è un separatore che simula la sensazione di due atmosfere distinte e separate che invece sono la medesima. Il ponte restituisce la sensazione di un passaggio da un’atmosfera ad un’altra ma è solo cosmesi, men che mai reale distanza.
Giro a destra su viale De Pisis, poi di nuovo via di Tor Sapienza e ancora piazza de Cupis. Sono tornato laddove avevo “divagato” verso il totem d’incongruenza. Ho la netta sensazione di aver attraversato due atmosfere distinte in cui viale De Pisis gioca il ruolo di occultatore: esattamente la funzione inversa del separatore. Lo comprendo perché questa volta l’arrivo a piazza de Cupis è più sgradevole rispetto alla prima volta. L’UDA del complesso abitativo a circuito automobilistico è decisamente più ostile della parte più vecchia di Tor Sapienza da cui provenivo all’inizio. Immagino il piccolo Centro Culturale Municipale Giorgio Morandi che combatte contro il palazzo-circuito e mi viene in mente la scena del film Brazil in cui il protagonista lotta contro il ciclopico samurai. Film meraviglioso, ma ho sempre odiato quelle sue sequenze oniriche. Chissà perché ora mi vengono in mente. Registro comunque questa reazione emotiva.
Poi ricordo che proprio fuori del centro Morandi c’è un cartello che nell’indirizzare verso il palazzone a circuito segnala lezioni d’arti marziali.

Prima di rimettermi sulle tracce della ley line Tor Sapienza ho il tempo di fare una verifica che in questo periodo mi sta particolarmente a cuore.
Nella ricognizione precedente avevamo cercato di verificare un’accezione circa l’idea di conflitto atmosferico (la numero 2). Rimando all’introduzione fatta durante quella ricognizione per non appesantire questo resoconto con un’inutile ripetizione.
Ora, qui a piazza de Cupis, sono nel posto giusto per fare un’altra verifica, su un terreno molto diverso. Ai confini dell’UDA di Tor Sapienza, proprio come a Pietralata in via Feronia, m’aspetto di trovare quei segnali, quei segni di conflitto che, qualora l’idea fosse corretta, dovrei rinvenire qui ai bordi dell’UDA. Ciò aprirebbe ad un’ulteriore funzione dello strumento “conflitto atmosferico“. La volta precedente ci eravamo impegnati ma non era andata benissimo.

Diamo un’occhiata alla mappa per iniziare:

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Siamo vicinissimi al punto d’incontro tra l’UDA di Tor Sapienza e quella di Tor Cervara rappresentate, nella mappa precedente, un po’ grossolanamente e schematicamente; ma non è questo tipo di precisione che al momento ci occorre. Comunque sia quello segnato in verde è l’alone d’interferenza (la superficie di contatto e di sovrapposizione) delle due UDA che ivi s’incontrano. E’ proprio qui che immagino di trovare i segnali di cui parlavo poc’anzi.

A piazza de Cupis (siamo ancora fuori dall’alone d’interferenza, ma in realtà l’area segnata in verde è del tutto indicativa e arbitraria) troviamo il ferramenta Tempesta.

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Un buon inizio per uno che cerca conflitti atmosferici. E’ una battuta. Tra l’atro il ferramenta si sta trasferendo in nuova sede. Era lì da molti anni.

Ancora su piazza de Cupis scorgo segni di degrado del territorio (almeno secondo me):

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Eurobet = degrado del territorio

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Compro Oro = degrado del territorio

Ma come dicevo siamo ancora formalmente fuori dall’alone d’interferenza.
Mi avvicino quindi alla zona interessata.
Ora sono dentro.

L’insistente e isterico rumore di una tazza di ferro battuta su del metallo attira la mia attenzione. Acusticamente pare di assistere ad una scena di quelle che si vedono nei film di detenuti in rivolta. Il rumore è proprio quello.
Dietro una finestra con grata in metallo due anziane signore indemoniate urlano contro il vicino di casa che sul terrazzo confinante con la loro finestra è uscito per chiedere loro di smettere di produrre quel baccano. Non solo non smettono ma iniziano a insultarlo pesantemente e surrealmente. Insultano lui, la moglie e tutti i condomini del palazzo. Non smettono. Si alternano. Si sovrappongono. Poi iniziano a insultare il bar proprio sotto la loro abitazione. E’ quello il vero obiettivo polemico. Poi insultano chiunque si fermi a capire cosa sta accadendo. Insultano anche me che le sto riprendendo col telefono e mi appellano con il puerile epiteto di quattrocchi (senza lo spara pidocchi). Mi dicono che sono uno spione (e su questo c’hanno ragione ragione visto che le sto riprendendo) e poi mi dicono che sono un drogato e che se ho bisogno della mia dose giornaliera posso rivolgermi al bar sotto casa loro. E’ tutto bollentemente surreale.
Dalla bocca delle due donne (sopratutto all’indirizzo del loro vicino di casa) escono volgarità impensabili ma condite da una certa infantilità. Paiono due bambine invecchiate assieme e improvvisamente dietro le sbarre del loro appartamento-galera.
Mentre il vicino tenta debolmente di portare il discorso su un binario basilarmente razionale, loro continuano, come macchinette, a sparare insulti rivolti alla sua prostata e alla moglie secondo loro “donna di discutibili costumi”. Nonostante siano più anziane di lui gli ripetono ossessivamente che è un vecchiaccio…
Sotto il link al video che ho girato e che spero renda l’idea.

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Clicca qui per vedere il video.

Io le spio perché per me sono l’evidente segno di un conflitto atmosferico. Paiono impazzite perché recluse in quell’alone d’interferenza che rende tutti un po’ matti, psicotici, scissi e surreali. Forse è così che si diventa a vivere nel bordo spurio di un’UDA. Forse il continuo contatto con due atmosfere diverse alla fine rende folli, fa invecchiare precocemente, cuoce il cervello, t’arriccia nei confronti del mondo esterno e ti trasforma in una mitraglietta spara-improperi.
Ecco questo è quanto, e anche più, ci saremmo aspettati di trovare una ricognizione fa quando eravamo in giro a pedalare proprio in cerca di conflitti atmosferici. Una dimostrazione palese e teatrale.
Resterei a filmarle fino a esaurimento volgarità ma il vicino disperato è rientrato in casa e ora l’obiettivo polemico sono diventato io. Dal bar mi guardano come a dire: “le stai provocando”… ovviamente non dev’essere la prima volta e non sarà evidentemente l’ultima.
Risolvo d’allontanarmi col mio bottino visuale.

Procedo, quindi e sono ancora nell’alone d’interferenza (questa volta dalla parte di via di Tor Cervara) quando m’imbatto nell’edificio della foto che segue.

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E’ il palazzo della TVR Voxson (un tempo nota emittente privata romana): un’architettura del tutto aliena per questa parte della città e non solo.
Il palazzo è avveniristico ma non deve esser poi così tanto recente. Se non un vero e proprio segno di conflitto sicuramente un simbolo di evidente estraneità in questa zona.
Poco più avanti una freccia spezzata a terra.

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Sempre nell’alone d’interferenza: segnali di indiani che hanno sconfitto cowboy.

Comunque sia: non è il compito che mi sono prefissato oggi quello di soffermarmi troppo sulla verifica della seconda accezione di conflitto atmosferico. Ma da un certo punto di vista mi sento soddisfatto: l’ipotesi sta prendendo forma e devo ringraziare le due anziane indemoniate.

Mi rimetto in movimento verso la torre di Tor Cervara il terzo segnalatore della ley line. Incontro alla mia sinistra il parco della Cervelletta.

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Pedalo davvero pochi metri…

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e giungo fino al casale della Cervelletta sempre nel parco dell’Aniene (foto sopra). Nella su interezza non l’ho mai visitato. Non lo farò neanche questa volta visto che ho appena bucato… si tratta di un’insidiosa Tribulus Terrestris.

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Ci metto poco a cambiare la camera d’aria: alla mia bici è rimasto solo l’essenziale. Tra un po’ proverò anche a fare a meno della catena.

I Tribulus Terrestris sono degli efficacissimi psico-dissuasori.
Esco quindi dal parco e mi rimetto sull’amichevole asfalto. Giusto il tempo di pochi metri e m’imbatto in un nuovo psico-dissuasore: l’avevamo già incontrato qui. E’ la marana che attraversa il parco Fabio Montagna. Lì aveva la parvenza di una fogna a cielo aperto mentre qui di un lattiginoso e quieto fiumiciattolo (foto che segue).

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S’inizia a delineare lo sgradevole tracciato di una mappa sensoriale: olfattiva.

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L’odore spaventoso è esattamente quello della volta scorsa: non ci sono dubbi che si tratti dello stesso corso d’acqua. Costeggia per lunga parte via di Tor Cervara appestando le poche case limitrofe e i pochi avventori che sul lato opposto della strada attendo i pigri mezzi ATAC.

Sempre su via di Tor Cervara m’imbatto in una sequenza di cenotafi stradali.

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I primi due sono a distanza ravvicinatissima subito dopo il ponticello della marana.
Il terzo più antico è un po’ piu’ in là. Dietro il muretto su cui è issato si sta sviluppando una discarica.
Ho la sensazione che i cenotafi rientrino nella tassonomia delle cuspidi. Si tratta di oggetti che registrano un frangente di storia della zona, nella fattispecie ne raccontano della pericolosità, e indicano il momento spaziotempo della fine di una vita. Tutte caratteristiche da cuspide: ma su questo al momento è in corso un dibattito.

Decido di cercare una fontanella perché nel parco a cambiare la camera d’aria ho esaurito l’acqua. Giro quindi su via Vespignani senza troppo crederci anche se a Roma non è difficile trovare nasoni collocati in deserti antropici come quello. Se trovo un parco trovo anche l’acqua.

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Niente parco invece, ma il nasone mi si palesa comunque in tutta la sua fresca veracità.
Non ho mai percorso quella via e quindi dopo essermi fatto il bagno in questo inatteso gelido lido decido di seguirla per vedere dove mi conduce.
M’imbatto in qualcosa di molto interessante e ancora in via di studio e definizione ufociclistica: un ritmo.

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Nel video qui raggiungibile ho utilizzato la cassa di una Roland TR 909 pigramente scaricata dalla rete. Spero di non fare un torto a nessuno nella scelta di questa batteria elettronica che tra l’altro non amo particolarmente. Ma mentre riprendevo i tombini è lei che m’è venuta in mente: forse perché somigliante all’atmosfera emessa da quella strada.
La TR 909 è una batteria rude che necessita di molto spazio per le sue gonfie frequenze… un po’ come questa strada rude e ariosa che batte il tempo. Sono sicuro che qui abiti John Shirley o che almeno c’abbia scritto il suo Il rock della città vivente.

Quella di ritmo è una categoria in progress: come ufociclisti ci stiamo accorgendo del fatto che a volte alcuni spazi sono puntellati (caratterizzati) da ricorsioni (specchi stradali, cartelli d’istruzioni, cartellonistiche, tombini, eccetera) che si propongono con una certa ritmica cadenza. Una sorta di notazione spaziale che forse produce una certa risonanza spaziale. Risonanza spaziale in questo contesto non significa ancora nulla… si tratta di una sensazione (una costellazione) che stiamo cercando di portare ad un livello razionale e non più solo epidermico. Al momento ci limitiamo a raccogliere casi come questo. Questo è un caso particolarmente fortunato: una sequenza così precisa, lunga e ordinata di tombini tutti grossomodo alla stessa distanza non mi era mai capitato di trovarla.
Mi ero illuso di riuscire a tenere il tempo ma come è possibile ascoltare nel video non è così. A parte la giustificata inerzia dell’inizio, il tempo resta costante solo per una breve frazione della partitura. Poi un’automobile mi costringe a cambiare carreggiata e “bonanotte ai sonatori”…

Sono nuovamente su via di Tor Cervara, molto vicino alla torre che è il terzo punto della ley line che sto inseguendo.
Ma sulla mia sinistra appare un’affordance attrattiva: un cancello semiaperto che m’invita a entrare.

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Procedo con cautela in lontananza s’intravedono delle vecchie case di campagna semi distrutte. Tutt’intorno segni di attività umane piuttosto recenti.
Proseguo fin dove posso.

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Conosco questo posto (foto precedente). A Roma in certi ambienti è noto perché negli anni Novanta vi si svolsero rave illegali. Ora pare non esserci nessuno. Poi inizio a sentire un martello battere insistentemente e quindi risolvo di tornarmene indietro: l’esplorazione di quel luogo al momento non è una priorità.

Sono comunque ormai giunto alla torre di Tor Cervara (nella foto che segue):

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Non ci si accede perché è all’interno di una proprietà privata:

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Scontato pensare che la vecchia torre sia un’ospite della casa di riposo.

Tracciamo finalmente allora la nostra ley line.

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Insomma lo dicevo all’inizio: le ley line psicogeografiche non sono una cosa da prendere troppo seriamente.
Ma quelle ufociclistiche si!
Allora intendiamoci.

1) Prioritariamente una ley line ha il valore di un camminamento: un camminamento banale dato che si svolge lungo una linea retta. A differenza dei camminamenti che s’intrecciano (guarda questo rapporto) quest’ultimo non produce nodi interpretabili (si consulti l’atlante ufociclistico). Tuttavia i segnalatori che incontriamo ci possono rivelare delle utili informazioni sullo spazio o sull’UDA che stiamo attraversando.
L’allineamento di segnalatori può, come nel caso della ricognizione a Pietralata, svelarci l’esistenza di un collegamento sotterraneo e funzionale tra due spazi (in quel caso la rete idrica). Un allineamento può inoltre mostrarci una traccia di speculazione edilizia in atto, di gentrificazione (come nel caso della linea che taglia e congiunge i quartieri romani di San Lorenzo, Pigneto e Centocelle). Ancora un allineamento può evidenziare lo sviluppo di necrosi sul territorio, traumi dello spazio, conflitti, che si consumano su direttive privilegiate e pianificate da urbanisti scellerati e palazzinari senza scrupoli. Queste tattiche di sfruttamento del territorio non sono mai del tutto casuali; determinare quindi delle basi, degli omphalos, da cui diramare ricerche a raggio può risultare molto istruttivo ed efficace.
Insomma una ley line può essere utilizzata, proprio come nell’antichità, per orientarsi lungo sottese trame che sfuggono alle mappe ufficiali (sulla non asettica modalità con cui si compilano le mappe si può leggere on line questo saggio di John Brian Harley: Carte, sapere e potere).
Si tratta di un modo alternativo di rigare e sezionare il territorio funzionale all’attività di mostrarlo sotto un’altra luce.
Su questo ufociclismo e psicogeografia concordano perfettamente.

2) Un’idea più propriamente ufociclistica è quella delle ley line ufo.
E’ un’osservazione dell’ufologo Alan Watts che gli oggetti volanti non-identificati viaggino lungo ley line privilegiate. Tali ley line aeree talvolta ricalcano quelle geodetiche terrestri.
Ma anche Watts riamane su un piano prettamente fenomenologico della questione.
Ripartiamo da quanto ho sostenuto all’inizio di questo rapporto a proposito delle “misteriose” energie che interesserebbero le ley line.
L’ufociclismo cerca di leggere le ley line al pari di vettori geometrici dotandoli, per definizione, di direzione, verso e intensità.
Sulla direzione e sul verso non ci sono particolari problemi. L’intensità di un vettore invece è proporzionale alla sua lunghezza. Ma questo ancora non ci dice nulla se al di fuori del modello teorico il nostro vettore non è equipaggiato di una qualche forma d’energia misurabile.
Orientando il vettore l’ungo l’atmosfera del globo terrestre (come accade per un UFO o qualunque cosa voli) parallelamente alla superficie terrestre, e registrando la sua direzione e verso, scopriremo che percorrendolo (il camminamento) delle volte si acquista mentre delle altre si perde energia potenziale gravitazionale. Ciò grazie ad diverso valore di g (gravità) esercitato dallo sferoide terrestre verso i corpi che gli sono prossimi a seconda che siano più vicini ai poli o all’equatore.
La trattazione di questo argomento è piuttosto lunga… anche per questa ragione con Daniele abbiamo scritto l’atlante ufociclista. Rimando quindi a quel testo l’approfondimento su questo specifico argomento abbastanza tecnico.
Qui mi limiterò a dire che qualora la nostra ley line Tor Sapienza fosse interessata da una fenomenologia UFO (fatto da dimostrare), si tratterebbe di un camminamento particolarmente interessante perché a seconda del verso e proporzionalmente alla lunghezza esso, più di altri, produrrebbe un elevato differenziale d’energia potenziale gravitazionale. Quest’ultimo nel caso di perdita d’energia indicherebbe, secondo la nostra idea, una pratica d’avvicinamento e di volontà di contatto dell’oggetto (di chi senzientemente lo guida) con l’osservatore a terra.
Questa idea è connessa a quella di UDA contattistica che ci proponiamo di esemplificare quanto prima ma che è anch’essa naturalmente illustrata nell’atlante.

In sintesi queste sono le ragioni che rendono le ley line tanto importanti; entrambe in linea con la pratica ufociclistica di produrre mappature alternative e di predire lo spazio più appropriato per un eventuale contatto con forme di vita altra.
Entrambe che scorgono nelle ley line un axis mundi.

Mi rimetto in cammino per il ritorno. Sono comunque tre ore che pedalo anche se in maniere discontinua. Mi fermo a mangiare della pizza al taglio e mentre trovo riparo sotto un albero su via di Tor Sapienza dalla bacheca di un bar fanno capolino alcuni articoli di giornale che attirano la mia attenzione.

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L’intera bacheca è dedicata al Gsc (Gruppo Sportivo Ciclistico) Tor Sapienza.
Non sapevo esistesse.
Chissà se mai riusciremo a coinvolgerli nelle nostre mappature e ricerche di contatto con forme di vita altra.
Tra ciclisti dovrebbe essere facile intendersi su questioni del genere.

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Guarda il tracciato completo con (finalmente) le icone ufocicliste!

 

 

 

Conflitto atmosferico: i bordi dell’UDA – Pietralata – Roma – 5/8/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena 

Dato l’incomprensibile alto numero di defezioni a questa ricognizione indetta in uno dei giorni più caldi, del mese più caldo, di un mondo avido d’ozono, abbiamo stabilito che le ricognizioni d’agosto sono esse stesse uno psico-dissuasore.
Ciononostante…

iniziamo col concetto di conflitto atmosferico così come l’UfoCiclismo lo mutua dal lavoro dell’APR (Associazione Psicogeografica Romana):
l’acquisizione di un’UDA quasi sempre avviene come sequenza di passaggi e dunque il ricambio della popolazione ha luogo raramente in blocco al pari di una deportazione. In una stessa UDA quindi si vengono a trovare gradualmente gruppi sociali molto diversi: da una parte i nativi, cioè coloro che hanno contribuito costitutivamente (in quanto capitale umano) alla generazione dell’UDA. Dall’altra i pionieri, i primi colonizzatori. Questi due gruppi per un certo periodo di tempo convivranno conflittualmente“.
La definizione è molto importante perché drammatizza, dinamizza e storicizza la figura dell’UDA (Unità d’Ambiance) che altrimenti parrebbe cangiante e mutevole per ragioni d’ordine metafisico. Il conflitto è il motore dell’UDA (come lo è della storia) e col conflitto cambiano o mutano forma anche tonal e totem d’incongruenza (per questi concetti si veda l’atlante, il glossario on line, i rapporti precedenti e quelli a venire).

Partiamo quindi da viale della Serenissima angolo via Prenestina in direzione Pietralata verso via Tiburtina. E’ Pietralata il nostro obiettivo, ma ben presto sorpassato il viadotto della stazione Serenissima notiamo sulla nostra destra un passaggio che non avevamo mai trovato aperto prima d’ora.

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Si tratta di un’affordance attrattiva (si veda questo rapporto): un cancello solitamente chiuso che spalancato “invita” ad entrare. Non possiamo fare altrimenti. Questa zona che costeggia via Collatina e più precisamente via Herbert Spencer è in questo periodo interessata da lavori che ne stanno ridefinendo l’aspetto; quindi non è strano imbattersi in cantieri e strade semichiuse.
Imbocchiamo la strada sterrata bianca:

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Cliccando sul link di via Spencer, poco sopra, si può vedere la vista aerea della zona che però, ad oggi, non è aggiornata e mostra una situazione dei lavori antecedente di qualche mese.
Ci ritroviamo nell’area dei lavori in corso in uno spazio verde che è l’accesso, scopriremo, a piccoli appezzamenti di terreno non visibili da viale della Serenissima. I terreni sono perimetrati con reti e mezzi d’accatto (reti del letto ad esempio) come spesso avviene in queste aree forastiche e in disparte. Se la si guarda dalla prospettiva aerea ci si rende conto che si tratta di una sorta di enclave attorno a cui si è continuata a crescere la città. Se si considera inoltre che l’enclave si situa ad un livello stradale interrato rispetto a tutti gli edifici che la circondano, viene subito in mente il romanzo L’isola di cemento di Ballard.

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Dal basso: il punto del viadotto da cui proveniamo. Sulla sinistra, appena visibile, una struttura appartenente alla stazione FL2 Serenissima. La scala è il tentativo di qualche prigioniero dell’isola di cemento di riemergere.

Ci sono un paio di Obike straziate e abbandonate. Le Obike sono il nuovo marcatore del degrado a Roma: il segno di questo tipo di conflitto incarnato nello sharing ciclistico è evidente in un po’ tutti gli angoli della città.
Quando si accede ad aree come questa è prevedibile trovare carcasse gialle di biciclette cannibalizzate o semplicemente vandalizzate come simbolo e collasso di un’idea di pubblico che è ormai solo proforma se non addirittura vero e proprio simulacro. Ogni bici gialla crudelmente sottratta al suo network urla di un’atomizzazione sempre più cinica che questa città sta vivendo in cui l’idea di collettività sta evidentemente assumendo nuove forme al momento difficilmente codificabili. Almeno da noi…
Le Obike potrebbero essere i segnalatori di conflitto atmosferico. Ne prendiamo nota, anche se al momento non è detto che siano queste il tipo di tracce che stiamo cercando.

Una nuova affordance attrattiva: una casina con la porta aperta. Sembra molto più antica della strutture che la stanno lentamente divorando.

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Siamo all’interno (foto precedente) ma non è chiaro di cosa esattamente si tratti. Quella visibile in foto sembra una valvola idraulica ma non ci sono indicazioni o segnali che lo confermino o lo smentiscano.

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Poco più avanti di casettina ne troviamo un’altra. Forse anche più antica della precedente (ancora visibile a sinistra nella foto) a giudicare dal tipo di mattoni e dalla forma dell’iscrizione.

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L’iscrizione ci conferma, ma era evidente, che si tratta di una casetta molto antica: 1910.

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Ci pare sempre più qualcosa avente a che fare con il controllo del flusso d’acqua. La chiusa visibile in foto è tutt’altro che abbandonata e forse ancora svolge la sua funzione. Non sappiamo quale.
Ma nell’area non sono presenti corsi d’acqua visibili.
Ci torna in mente che poco distante da dove siamo c’è una torre piezometrica nel quartiere di Tor Sapienza, potrebbe quindi trattarsi di una struttura che ha a che fare con un acquedotto. Scopriamo, in un secondo momento, che in quella zona passano tre importanti acquedotti di cui queste antiche strutture dovevano, forse un tempo, controllare o reindirizzare i flussi.
In qualche modo probabilmente le due strutture (casetta e torre piezometrica) sono allineate e quindi comportandoci un po’ come degli psicogeografi estendiamo per curiosità una linea da qui ad un importante punto d’interesse della zona, il centro commerciale Roma Est: attrattore popolar-commerciale in questa parte di Roma. Con nostra sorpresa la torre piezometrica di Tor Sapienza ci cade perfettamente dentro formando di fatto una ley line: guarda la mappa.
Al momento ci limitiamo nel rilevare questo allineamento (forse per future esplorazioni) senza tentare sovrainterpretazioni che ci porterebbero inutilmente fuori strada.

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Procediamo verso una “ziggurat” di blocchi temporaneamente depositati sul terreno.

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Foto con ufociclista arrampicatore per avere una stima delle dimensioni della ziggurat.

Ora in cima:
dall’alto offrono una bella visuale della zona (foto che segue).

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C’avventuriamo lungo una strada che costeggia via Spencer e che s’innoltra in una rada boscaglia:

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Abbiamo il tempo per riprendere il discorso sul conflitto atmosferico: se è infatti vero che la definizione da cui siamo partiti ha un importante ruolo, in questa ricognizione vogliamo verificare un’altra possibile accezione dello strumento.

Partiamo dall’unità minima della mappatura ufociclistica: l’UDA. Una mappa ufociclistica è, macroscopicamente, un insieme, una tassonomia, di UDA.
Abbiamo ipotizzato che l’UDA fosse isotropica da qualunque punto la si osservi. Ciò per noi significa, ad esempio, che essa non presenta “ispessimenti” o “assottigliamenti” atmosferici nell’intorno del tonal o del totem d’incongruenza qualora ci fossero. Ma più realisticamente: cosa accade ai bordi di un’UDA?
Noi intanto ci addentriamo e voi che leggete potete intrattenervi con un interessante articolo sulle “bolle isoglosse” che è stato d’ispirazione per formulare questo quesito.

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Dalla parte di via Spencer il percorso sterrato finisce contro un cancello chiuso. Sul lato destro (non visibile nella foto), c’è una piccola entrata agibile a piedi e in bici.
Giungendo fin qui abbiamo però visto altre diramazioni che, tornando sui nostri passi, esploreremo.

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Sul lato opposto (una delle diramazioni che non avevamo intrapreso), il percorso finisce su un cancello che guarda la centrale elettrica di via di Grotta di Gregna.
Anche qui, sempre sul lato destro, c’e’ un’entrata dalla parte di una pompa di benzina in dismissione.

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Per il resto poco da rilevare se non questo monumento all’attesa e alla solitudine che ci pare bello (foto precedente) e che guarda con pasoliniano scoramento nella direzione della farneticante centrale elettrica.

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Tutt’intorno si comprende che la zona è un’immensa discarica (guarda la foto precedente): il concentramento di decenni di detriti. Si trattasse di detriti autoctoni, autocumulatii, saremo in presenza di una cuspide (guarda questo rapporto). Ma in realtà ci pare trattarsi di scarti lasciati lì da camion provenienti da altrove data la classica forma a piramide che i cumuli hanno assunto. Solo una discarica.
Torniamo quindi indietro.

Nel tempo che ci serve per pedalare fino alla strada sterrata bianca possiamo riprendere il discorso sul conflitto atmosferico là dove lo avevamo lasciato: questa nuova idea proveniente dalla “bolle isoglosse” non ha nulla a che fare con l’isoglossa ma il modello di sviluppo e di espansione della bolla ci pare davvero pertinente a quello dell’UDA. Chi ha letto l’articolo che abbiamo linkato sopra avrà notato che proprio ai bordi di una bolla può accadere qualcosa d’interessante. Lo avevamo accennato nell’atlante ufociclistico a proposito delle UDA definendolo alone d’interferenza. Si tratta dello spazio in cui due UDA entrano in contatto e per una certa porzione di reciproca superficie si sovrappongono. Non avevamo però correlato a questo spazio di contatto l’idea di conflitto atmosferico.
L’ipotesi da verificare è quindi che nei punti di contatto tra UDA (le UDA sono ben più permeabili di una bolla), negli aloni d’interferenza, si creino conflitti tra atmosfere diverse: conflitti atmosferici, addirittura “temporaleschi”. Se così fosse, dovremmo trovare, in prossimità di questi bordi, qualche elemento rivelatore, dei segnalatori, di tali “belligeranti” contrapposizioni. Tutto ciò ci pare consistente con l’immagine di un’UDA isotropica ed espansiva.

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Siamo tornati al punto d’entrata e ci muoviamo nella direzione opposta alla strada bianca, lungo un tratto asfaltato che non è ancora accessibile al traffico ma che lo sarà tra breve a giudicare dallo stato dell’arte dei lavori. Passiamo sotto il cavalcavia della Serenissima (guarda la mappa complessiva alla fine del rapporto) e di nuovo c’imbattiamo in un’affordance attrattiva (foto precedente): irresistibile anche questa.

Purtroppo le foto che seguono non rendono bene l’idea dello spazio che abbiamo trovato. Non eravamo preparati e non avevamo portato con noi torce abbastanza potenti per illuminare lo spazio esplorato (ma forse non sarebbero comunque bastate). Avevamo solo le lucette delle nostre biciclette, del tutto inadatte a squarciare il buio implacabile del sottomondo. Proveremo comunque a rendere l’idea descrittivamente.

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Le scale che s’intravedono costeggiano un enorme tubo (la struttura nera sulla sinistra) seguendolo sia verso l’alto (qui in foto) che verso il basso (due foto sotto).
In alto si salirà per 10 massimo 15 metri.

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Ora siamo in cima alle scale e a questo punto inizia un corridoio che abbiamo seguito solo in minima parte data l’abbondante presenza d’acqua e fango a terra. Ovviamente dopo i primi tre minuti una quantità inenarrabile di zanzare ha iniziato a spolparci.
Siamo scesi nuovamente.

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Foto dal livello più alto della conduttura. Ci apprestiamo a scendere. La luce sulla sinistra è quella proveniente della porta d’entrata. Oltre la luce la zona scura è la scala che consente di seguire il tubo sotto terra.

Anche a scendere il tubo s’interra, da livello terra, per circa 10/15 metri.
Scesi quindi complessivamente 20/25 metri ci ritroviamo di nuovo in un corridoio (foto che segue). A terra c’è meno acqua che in cima alle scale e quindi lo percorriamo. La densità di zanzare invece è rimasta invariata.

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La luce che filtra in alto sulla sinistra proviene (ne siamo ragionevolmente certi) da quell’incavo che si vede nella terza foto di questo rapporto. All’inizio.  Siamo quindi scesi nuovamente al livello delle casettine e dello sterrato: l’isola di cemento ballardiana.

Nella foto che segue siamo nel punto in cui nella foto precedente filtrava la luce.
Si tratta di una passerella:

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Davanti al tubo sul lato destro della foto si apre un nuovo corridoio in cui non ci siamo avventurati (nella foto che segue) dato che eravamo già da qualche decina di minuti fuori portata degli ufociclisti che ci attendevano in superficie.

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Abbiamo invece proseguito oltre la passerella nella direzione originaria dove si è aperta un’enorme stanza lunga almeno cinquanta metri. L’abbiamo percorsa interamente (foto che segue).

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Alla fine di questo ambiente il tubo s’infila in un condotto più piccolo ma comunque percorribile. Ma noi ci siamo fermati al di qua.
Il tubo è davvero enorme ed è probabilmente la condotta di uno dei tre acquedotti che convergono in questa struttura sotterranea.
Tecnicamente si tratta di una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo rapporto) un percorso altamente disciplinante, che sarebbe molto interessante seguire interamente per scoprire se conduce a inattese aperture in altre zone di Roma.

Siamo di nuovo fuori e riprendiamo il percorso originario verso Pietralata.
Passato il cavalcavia che supera via Tiburtina sulla nostra destra troviamo subito l’entrata di via Feronia.
Da qui inizia la ricognizione in cerca di tracce di conflitto atmosferico.
Abbiamo scelto scientemente via Feronia perché molto caratteristica.
Si tratta di una stretta strada a senso unico che di per sé è una scorciatoia (non ufociclistica ma in senso tradizionale dato che è percorribile in automobile). La via si sviluppa all’interno di una sorta di piccola enclave caratterizzata da zone di verde e case basse che le conferiscono un aspetto decisamente anomalo rispetto al resto del quartiere. La stessa via Feronia sbuca però su via dei Durantini non prima di aver mutato decisamente aspetto (atmosfera).
La strada quindi s’articola all’interno di due UDA visibilmente ben distinte e con i rispettivi bordi che confinano senza soluzioni di continuità. Una condizione, almeno in teoria, perfetta per verificare la nostra ipotesi circa l’alone d’interferenza.

Prima d’entrare più nel dettaglio nella situazione di via Feronia, cogliamo l’occasione per rettificare una mappa illustrata nell’atlante ufociclistico. Nell’atlante avevamo utilizzato, per esemplificare la voce scorciatoia, uno stretto budello che proprio qui in via Feronia inizia (o finisce a seconda del verso da cui lo si guarda). Eccolo nella foto che segue.

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Di natura esclusivamente pedonale, la bici si può portare a mano, costeggia un campo di calcio e collega via Feronia con via Marica facendo risparmiare molta strada a chi lo percorre.
Nel nostro nuovo sopralluogo via Feronia e via Marica appaiono caratterizzate da due diverse atmosfere. In linea del tutto generale le considereremo come due UDA che esprimono differenti emozioni al contrario di quanto ci era apparso in ricognizioni precedenti.  Questa strettoia collegando due UDA differenti e attraversandone una terza, a sua volta esprimente un’atmosfera diversa, diviene per definizione uno strappo (si veda questo resoconto).
Abbiamo scoperto tra l’altro che questo strappo ha un nome “ufficiale”: vicolo Concordia. Accompagnato “coerentemente” dalla scritta Duce come sempre più spesso a Roma si incontra.

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Abbiamo allora immaginato l’esigenza di chiamarlo in quel modo per via di storiche faide che negli anni si sarebbero consumate in quella striscia di terra tra squadre rivali dopo una partita giocata nell’adiacente campo di calcio. Ma è solo una divertente ipotesi.

Guardiamo ora la mappa della zona per comprendere meglio il concetto di bordo dell’UDA:

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Abbiamo grossolanamente delimitato le due UDA di via Feronia (sulla destra si può vedere il campetto di calcio di vicolo Concordia). A destra c’è l’UDA appena attraversata: l’enclave. A sinistra l’UDA ancora da esplorare. Lo spazio in rosso è l’alone d’interferenza che si forma dal congiungimento senza soluzione di continuità della due UDA di via Feronia. Ci aspettiamo di trovare qualcosa, dei segnalatori, degli indizi di conflitto atmosferico nella zona segnata in rosso. Guardiamola nella foto che segue:

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L’immagine è sfalsata perché malamente ottenuta unendo due foto. Ma poco importa.
Rimaniamo un po’ delusi: non ci pare ci siano evidenti segnali di conflitto atmosferico qui: qualunque cosa questo concetto implichi. E’ però molto evidente il bordo come lo avevamo rappresentato sulla mappa: sulla destra è visibile via Feronia con la sua UDA verde mentre sulla sinistra inizia un complesso di palazzi che produce un’atmosfera del tutto diversa.
Restiamo induisticamente fermi all’ombra in attesa di un’ispirazione e ci guardiamo intorno in cerca di tracce. Nulla.
Di fatto non è detto che i segnali del conflitto siano così palesemente visibili. Nulla ce lo garantisce e nulla ci garantisce che la scelta di questa via sia stata la più adeguata.
Fermiamo un’autoctona e le chiediamo se ha la pazienza di raccontarci qualcosa su quella via. Emergono dei fatti interessanti.
Tanto per iniziare proprio in quel punto, ma dalla foto non è visibile, c’è un’enorme antenna ripetitore telefonico che negli anni è stata al centro di dure battaglie nel quartiere perché sospettata di essere la causa di un incremento in zona di morti per cancro.
L’autoctona ci dice inoltre che pochi metri più avanti c’è un parchetto e che anch’esso è stato per anni oggetto di battaglie tra il locale comitato di quartiere e i proprietari privati. Alla fine, dopo molti anni, il comitato di quartiere l’ha spuntata ed è riuscito ad appropriarsi l’agognato parco (nelle foto che seguono).

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La gentile signora ci dice inoltre che l’ufficio postale di via Feronia (foto che segue) è noto per essere stato oggetto di molte rapine (evidentemente sopra la media).

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Ci dice che i paletti gialli (foto seguente) che sono issati davanti alle vetrine furono installati dopo che, a più riprese e sempre a scopo di rapina, furono accelerate, contro l’entrata a vetri, delle automobili in sosta al fine di appropriarsi del contenuto del bancomat.

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Tutto molto interessante, e se non ci trovassimo già abbondantemente dentro la seconda UDA, troppo distanti dall’alone d’interferenza (ad eccezione dell’oggetto antenna), potremmo in parte, forse, ritenerci soddisfatti. Usiamo un doveroso condizionale perché questa nuova concezione di conflitto atmosferico, di cui ci stiamo sforzando di verificare la consistenza, dovrebbe evidenziare dei sintomi, proporre dei segnalatori, al di là delle informazioni storiche note o reperite circa lo spazio indagato.
Intuitivamente ci saremmo aspettati di trovare smottamenti, interruzioni, crolli, tafferugli, graffi, barricate o evidenze del genere. Ci saremmo aspettati di rinvenire psico-dissuasori, filo spinato, voragini nel terreno, il matto del villaggio, cani forastici e feroci, galeotti in fuga, caduta meteoriti, gente armata e asserragliata. Il tutto suona forse un po’ ingenuo e scenografico e a pensarci bene, con le debite differenze e misure, assomiglia un po’ alla descrizione di una cuspide. E che quindi una cuspide nasconda anche un alone d’interferenza e viceversa? Per il momento non aggraviamo la situazione con ulteriori insondabili domande.
L’antenna in realtà è un buon indicatore ed è anche collocato laddove il “modello teorico” prevedeva di rinvenire oggetti del genere. Tuttavia ci pare che la sua comprensione contestuale, come segnalatore, richieda ancora una certa internità ai “fattacci” del luogo. Spesso la realtà sperimentale cozza con le attese previsionali.
Restiamo quindi (incomprensibilmente) insoddisfatti perché ancorati ad un un’idea molto teatrale di conflitto atmosferico. E’ forse la parola conflitto a trarci in inganno.
La concezione di conflitto atmosferico dell’APR, al di là dell’operare per tutt’altro scopo, è fuor di dubbio di matrice storiografica. Essa richiede una conoscenza del territorio pertinente e il meno possibile intessuta di buchi cronologici. In un certo senso sono lo psicogeografo e l’ufociclista che indossano le lenti dello storico.
La concezione che stiamo verificando ha invece più a che fare col lavoro dell’archeologo sperimentale: a partire da certe tracce, da certi segnalatori reperibili sul territorio (quali?), l’ufociclista dovrebbe poter ragionevolmente ipotizzare di trovarsi all’interno di un alone d’interferenza anche non sapendo nulla sullo spazio che sta attraversando.
Si tratterebbe di uno strumento davvero potente.

Ringraziamo la signora che è stata molto paziente e che ci vede andar via delusi. Avrà pensato di averci scoraggiati qualora fossimo stati intenzionati ad acquistare una casa in zona. E in effetti con quell’antenna…

Riprendiamo via dei Durantini e giriamo su via di Pietralata fino a via dell’Acqua Marcia. Anche qui s’avvicendano concomitanti due UDA. Applichiamo un ragionamento analogo a quello adottato per via Feronia e diamo un’occhiata all’alone d’interferenza (foto che segue) che si trova proprio all’incrocio tra Pietralata e l’Acqua Marcia.

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C’e’ una sorta di piccola Tunguska proprio lì dove ci aspettiamo di trovare qualcosa. Un boschetto raso al suolo, forse da un meteorite, e una baracca fatiscente e arrugginita. Tutt’attorno non ci sono segnalatori simili. Solo lì. Solo in quel preciso  e circoscritto punto.

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La baracca da un’altra angolazione. La fotografia è presa da via dell’Acqua Marcia

Ma una “prova” non basta ovviamente: ammesso che questa lo sia. Ci rincuoriamo forse un po’ e rimandiamo la verifica sperimentale della nuova categoria ad altre ricognizioni dove staremo attenti e vigili nel cogliere questo tipo di segnali. Su via dell’Acqua Marcia ci fermiamo ad ammirare un bel lavoro di ricolorazione dei palazzi (foto che segue):

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Il verde del primo palazzo è bellissimo. Il giallo del secondo lo è anche, ma il giallo (più ocra però suggerisce un’ufociclista) è già più comune a Roma.
Ci ripromettiamo di tornare a lavori finiti e di sperimentare qui la Tavola cromatica degli stati d’animo (si veda questo rapporto) per rilevare la tonalità emotiva dell’UDA: potrebbe essere molto interessante scontrarsi con colori così caratterizzanti e fuorvianti.
Condizionatori ovunque. Condizionatori come se piovesse.

Proseguiamo per via delle Messi d’Oro. Incontriamo il parcheggio sopraelevato della metro di Ponte Mammolo. E’ deserto in questo periodo. Un deserto composto da roventi placche di metallo.
Un ufociclista suggerisce trattarsi di una cuspide (foto che segue).

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Non è escluso che lo sia tanto più che in alcuni angoli si concentrano mucchi di stracci e altri tipi di detriti sicuramente originari. Contigua al parcheggio c’è anche un isola ecologica dell’AMA. L’isola ecologica non è una cuspide per le medesime ragioni per cui non lo era il parco di detriti incontrato all’inizio della ricognizione.
Ci soffermiamo un attimo a ragionare su questo fatto. L’ufociclista suggerisce trattarsi di una cuspide prioritariamente perché nel capitolo dell’atlante ufociclista che riguarda le cuspidi si dice che un parcheggio può esserlo.
La natura degli oggetti è sempre contestuale mai elettiva. L’ufociclismo mutua l’idea di una vocazione circostanziale degli oggetti incontrati dalla psicogeografia delle origini; mentre l’idea dell’inserimento dell’oggetto all’interno di relazioni gli proviene decisamente dallo strutturalismo. L’oggetto si trasforma quindi in un oggetto/sequenza (si veda l’atlante) il cui stato percepito è sempre momentaneo e circostanziale (situazionale). A questo proposito abbiamo già accennato in altri rapporti alla natura trans-oggettuale degli oggetti/sequenza (si veda anche questo rapporto), al loro mutare di ruolo nel tempo nello spazio ma anche entro le specifiche circostanze in cui esso è euristicamente inserito. Questo significa, in sostanza, che un oggetto può ricoprire più ruoli contemporaneamente che emergono isolatamente a seconda dell’angolazione e della prospettiva circostanziali da cui li si guarda.
Un parcheggio non è mai una cuspide per definizione quindi. Tuttavia può esserlo (e spesso un parcheggio lo è) in un dato momento della propria sequenza d’esistenza. Anche in questo caso è probabile che lo sia.

Risaliamo sul marciapiede contromano via Tiburtina nella sua parte sopraelevata. E’ un marciapiede per modo di dire. In quel tratto non interessato da abitazioni si è pensato che il passaggio di esseri bipedi o quadrupedi fosse opzionale. Un tratto di strada costruito abbastanza di recente immaginato solo ed esclusivamente a misura d’automobile.
Raggiungiamo una rampa da sempre chiusa di quel tratto (foto che segue) di via Tiburtina che in questo frangente assomiglia a un’autostrada:

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Si tratta di una scorciatoia vera e propria chiusa da barriere new jersey che impediscono l’entrata a automobili e moto. Le bici e i pedoni possono scavalcare.
Ci immette sul tratto finale di viale Palmiro Togliatti facendoci risparmiare un lungo tratto di percorrenza su via Tiburtina.

Risaliamo viale Togliatti per infilarci, invertendo la marcia, nuovamente sulla Tiburtina in direzione opposta rispetto a prima così da intercettare immediatamente un’altra rampa da sempre chiusa:

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Si tratta anche in questo caso di una scorciatoia che però a differenza della prima intercetta inizialmente una discarica:

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e poi una cuspide (foto che segue):

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La cuspide inizia sotto i piloni della sopraelevazione del tratto della metro B: Ponte Mammolo-Rebibbia. Risaliamo il dislivello verso le strutture di cemento laddove le sue tracce s’intensificano:

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Ci sono i segni dei generatori autoctoni della cuspide perché le intercapedini dei piloni sono saltuariamente abitate.

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Nella foto precedente abbiamo scavalcato i piloni nella direzione del fiume Aniene che però da questo punto non è visibile. E’ proprio davanti a noi al di là coperto alla vista dalla vegetazione.
Abbandoniamo questa scorciatoia.

Ci immettiamo nuovamente su viale Palmiro Togliatti in direzione di via Prenestina. All’altezza dei piloni della bretella Roma-l’Aquila (circonvallazione orientale: l’avevamo già incontrata qui a proposito del “parchetto sonico”) si apre un indecifrabile luogo (anch’esso probabilmente una cuspide in mancanza di altre definizioni o ipotesi migliori) che confina con un parco giochi. Di nuovo ci torna in mente Ballard:

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E’ uno spazio immenso e la foto non rende la sua ampiezza.
Lo attraversiamo per EVItare il “pericolosissimo” cavalcavia della Togliatti che scavalca la ferrovia FL2 (anche questa l’avevamo già incontrata qui) e c’addentriamo nel parco Baden Powell (il padre dello scautismo):

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Parco Baden Powell e canetto diffidente

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Ancora parco Baden Powell verso la fine

fino a via Grotta di Gregna. L’avevamo già incontrata all’inizio perché è la via dove abita la centrale elettrica che vedevamo dal parco che costeggia via Spencer.
Stiamo tornando al punto di partenza.
Ancora pochi metri e siamo su via Collatina e poi di nuovo via della Serenissima.

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Qui la mappa completa del percorso.

 

Collezioni e Tassonomie – La Rustica – Roma – 29/07/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena

Questa ricognizione/esplorazione ha avuto il compito di testare la consistenza di due categorie “minori” dell’UfoCiclismo: le collezioni e le tassonomie.
Spieghiamo immediatamente cosa intendiamo per minori.
Entrambe hanno una funzione di raccolta di oggetti/sequenza presenti sul territorio. In entrambi i casi le collezioni e le tassonomie preparano il terreno per l’analisi vera e propria selezionando preliminarmente gli oggetti che compongono il percorso analizzato o l’UDA studiata. Si tratta in altre parole di insiemi.
L’interrogativo che con questa esplorazione volevamo risolvere è il seguente: dato che la collezione si struttura come un insieme generale mentre la tassonomia come sottoinsieme (specializzato), è pensabile che la collezione, una volta organizzata in tassonomie, perda la sua funzione euristica e che quindi sparisca dall’orizzonte di un rapporto (un resoconto) definitivo?
Al contrario: la collezione può mantenere una sua funzione euristica nella decifrazione delle caratteristiche del territorio anche una volta che sia stato fatto un lavoro tassonomico di organizzazione sugli oggetti?

Partiamo dalle definizioni:
Tassonomia: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> tra loro omologhi. Idealmente tali oggetti sono tutti trasformabili l’uno nell’altro senza ricorrere ad azioni come strappi e cuciture (deformazione continua – omotopia).
Un insieme di <<tonal>> può ad esempio costituire una tassonomia“.
Collezione: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> somiglianti: non omotopici. Ad esempio <<tonal>> e <<totem d’incongruenza>>, <<affordance conflittuali>> e <<affordance attrattive>>. Si tratta di congruenze molto meno forti rispetto alla <<tassonomia>>“.
Lasciamo intatti i caporaletti presenti nell’atlante ufociclistico da cui abbiamo tratto le definizioni.

Siamo partiti da via di Tor Cervara angolo via Costi. Tecnicamente ci troviamo nel quartiere di Tor Cervara sulla tradotta che ci condurrà presso il quartiere La Rustica.
Non possiamo fare a meno di “collezionare” il primo oggetto/sequenza che ci si para dinnanzi:

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Il New York 777 – cafè – casinò, scommesse e lotterie… tanto. Tantissimo tutto concentrato in un solo edificio.
Emotivamente ci cattura e lo infiliamo nel nostro “sacchetto” che chiamiamo Collezione.
Ogni inizio è complesso: una ufociclista fa notare che l’oggetto dirimpettaio del New York 777 è però forse più interessante: “perché non partire da quello?“.  Lo riportiamo nella foto che segue:

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Nel sostenere la sua tesi l’ufociclista si lascia scappare un: “l’altro fa schifo!“… prendendosene anche la responsabilità giuridica.
E’ proprio quel “fa schifo” che supporta la scelta d’includerlo nella Collezione mentre ci spinge a non considerare degno di nota quello appena mostrato che, nella sua seppur più accettabile decenza, non esprime alcuna forza tonale. Lo schifo è invece una risposta ambientale ben più interessante, capace di caratterizzare un luogo fino ad arrivare a costituirne o a disgregarne la compattezza timica: quell’aura emotiva che esso compattamente emana.
L’ufociclista non sembra troppo convinta.

Procediamo quindi su via Costi e subito c’imbattiamo negli ex edifici del comando della guardia di finanza. Foto che segue.

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L’edificio è spettralmente abbandonato (per una mappa generale sulle occupazioni abitative si veda questo lavoro di Luca Brignone e Chiara Cacciotti.
inseriamo l’edificio nel sacchetto Collezione.
Via Costi è molto caratteristica. Si tratta di una larga strada senza abitazioni ma con edifici commerciali e amministrativi: una sorta di area neutrale posta tra Tor Cervara e La Rustica. Tecnicamente si potrebbe trattare di una enclave ma non è questa la sede per accertarlo.

In un cumulo di rifiuti poco più avanti troviamo Luigi il fratello di Super Mario.

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C’e’ anche Winnie The Pooh ma recuperiamo solo Luigi (che è qui nella sede ufociclistica pronto ad essere adottato da chiunque ne faccia richiesta).

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Ancora un oggetto da infilare nella Collezione: un ulivo che, non ce ne intendiamo, ma ci pare secolare. Ci viene in mente sempre a Roma la zona dell’Alberone che prende il nome da un leccio che non esiste più (qui ce ne parla Romano Talone accennando ad altre zone di Roma caratterizzate da altre specie di albero).
Ancora non azzardiamo ipotesi sul ruolo degli oggetti che stiamo incontrando; ci limitiamo invece a resocontarli.
Non siamo ancora a La Rustica ma questa inclusione di oggetti al di fuori dell’area che ci siamo preposti come caso di studio ha un senso che emergerà più avanti.
Proseguiamo per via Virgilio Guidi e poi finalmente per via della Rustica.
Poco prima ancora su via Guidi entriamo nel parco Fabio Montagna de La Rustica.
Non siamo in cerca di qualcosa in particolare ma continuiamo nella nostra raccolta.

Il parco è molto ben tenuto. All’interno è arredato con attrezzi ginnici e guide all’uso. Le abbiamo raccolte:

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Si tratta di oggetti molto interessanti che esprimono una forma morbida di comando e di disciplinamento. Nel loro incedere numerico progressivo formano quello che Foucault definirebbe un Ordine del Discorso che sofficemente disciplina il corpo, lo sottomette ed esclude, su di esso, altri discorsi imponendo la propria volontà di verità:
Ora, questa volontà di verità, come gli altri sistemi d’esclusione , poggia su un supporto istituzionale: essa è riconfermata, e rinforzata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri, dell’editoria, delle biblioteche, come i circoli eruditi una volta, i laboratori oggi. Ma essa è anche riconfermata, senza dubbio più profondamente, dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, dal modo in cui è valorizzato, distribuito, ripartito, e in un certo qual modo attribuito“.
Possiamo scorgere una sorta di sistema d’esclusione in ogni istruzione per l’uso che morbidamente invita ad un utilizzo “superiore” segnando il territorio dei comportamenti non convenzionali, degli esercizi disfunzionali. In questo caso in particolare possiamo immaginare che gli esercizi “comandati” poggino su un sapere ginnico sopra la media, tuttavia che sia per il bene comune, sia che non lo sia, esso imbastisce un efficace sequenza di comportamenti che in questo specifico è molto ben esemplificato. Non a caso si chiamano percorsi, proprio come i percorsi di vita, le rette o non rette vie, le strade che qualcuno ha costruito per portarci da qualche parte o le passerelle che conducono al patibolo.
Ci viene in mente che potremo proporre l’aggiunta di una nuova voce ufociclistica: ritmi. Così in via del tutto informale si tratterebbe di oggetti/sequenza capaci di stabilire un ordine prioritario di segnali sul territorio ricorrendo a continue (e ritmiche) riproposizioni dello stimolo: una tabulazione della coazione a ripetere (abbiamo trovato una cosa non dissimile durante una ricognizione precedente a proposito degli specchi convessi stradali) che con cadenza più o meno stabile impongono una certa punteggiatura allo spazio quotidiano.
Nel sacchetto quindi.

Il parco dal lato più a sud/est costeggia ordinatamente la ferrovia FL2 (foto che segue) in una sorta di confine naturale apparentemente invalicabile. Lo è di fatto da questo lato del parco.
La ferrovia sappiamo essere una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo resoconto) oppure l’atlante ufociclistico.

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Procedendo c’imbattiamo letteralmente in una fogna a cielo aperto che attraversa in più punti il parco (foto che segue) e qui nella veduta aerea.

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L’odore è nauseabondo ancor più in questa stagione di rapide fermentazioni. L’oggetto è comunque interessante e lo inseriamo nel sacchetto Collezione.
La fogna (o marana) segna il limite del parco oltre il quale si apre un parcheggio.
Lo attraversiamo e notiamo che al momento è accessibile ma ancora chiuso.
Su un lato di questo si apre un cancello (un’affordance attrattiva – si veda l’atlante ufociclistico) che dà sulla ferrovia. C’infiliamo restando da questo lato del passaggio (foto che segue).

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In invito esplicito a entrare che noi non possiamo non accettare.
Contempliamo come significativa anche questa affordance attrattiva che consegniamo alla nostra Collezione dato che essa ha un carattere più che semplicemente soggettivo. Un cartello (foto che segue) infatti invita a non entrare mentre un cancello spalancato ci urla esattamente il contrario. Non si tratta quindi semplicemente di un passaggio ma di una sorta di “trappola” a cui è difficile resistere: “Le affordance attrattive attraggono per definizione e spesso l’ufociclista si lascia catturare pur sapendo d’incorrere in una possibile trappola; e questo perché talvolta è saggio e intelligente farsi intrappolare investendoci tutta la propria soggettività“.
Anche questa nel sacchetto.

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Alla fine del percorso calpestabile (foto che segue) in lontananza scorgiamo gli ex studi televisivi della TVR Voxson di Tor Cervara da dove siamo venuti.

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Foto con mano e reperto ferroviario. Sta diventando una specie di classico.

Abbiamo abbandonato la ferrovia e siamo tornati nel parco perché avevamo lasciato in sospeso un percorso (foto che segue).

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Di nuovo al confine tra il parcheggio e il parco. Di nuovo di fronte alla fogna che avevamo poco prima incontrato. L’odore è insopportabile al limite del mancamento. Davanti a noi si apre una misteriosissima ciclabile che continua a seguire imperterrita il corso della marana. Eroicamente c’infiliamo sprezzanti dell’epatiti.

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Scopriamo che la ciclabile costeggia la ferrovia proprio dalla parte che, precedentemente, dal parco sembrava inaccessibile.
Nella foto precedente il sottopasso che scavalca le rotaie. Qui l’intero tracciato.

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Incontriamo due campi da tennis in buono stato e tutta la ciclabile sembra manutenuta non di recentissimo ma comunque presidiata.

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Siamo giunti alla fine della ciclabile. Chiusa. Si affaccia su via della Stazione di Tor Sapienza. Ci siamo imbattuti nuovamente in una varietà dimensionale d’ordine inferiore (1 dato che si tratta di una ciclabile) che è anche uno strappo (si veda anche questo resoconto). Ancora una volta ci rendiamo conto che urge una ridefinizione del concetto di varietà dimensionale così come era stato presentato nell’atlante ufociclistico.

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I fruitori dello strappo hanno comunque trovato una soluzione al dato di fatto che esso è ancora chiuso: come si può vedere nella foto precedente con la grata divelta. Ciò ci conferma l’importanza strutturale di questi oggetti all’interno del contesto urbano.
Secondo noi si tratta di uno strappo e non di una scorciatoia (si veda l’atlante ufociclistico) perché ci troviamo in presenza almeno di due UDA (il parco Montagna e Tor Sapienza) uniti da una ulteriore UDA con proprietà irriducibili alle precedenti (la ciclabile).

Siamo tornati indietro, di nuovo nel parco, dato che ancora dobbiamo inoltrarci verso La Rustica vera e propria.
Incontriamo un centro estivo con piscina (nella foto che segue):

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Ghiacciolo all’arancia nel chiosco che sa di mare e poi torniamo rapidamente sulle tracce di un’antica via romana (forse la vecchia Collatina):

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Qui la via dalla vista aerea.
La strada romana è interessante e anch’essa finisce nel nostro sacchetto Collezione.
Usciamo finalmente dal parco Fabio Montagna.

Siamo su via della Rustica e ci imbattiamo nel murales in ricordo di Lucio Conte:

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Anche questa sorta di cenotafio è di particolare interesse.
Facciamo l’ennesima sosta al nasone (fontanella) così da constatare che nella squadra un’ufociclista in particolare ha esigenze idriche fuori dalla norma.
Procediamo e c’imbattiamo nella interessantissima parrocchia di S. Czestochowa la Madonna Nera (foto che segue):

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La chiesa ha un aspetto compatto e minaccioso che ricorda una sorta di bunker.
Due reperti quelli appena incontrati (il cenotafio a Conte e la parrocchia) che si affrontano a poca distanza l’uno dall’altro ricordandoci la lotta tra Peppone e Don Camillo.

Più prosaico il murales della ASR Roma a largo Crivelli a pochi metri di distanza. Probabilmente storico.

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Siamo giunti al limite de La Rustica. La via finisce su un campo di calcio qui mostrato nella foto aerea.
Al lato destro del campo sportivo (venendo da via della Rustica) si apre un parco che abbiamo visitato. Termina dietro al campo con una sorta di sotto-parco recintato e arredato con belle panchine verdi in metallo.
Vale la pena visitarlo assolutamente (nella foto successiva):

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Affaccia sulla circonvallazione orientale che dista pochissimi metri dalle panchine come è visibile in foto. La circonvallazione orientale è una sorta di autostrada in cui sfrecciano automobili di continuo e il frastuono che ne deriva obbliga gli avventori a urlare per parlarsi. Surreale.
Mettiamo anche il sotto-parchetto nel sacchetto Collezione.

Torniamo indietro. Abbiamo già raccolto parecchi oggetti/sequenza.
Percorriamo via Galatea che costeggia il campo di calcio per riprendere, con un giro largo, via della Rustica. C’imbattiamo in un enorme cunicolo piantato sotto i piloni della circonvallazione orientale (foto che segue) che conduce al sottosuolo:

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E’ così ampio che potrebbe entrarci tranquillamente e comodamente un adulto strisciando. Potrebbe essere il Santo Graal della speleologia urbana romana. Non ne sappiamo niente e attorno a noi non c’e’ nessuno a cui chiedere. Quante generazioni di palloni ci saranno finiti? Quanti animali domestici scomparsi? Il tubo ha l’aspetto di una fàuce spalancata pronta a divorare il quartiere.
Pericolosissimo.
Anche questo nella Collezione.

Improvvisamente via Galatea diventa via Damone che termina su una strada sterrata posta a pochi metri dalla circonvallazione orientale (si veda la foto successiva):

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Si tratta di una scorciatoia (la struttura sulla destra sono i pannelli frangi rumore che danno sulla circonvallazione orientale). La scorciatoia sbuca su via Delia ed è notevolissima perché le due strade, attraverso altri percorrimenti, risultano invece molto distanti.
Si tratta di una scorciatoia (e non di uno strappo) perché le tenute tonali di via Damone e di via Delia paiono, almeno ad una prima ricognizione, identiche.
Ottimo: anche questa archiviata e messa nella Collezione.

Fin qui il lavoro “bruto”  di raccolta degli oggetti/sequenza incontrati durante una ricognizione.
Fin qui il ruolo svolto dalla collezione così come previsto, ma che poco ci dice circa l’interrogativo iniziale.
Lo ricordiamo:
tirati fuori dal “sacchetto” tutti gli oggetti/sequenza incontrati e tassonomizzati in varie categorie avremo ancora bisogno della collezione come strumento euristico o potremo dichiarare il suo ruolo terminato ai fini della compilazione del rapporto?

Procediamo con la tassonomia sperando che emerga in autonomia la risposta.
Svuotiamo il sacchetto Collezione:

1) l’inquieto New York 777 – totem d’incongruenza/flap (si veda l’atlante ufociclistico o il glossario on line);
2) il fortino ex comando della guardia di finanza – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
3) l’ulivo centenario – attrattore;
4) il percorso ginnico disciplinante – affordance consce/flap;
5) la marana repellente – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
6) l’attrattiva FL2 – affordance attrattive;
7) la varietà dimensionale 1 (ciclabile) – strappo (si veda anche questo resoconto);
8) la anonima strada romana – cuspide (si veda anche questo resoconto);
9) il murales a Lucio Conte – attrattore/tonal;
10) la parrocchia di S. Cezstochowa – attrattore/tonal;
11) l’ASR di largo Augusto Corelli – attrattore;
12) il parchetto sonico – cuspide (si veda anche questo resoconto);
13) l’accesso al sottomondo della circonvallazione orientale – varietà dimensionale 1 (si veda anche questo resoconto);
14) lo sterrato di via Damone – scorciatoia.

Per le categorie non note si consulti l’atlante ufociclistico.

Abbiamo proceduto ad una prima attribuzione di ruoli che in caso di rapporto andrebbe ulteriormente approfondita.
Tra l’altro stiamo sommando oggetti/sequenza che tagliano trasversalmente più UDA e che si estendono anche oltre l’area d’indagine prefissata: come abbiamo spiegato all’inizio, questa ricognizione ha uno scopo “didattico” più che realmente conoscitivo quindi ci siamo calati in una condizione estrema mentre molti di questi oggetti potrebbero non essere associabili per definizione.
Procediamo quindi con la tassonomia:

Gruppo 1) 1, 2, 5.
Gruppo 2) 4, 6.
Gruppo 3) 3, 9, 10, 11.
Gruppo 4) 8, 12.
Gruppo 5) 7, 14.
Gruppo 6) 13.

Siamo stati incerti se unificare il gruppo 5 e il gruppo 6. Questo tipo di semplificazioni riguardano il contesto d’uso dell’oggetto e quindi appartengono ad una sorta di pragmatica contestuale o situazionale.
Rileggendo la definizione di tassonomia (all’inizio di questo rapporto) si comprende infatti l’esistenza di una sorta di trans-oggettualità perché gli oggetti possono appartenere a gruppi diversi a patto che tale apparentamento rispetti l’unica condizione posta, cioè quella della omotopia. La decisione è quindi pragmatica e funzionale alla coerente costruzione della mappa. In questo senso, ad esempio, avremmo potuto creare un gruppo con varietà dimensionale 1 e scorciatoia se avessimo voluto “sottolineare” questa caratteristica “filiforme” per lo spazio indagato.

I gruppi 1 e 3 si pongono all’apice del vertice di una ipotetica piramide valoriale sfidandosi, nel caso delle UDA ad esempio, sull’asse più importante: quello di aggregazione vs disgregazione.

A questo punto saremo pronti per organizzare gli oggetti entro specifici contesti di studio rilevando quali funzioni peculiari essi assolvano nella determinazione di UDA o di ley line.  Non lo faremo ovviamente.
Il problema che rimane senza soluzione è quello di che fine faccia lo strumento collezione ora che è stato, per così dire, svuotato.

Ci torna quindi utile aver forzato l’inclusione di oggetti al di fuori dell’area prescelta per il nostro esperimento e cioè gli oggetti 1, 2, 3.
A rigore essi non andrebbero contemplati entro lo spazio de La Rustica invece noi li abbiamo inclusi perché “attrattori” percettologici insiti nel complessivo percorso tracciato. Più semplicemente potremo affermare che i confini artificiali di un qualunque spazio non vanno mai intesi alla lettera perché ovviamente essi si sfrangiano in zone d’interferenza (alone d’interferenza). Lasciare fuori per principio (o per troppo perfezionismo) gli oggetti che popolano tali aree potrebbe compromettere l’analisi dello spazio. Ecco che allora la collezione ci torna utile come una sorta di “registro di lavoro” in cui includere al margine gli oggetti che potremo non necessariamente immediatamente tassonomizzare. Mancando di categorizzazione essi rimarrebbero disponibili, “aperti”  come possibili caratterizzatori timici dello spazio. La collezione mantiene quindi una funzione di “scorta”, da cui ripescare ruoli che potrebbero non essere contemplati nello spazio circoscritto che è il nostro nucleo d’analisi.

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Guarda la mappa completa.

 

 

 

Strappo – via Assisi – Roma – 22/7/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide

Gergalmente lo  “strappo” a Roma è il passaggio dato al volo, improvvisato, che consente evidentemente di percorrere tratte più velocemente e agevolmente rispetto ai mezzi che si avrebbero a disposizione per compiere lo stesso percorso.
“Ti do uno strappo”  indica, in maniera informale, la disponibilità ad accompagnare qualcuno da qualche parte facendole risparmiare tempo.

Non poco probabilmente l’UfoCiclismo ha integrato questo gergalismo nella sua concezione di strappo tanto più che anche in topologia esso indica un’operazione di discontinuità rispetto all’omeomorfismo delle UDA (si veda l’atlante UfoCiclistico) che per trasposizione vengono “violate” da passaggi atti a far risparmiare tempo nello spostamento in altre UDA. A differenza dalla scorciatoia, lo strappo ha caratteristiche peculiari. Da definizione esso è un: “Passaggio di natura concreta o/e di natura emozionale che connette elementi di una <<collezione>>. Gli strappi si distinguono quindi dalle <<scorciatoie>> per il fatto di mettere in comunicazione, ad esempio, punti di UDA differenti” (si veda l’atlante UfoCiclistico). Ancora, la caratteristica di uno strappo (ne avevamo già parlato qui) è quella di attraversare (collegando due UDA) un terzo spazio, spesso un’enclave, caratterizzato dallo sprigionare una colorazione emotiva irriducibile a quella dei due spazi adiacenti.
Lo strappo è quindi un concetto fondamentale dell’UfoCiclismo nella precisa definizione di un’UDA perché stabilisce attributi specifici e irriducibili ad una condizione (quella delle scorciatoie) che è peculiare del mezzo bicicletta stesso.
La bici per propria natura è una cacciatrice di scorciatoie, importante è quindi dettagliare le caratteristiche di uno spazio o di una condizione d’attraversamento (ufociclisticamente si parla di oggetti/sequenza) che pur molto simile alla scorciatoia è ad essa invece irriducibile.

Siamo tornati quindi sullo strappo di via Assisi a Roma che avevamo trattato nell’atlante. Partiamo da quella mappa quindi:

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Questa è la situazione (da manuale) che andremo a riesplorare con due UDA caratterizzate da differenti tonalità emotive e un passaggio (lo strappo) che attraversa un’altra UDA, in questo caso un’enclave (per la definizione di enclave si veda l’atlante UfoCiclistico).

Ce la siamo presa un po’ comoda e abbiamo iniziato questa ricognizione da uno dei quadranti estremi di Roma sud/est: il quartiere di Tor Tre Teste di cui abbiamo relazionato di un recente avvistamento UFO.
Siamo su via Viscogliosi quasi all’angolo con via di Tor Tre Teste. Qui si apre uno dei tanti varchi al parco Giovanni Palatucci più noto come parco di Tor Tre Teste.

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Lo attraversiamo tangenzialmente uscendo su via Castelli (nella foto che segue).

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La strada a senso vietato che intravediamo è via delle Nespole. Ne percorriamo pochi metri fino all’entrata in un altro parco (di cui non conosciamo il nome).

Prima ci soffermiamo sul “graffito” di Holly e Benji della Scuola Calcio Elite Savio su via Castelli (nella foto che segue).

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Via delle Nespole dicevamo quindi. Siamo già nel quartiere Alessandrino. Pochi metri come detto ed eccoci all’entrata del secondo parco.


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Se non la si conosce ci si può facilmente sbagliare perché sembra un’entrata privata. Si tratta a tutti gli effetti di una scorciatoia sopratutto provenendo dal senso vietato di via Castelli.  In fondo alla fila di macchine parcheggiate sulla sinistra c’é il parco che attraverseremo.

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Qui qualcuno o qualcosa sta dipingendo le panchine di un bel rosso.
Usciamo su via Bonafede. Per prendere subito via delle Passiflore. Attraversiamo viale Alessandrino per prendere viale della Bella Villa e poi via dell’Edera che ci porta direttamente sull’intersezione (si veda l’atlante UfoCiclistico) di viale Palmiro Togliatti altezza via Casilina (per il concetto d’intersezione si può leggere anche il resoconto della ottava ricognizione ufociclistica).

E’ un piccolissimo tratto quello che percorriamo sull’intersezione Togliatti (su ciclabile tra l’altro – da molti ritenuta la peggior ciclabile dell’universo); ci immettiamo infatti immediatamente su via Casilina.
Giusto il tempo di soffermarsi sugli scavi nei pressi della stazione di Centocelle (vedi foto che segue) su cui torneremo in maniera più dettagliata quando approfondiremo il concetto di UDA contattistica (si veda latlante UfoCiclistico).

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Un “vitone” blocca rotaie. I reperti archeologici (visibili dietro la vite) infatti sono posizionati esattamente al centro della ferrovia Roma-Giardinetti

Costeggiamo il parco di Centocelle per giungere fino a via di Centocelle. Qui percorriamo il tratto interessato agli incendi tossici del 2017 (e anche su questi torneremo a proposito della UDA Contattistica). Nella foto che segue, su via di Centocelle, il canalone da cui nel 2017 iniziarono i roghi che caratterizzarono l’estate tossica di quella parte di Roma.

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Arriviamo quindi a via degli Angeli e lì fino all’incrocio con via di Porta Furba/via di Tor Pignattara (nella foto che segue).

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Da qui si accede al quartiere del Mandrione dove risiede finalmente lo strappo.
Nella foto sopra quella che s’intravede è ancora via degli Angeli caratterizzata da una commistione di architetture nuove e altre risalenti agli anni Quaranta. La caratteristica più evidente del quartiere (una borgata) è il riutilizzo che fu fatto in senso abitativo dell’Acquedotto Felice negli anni sul finire della Seconda Guerra Mondiale (wikipedia). Lo vedremo tra poco.
Attira la nostra attenzione invece un’altra caratteristica: l’abbondante presenza di specchi convessi stradali in questa zona.
Ne abbiamo fatta una mappa.

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Il primo specchio su via degli Angeli (1).

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Sempre via degli Angeli. A destra una tipica casa bassa del Mandrione mentre a sinistra su un altro livello stradale (più basso) si ergono i palazzi di Tor Pignattara.

Adiacente al caratteristico scorcio mostrato nella foto precedente un altro specchio (2).
Ancora via degli Angeli:

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Nella foto che segue l’angolo con via dei Savorgnan (sul lato sinistro le automobili bellamente accomodate sul marciapiede):

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Sul lato opposto dell’incrocio un altro specchio (3) – la foto seguente:

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Siamo sempre su via degli Angeli. Se rotassimo la testa vesro destra vedremmo via dei Savorgnan.

Procediamo su via degli Angeli e attraversiamo la galleria del ponte della stazione Casilina.

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Il ponte tecnicamente è un occultatore (si veda latlante UfoCiclistico) o si può vedere questo resoconto.
Attraversata la galleria un nuovo specchio su via del Mandrione (4):

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A destra la strada è interdetta mediante psico-dissuasori (si veda latlante UfoCiclistico o il glossario on line).

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L’interdizione (forse solo momentanea) rende questo pezzo di via del Mandrione una scorciatoia o uno strappo (da definire) dato che attraversandolo è possibile mettere in comunicazione due aree altrimenti tra loro molto distanti.

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Nelle due foto precedenti l’area di via del Mandrione interdetta alle automobili.
Che pace.

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Un altro psico-dissuasore (un dosso artificiale) che serviva a moderare la velocità dei mezzi a combustione quando la via era aperta.

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Ancora via del Mandrione, nella foto precedente, e a pochi metri di distanza dallo psico-dissuasore un altro specchio (5). La sua posizione è curiosa visto che da quella angolazione e quella altezza permette a coloro che solo al di là del muro di vedere cosa accade in strada a mo’ di una telecamera.

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Un altro specchio (foto precedente). Sempre via del Mandrione (6).

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Nelle quattro foto precedenti una sequenza ravvicinatissima di specchi (cinque). Rispettivamente (6 -7 – 8 – 9 – 10)

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Nella foto precedente inizia (da questa parte di via del Mandrione direzione Casilina) la sequenza di archi dell’Acquedotto Felice chiusi (un tempo) e trasformati, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, in abitazioni di fortuna (baracche). Gli archi spesso sono piastrellati perché costituivano la cucina o il bagno di una baracca prospiciente.

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Nella foto precedente la piastrellatura è ancora evidente all’interno di un arco.

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Un altro specchio (11) e poco più avanti (foto successive) altri due. Rispettivamente (12 – 13)

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Un altro arco (foto che segue) un tempo adibito ad abitazione. E’ visibile la finestra che dava sul retro e un finestrino ancora più piccolo che forse era il bagnetto.

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Eccoci quindi all’entrata dello strappo (foto che segue).

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Il filmato precedente documenta lo stato di via del Mandrione nel 1973.
E’ riconoscibile l’acquedotto, e lì dove oggi sono visibili solo le tracce degli archi un tempo abitati, il filmato documenta dello stato delle baracche così come un tempo si dispiegavano lungo tutta la strada.

Prima d’addentrarci riguardiamo la mappa:

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Il cerchio rosso indica la posizione da cui è stata presa la foto precedente (l’entrata dello strappo) mentre la freccia rossa il senso di percorrenza fin qui eseguito su via del Mandrione.
Nell’ordine:
1) vediamo l’area senza la mappatura ufociclistica e
2) osserviamo come si compone fisicamente l’enclave attraversata dallo strappo.

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Come è possibile vedere l’area non mostra chiaramente il passaggio che stiamo esaminando. Topograficamente in rosa sono segnati gli edifici civili abitativi mentre in viola le aree industriali o addette a magazzini. Questo ci dà un’idea della composizione fisica dell’UDA di sinistra.

Ora capiamo quali sono i limiti fisici e la composizione dell’enclave che circonda lo strappo.
Riferendoci sempre alla foto precedente dell’entrata dello strappo a destra abbiamo la ferrovia (foto che segue).

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Mentre a sinistra è inaccessibile alla vista perché occupato da un’abitazione privata adiacente l’acquedotto.  Ecco cosa possiamo scorgere (foto che segue):

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Nella foto precedente (col riferimento sempre alla foto dell’entrata dello strappo) guardiamo al limite sinistro dell’enclave in uno spazio tra l’acquedotto e l’abitazione privata. Ancora non siamo entrati nello strappo.
La visione aerea ci chiarisce un po’ meglio la consistenza dell’enclave:

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Di nuovo: il cerchio indica l’entrata mentre il contorno rosso l’enclave. Davanti al cerchio l’entrata dello strappo.
L’enclave si presenta quindi come un indistinta proprietà privata: in basso  prevalentemente verde inaccessibile mentre in alto essa confina con la ferrovia. A destra c’é un’UDA costituita da piccole palazzine ed ex baracche condonate mentre a sinistra la città riprende il suo aspetto quasi abituale se non fosse che quest’area anticamente, costeggiando la ferrovia, era destinata a magazzini e ad attività produttive (quelle dal colore viola) e quindi ha un spetto abbastanza anomalo rispetto al resto del quartiere Tuscolano nel quale s’immette.

Entriamo quindi nello strappo:

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Un coppo “segnalatore” su cui è indicata la strada da seguire poco prima di superare l’arco d’entrata.

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Appena superato l’arco d’entrata (foto precedente) s’intravede l’enclave (proprietà privata).

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Davanti a noi: ecco il primo tratto dello strappo (foto sopra) fino al palo visibile (foto che segue).

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Sul palo già preso di mira dagli stickeristi lasciamo un adesivo: “la bicicletta buca la trama spaziotempo della città“… appropriatissimo!

Voltiamo a sinistra sempre lungo lo strappo:

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E raggiungiamo la salita a spire che termina su via Assisi (vera e propria) dove la città riprende il suo aspetto tradizionale:

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La parte terminale (provenendo da via del Mandrione) dello strappo: la salita a spire.

Si tratta di uno strappo molto importante perché ciclopedonalmente mette in comunicazione via Casilina con via Tuscolana (le due arterie più grandi in quella sezione della città) che altrimenti sarebbero (pur costeggiandosi a raggiera) tra loro molto distanti.
Le due arterie distano rispettivamente 1.09 chilometri mediante lo strappo e 2,34 chilometri senza strappo (si veda la mappa interattiva).

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Sul lato destro della parte finale dello strappo (foto precedente) si apre un percorso alternativo il cui ripetuto uso non previsto ha messo a nudo la struttura in ferro soggiacente. Passando da qui si evitano le spire e si giunge diretti all’ultima rampa percorrendo lo strappo nel senso inverso a quello da noi appena percorso: una scorciatoia in uno strappo.

Segue la mappa dell’intero percorso:

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La varietà dimensionale 2 – Capranica-Civitavecchia – 14/7/2018

Rapporto redatto da Dafne
Integrato da Cobol Pongide
Percorso: ex ferrovia Capranica-Civitavecchia

L’ansia della sveglia alle 7 di mattina fa dimenticare i piaceri del viaggio e rischia di dissuadere le persone dall’affrontarlo, invogliandole a restare a letto.
Nonostante ciò gli ufociclisti riescono a ritrovarsi puntuali in stazione, fare i biglietti con facilità, dribblando tutte le trappole burocratiche e i temporeggiamenti della macchinetta che prima ti avvisa di “fare attenzione ai borseggiatori” e poi si premunisce di dirti che il biglietto è valido solo in giornata e cose così, e salire in tempo sul treno che li porterà a Capranica Sutri.
Proprio sul treno avviene il primo incidente di percorso. I nostri eroi hanno la prontezza di chiedere al primo controllore che gli si para davanti se quello è il treno giusto per loro, e la donna, dubbiosa, guarda il suo tablet e li indirizza al binario corretto. Per fortuna sono in anticipo e riescono in fretta a ritrovare il loro treno.
Binario 4. Il nuovo controllore, o sarebbe più corretto dire la controllora, li informa che forse si dovranno separare perché il treno non è predisposto per le biciclette e dovranno trovare posto dove possono. Ma i nostri sono abituati ai treni e riescono a sistemarsi alla meglio con le bici nello stesso vagone evitando anche di bloccare il passaggio nel corridoio e di far sbattere i loro mezzi di trasporto qua e là.
Siedono vicino a un ragazzo tutto assorto dietro uno schermo. Anche lui viaggia con un mezzo a pedali, ma di quelli pieghevoli che si mettono con le valigie e così nessuno si accorge della loro presenza. Sul treno sono tutti silenziosi, sono pur sempre le 8,30 del mattino, guardano tutti i loro piccoli schermi o parlano al telefono con gli auricolari, forse vanno al lavoro o a trovare i parenti al paese per il fine settimana. Solo i tre ufociclisti hanno voglia di chiacchierare e si raccontano le cose più disparate, dalle esperienze di coinquilinaggio, alle vacanze che li aspettano passando per gli alieni insettoidi (presagio). Silvia viene da Milano, è di passaggio dalla capitale dove ha vissuto parecchio tempo e praticato UfoCiclismo. Forse un giorno fonderà la colonna milanese. E’ in procinto di andare in vacanza. Gli altri due sono ormai da diversi anni presenze fisse della periferia sud/est di Roma.
Il loro vicino di sedile si volta ogni tanto verso di loro e sorride nell’ascoltare i loro discorsi. Man mano che il viaggio prosegue sembra condividere sempre più le loro storie, malgrado rimanga nel silenzio. Solo una volta prova timidamente a intervenire nella conversazione. Si rivolge a Silvia che però non è in questa occasione troppo loquace.
La controllora che avevano incontrato poco prima giù dal treno passa a controllare i biglietti. Premurosa verso i passeggeri e sopratutto verso i ciclisti pare quasi faccia un altro mestiere e che su quel treno ci sia capitata per caso tanto che i tre pensano che l’abbiano presa perché con l’arrivo dell’estate il personale di bordo scarseggia.
Prima si prende in carico le vicende del biglietto del tizio con la bici pieghevole.  Dopo un po’ di tempo passa a controllare i biglietti degli ufociclisti.
Alla stazione successiva salgono molte bici.
Alla stazione San Pietro, sale un quarto ufociclista, quello che sarà la loro guida, in tutti i sensi, sia per i suoi preziosi consigli su come affrontare le strade sterrate e mantenere l’equilibrio sui ciottoli anche con una bicicletta da corsa, che per la conoscenza del percorso che il gruppo si accinge ad affrontare. Egli possiede anche il navigatore satellitare e il contachilometri.

Prima di lasciare finalmente il treno e avventurarsi sul percorso della vecchia ferrovia ormai dismessa, Cobol chiede alla controllora se anche lei va in bici. Come se non avesse aspettato altro che quella domanda, lei, felice, con gli occhi che le si illuminano, risponde di si, che ci va spesso, dalle parti del lago di Bolsena, dove vive. Allora Cobol le regala un flyer e la invita alla prossima uscita. Lei in visibilio, promette che prima o poi si unirà a loro.
Speriamo di rivederla prima o poi perché è davvero simpatica.

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Il rassicurante flyer con cui gli ufociclisti fanno proseliti

Al bar della stazione si fermano a fare rifornimento di zuccheri, ma soprattutto d’acqua. È la prima volta che non incontrano gente che li guarda con sospetto o sorpresa e che invece di giudicarli dei pazzi che vanno in giro a pedalare “con questo caldo”, li guardano con entusiasmo e tradiscono la voglia di abbandonare tutto, inforcare la bici e seguirli. Anche la barista è di questo parere.
Dice che altri quella stessa mattina sono partiti prima di noi per lo stesso itinerario.

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Anche le guide più esperte possono essere deviate dai navigatori satellitari. Così succede alla loro guida che ci trascina su una strada in discesa che si allontana dall’ex ferrovia che invece è la nostra meta. Se ne accorge subito per fortuna e ritrova immediatamente il sentiero (qui il percorso corretto per accedere alle ferrovia dismessa).

Diciamo immediatamente che una ferrovia dismessa è  una varietà dimensionale di tipo 2: “si tratta di un territorio a due dimensioni. Una dimensione in cui vengono compresse due coordinate spaziali (larghezza e profondità) con la restante dimensione percettiva ed emozionale sottoposta a forte irreggimentazione sociale e psichica” (si veda l’atlante ufociclistico). La ferrovia è, d’altro canto, una istituzione totale come l’avrebbe definita M. Foucault al pari di un ospedale, di una scuola o di una caserma. Lungo la sua direttrice è difficile deviare, intraprendere percorsi alternativi e quant’altro. La ferrovia è così tanto istituzione totale da impartire una direzione e una forma di disciplinamento anche quando dismessa (come in questo caso). In questo senso la nostra esplorazione ha voluto assecondare questa sua natura per scoprire in quali luoghi ci avrebbe condotti.

La squadra s’inoltra nel mezzo di un groviglio di rovi che lascia appena uno spazio per passare. In mezzo a loro nuvole di farfalle colorate che amoreggiano o si posano sui fiori. Su alcuni cespugli crescono già le more prontamente ingerite dagli ufociclisti.
Pedalano sulla sabbia. Dafne con la bici ibrida, mountain bike col manubrio da corsa, monta cerchioni da strada, inadatti a quel percorso. Sente la bici che affonda e più di una volta rischia di sbandare. Inoltre deve spesso fermarsi perché le borse in cui ha stipato acqua e vivande non ben fissate sul portapacchi pendono ora da un lato ora dall’altro rischiando di sbilanciare la bicicletta. L’ufociclista guida le viene in aiuto.
Non snobba la sua bici come molti fissati della mountain bike, ma le insegna che è lei a dover adattarsi a un percorso di tipo diverso. Deve uscire dalla mentalità di chi guida su strada. Mettere le marce più basse che ha per alleggerire al massimo la bici e pedalare più possibile, per non impantanarsi e poter andare più facilmente anche sui sassi. Le dice anche di bilanciare i pedali quando non pedala, ovvero tenere i piedi alla stessa altezza, le gambe chiuse come a stringere il sellino e alzare leggermente il sedere, in modo da non poggiare quasi sulla bici e non subire tutti gli sbalzi delle ruote.
Lei scopre che lui è un esperto di equilibrio. Fa equilibrio sulla bici, sul monociclo e perfino sulla corda. Lei, invece, ha sempre avuto problemi con l’equilibrio e la bici è la sola cosa che riesce a farglielo ritrovare e mantenere.
Arrivano alla prima galleria. Un’aria fresca viene dall’imbocco. Lungo la strada hanno trovato tracce di orsi perciò hanno timore a percorrerla. Ma accendono i fari e si fanno coraggio. Cobol presta una lucetta a Dafne e le raccomanda di non tenerla accesa perché si scarica facilmente.

L’ufociclista guida dice loro di stare sempre sulla sinistra, perché al centro le gallerie sono bucate: di solito il buco è coperto da lastre di cemento che ne segnalano la presenza, ma in alcuni punti queste lastre sono inesistenti e i buchi sono ricoperti da sabbia o non ricoperti affatto perciò bisogna fare attenzione.
In fila indiana, tenendosi quanto più vicini possibile, percorrono la lunga galleria nel buio più totale.
Il buio crea strane illusioni ottiche e Dafne, vedendo la roccia bianca che si china e crea quasi una piccola pendenza, che finisce in un rigagnolo d’acqua, non si sente di percorrere quello stretto corridoio pedalando. Così cammina un po’ finché non le sembra che il terreno sia di nuovo piano. Poi, ricongiungendosi agli altri, ritrovando le luci dei fari e avvicinandosi alla luce del sole che filtra dall’uscita dalla galleria, ritrova la sua sicurezza e ricomincia a pedalare.

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All’entrata della prima galleria

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Il sistema di drenaggio dell’acqua piovana nelle gallerie

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L’atmosfera psichedelica all’interno delle gallerie

Nella foto che segue tre dei quattro ufociclisti presenti all’uscita della prima galleria (S. Donato).

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Per quel che riguarda le gallerie, esse possono essere alternativamente degli occultatori o dei separatori (guarda qui un esempio di separatore). In questo caso si tratta di un occultatore dato che il suo compito è quello di restituire percettivamente una continuità di atmosfere (quella predominante la zona d’entrata e quella predominante la zona d’uscita) che è invece solo apparente.
Congiungendo due UDA con atmosfera diversa e essendo essa stessa un’UDA con atmosfera irriducibile a quelle limitrofe la galleria è anche uno strappo (guarda qui un esempio).
Gli strappi sono tipici delle dimensionalità d’ordine superiore e più specificatamente della varietà 4 (si veda l’atlante ufociclistico). Tutto ciò e in contraddizione con quanto fin’ora l’UfoCiclismo aveva sostenuto circa le dimensionalità d’ordine inferiore (1 e 2). Su ciò dovremmo presto ritornare calibrando meglio questo tipo di strumento analitico.
Ovviamente le atmosfere provenienti da UDA (si veda qui un esempio) poco antropiche (prevalentemente UDA naturalistiche) sono difficili da decifrare. In questo caso in realtà ci troviamo in una situazione mista in cui la vecchia ferrovia caratterizza fortemente il paesaggio naturale costringendolo, come abbiamo visto, in una varietà dimensionale 2.

Ci si ferma a una deviazione del sentiero per mangiare una banana tonificante e riprendere le forze (le banane sono un alimento altamente consigliato in questo tipo di situazioni con bicicletta).
Dopo aver camminato ancora un po’, la squadra si ferma di nuovo nei pressi di una delle tante stazioni abbandonate e semidistrutte dagli agenti atmosferici, dal fango e dalla vegetazione. Silvia ha forato. L’ufociclista guida smonta la bici in un attimo e con fare esperto, in men che non si dica, sostituisce la camera d’aria. Bravo Alessandro! (Finora non l’avevamo mai nominato).
Poi la vegetazione si apre. Passano attraverso pareti scoscese di pietra, che un tempo forse erano servite a circoscrivere lo spazio della ferrovia, o a facilitare il passaggio del treno. Adesso le pareti formano come delle terrazze in cui crescono cespugli, erbe, rovi, in una sorta di giardino verticale spontaneo.
Poi il paesaggio si apre ancora e intorno a loro si estende una valle, dove crescono radi alberi. Camminano su ciottoli e rocce che creano spuntoni sul terreno. Passano una staccionata sulla quale devono sollevare le bici per passare dall’altra parte, e dopo un po’ devono fare lo stesso per passare un muro che blocca il sentiero.

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La squadra giunge nella vecchia stazione di Civitella – Cesi (ormai ovviamente dismessa).

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Ufociclisti alla stazione di Civitella – Cesi. Di straforo c’é anche il Luther Blissett Project

Ancora lungo il percorso: altre stazioni dismesse e altre gallerie.
Un altro muro e oltre questo  inizia un ponte di ferro. Sotto passa un fiume: il Mignone.

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La pausa sul ponte della ferrovia

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Il Mignone visto dal ponte

Il ponte di ferro sul Mignone è davvero affascinante. Tecnicamente anche un ponte, proprio come una galleria può essere un occultatore o un separatore.
In questo caso si tratta di un separatore perché esso restituisce l’impressione di mettere in collegamento due UDA con atmosfere differenti mentre invece esso è solo una scorciatoia all’interno della stessa UDA naturalistica.
E’ inoltre di una varietà dimensionale 2 se non addirittura 1: “si tratta di un percorso unidimensionale fortemente irreggimentato socialmente e psichicamente. L’irreggimentazione diviene praticamente l’unica coordinata visibile” (si veda l’atlante ufociclistico).
La varietà dimensionale di un ponte va ancora ben compresa ma l’ipotesi che azzardiamo dopo aver percorso il suddetto e che si tratti di una varietà 1.
Ufociclisticamente conoscere la varietà di un percorso è molto importante perché può metterci sulla giusta strada per individuare la natura di un’UDA.

Sono ormai le 14.00 e la squadra è ancora a metà percorso, perciò, ormai completamente fuori orario rispetto alla tabella di marcia, si ferma a mangiare.
Scoprono che da quelle parti viene la gente ad arrampicare. Sorge perciò spontanea la curiosità di sapere a che altezza si trovi il ponte. Gettano un chicco d’uva di sotto e calcolando il tempo che ci mette ad arrivare a terra, e facendo appello a tutta la fisica che ricordano (in particolar modo all’energia potenziale gravitazionale: h=v^2/2g) fanno una stima dell’altezza del ponte. 22,80 m.
La scoperta di quell’altezza così vertiginosa e la consapevolezza del fatto che basta mettere un piede in fallo per cadere dai buchi che si aprono ai loro piedi, non li spaventa. Anzi provano un certo piacere, azzarderei a dire addirittura una certa sicurezza e spavalderia a stare lassù. Perciò rimangono lì, contornati dal silenzio della valle desolata, finché il cielo comincia a oscurarsi e minaccia di piovere. Ma anche l’idea di ipotetici tuoni o lampi che potrebbero colpirli su un ponte di ferro non li scoraggia. Passa un po’ di tempo prima che si decidano a rimettersi in cammino.

Dopo aver pedalato per un po’ sui ciottoli, si ritrovano in un’altra galleria. Stavolta Dafne pedala sul rivolo d’acqua senza pensarci troppo; ma l’acqua ben presto diventa fango. Scende perciò  dalla bici e cammina per un po’ lungo il muro. Alla fine della galleria si staglia un alto muro davanti a loro. Devono scavalcare e portare le bici dall’altra parte. Ai piedi del muro, semisommersa dal fango c’è la carcassa di una vecchia motocicletta. Le ipotesi sulla fine che ha fatto il suo proprietario si fanno molteplici, e ritorna la paura dell’orso, perciò si affrettano a uscire da lì.

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A turno salgono sul muro, aiutati da uno scalone all’interno della galleria, su cui issano le bici per poi alzarle fino alla sommità. Dall’altra parte li aspetta il pantano. Lì la compagnia rallenta. Dafne ha i piedi ormai completamente immersi nel fango.
Prova a pedalare, ma poi si ferma perché anche gli altri si sono fermati e passano tutti a piedi, cercando di camminare sulle “isolette” di rami spezzati per evitare di affondare le scarpe nel fango; tranne Alessandro che non scende mai dalla bici, come incollato ad essa. Alessandro l’eroe di questa puntata!

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Frattanto, insetti giganti passano loro vicini, libellule antichissime attaccate l’una all’altra, ragni che aderiscono con le loro zampe adesive alla superficie dell’acqua e cavallette.
Guadato il pantano, completamente zuppi (Cobol è finito anche dentro una pozza con tutta la bicicletta), Silva con fare per nulla sospetto affianca Cobol e intraprende una discussione sugli alieni insettoidi. “Ma tu che dici…”; “ma te che ne pensi…”; “come reagiresti se li vedessi…”. Cobol diventa sospettoso. Poi d’improvviso si ferma, osserva attentamente Silvia sperando che ella sia il più diretta e sincera possibile e che la sua sia una disinteressata chiacchierata tra colleghi. Poi le chiede: “ho una cavalletta gigante addosso?” Silvia non può che rispondere con estrema sincerità: “si: sulla schiena”.
Ora Cobol tra le tante non qualità ha quella da panico d’insetti giganti. Cerca di mantenere la calma e facendosi guidare da Silvia cala lo zaino nella direzione della cavalletta gigante sperando che questa desista la scalata. Non desiste. Anzi dalla schiena produce una manovra evasiva che la porta rapidamente sul lato di Cobol dove finalmente diviene visibile a quest’ultimo. E’ praticamente un alieno. Grossa come una pannocchia.
Si tratta a tutti gli effetti di un incontro ravvicinato del terzo tipo. Tra tutti gli ufociclisti ha scelto proprio quello col panico da insetto fuori misura.
I momenti che seguono sono concitati. Cobol è visibilmente nel panico e con fulminea mossa caccia l’alieno. Chiede ai compagni se la cavalletta s’è allontanata. Della cavalletta non c’e’ più traccia. Cobol si riprende dallo shock. Propone seduta stante una mozione per non intraprendere mai e poi mai alleanze con alieni insettoidi.
La mozione non passa perché troppo partigiana e dettata da circostanze che influenzano emotivamente il promulgatore.
Si rammarica molto però: gli dispiacerebbe averla ferita. Proprio un bell’inizio di dialogo con gli alieni. Ma in effetti l’addetta alle ambasciate è Lorena che però non è presente.

Poi la squadra ricomincia a pedalare: il sentiero è stretto e in mezzo c’è un avvallamento che rende difficoltosa la pedalata. Alessandro fa provare la sua bici a Dafne. Lei riconosce che quella bici che pare ingombrare come una motocicletta, è in realtà molto leggera. Tuttavia, forse per abitudine o per l’ingombro che le procura, fa comunque fatica a portarla e ha comunque paura a passare nel fossato o sulle leggere pendenze che invece ad Alessandro non fanno alcun effetto. Perciò dopo un po’ lo ringrazia e si riprende la sua biciclettina con le borse che pendono da una direzione o dall’altra e le ruote piccole, ma resistenti. Di colpo si rende conto che davanti a lei c’è una buca enorme, ma segue Alessandro e ci passa di lato senza nemmeno guardare giù.
Arrivano alla stazione di Allumiere.

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Entrano dentro e salgono le scale fino in cima. I muri sono coperti di antiche pitture, e tra queste c’è un’astronave aliena, dipinta chissà quando e da chissà chi.
(Qui Cobol che l’astronave aliena non l’ha vista domanda a Dafne: perché mai non l’hai fotografata? Vabbè…)
La vegetazione circonda quelle quattro mura e sale fino alle finestre. Ovunque cacche di uccelli che vengono sicuramente a farci i nidi, e ragnatele.
Ripartono.
Dafne, rimasta indietro come al solito, arriva all’imbocco della nuova galleria. Gli altri hanno già attraversato, ma Alessandro è rimasto indietro. Mormora qualcosa tra i denti. Non vuole disturbarlo e passa oltre. Pedala stavolta fino alla fine. All’imbocco della galleria successiva, si vede in lontananza un buco da cui filtra luce: quel buco è l’uscita. Pensando quindi che la galleria sia breve, Dafne si lancia dentro senza accendere la luce, seguita da Silvia. A un certo punto quest’ultima le chiede perché non accenda la luce, e quando si rende conto che la galleria è più lunga di quello che sembrava, accende la lucetta che però, probabilmente poco carica illumina debolmente creando di nuovo strani effetti ottici. Ai lati della galleria attaccate al muro bianco, si susseguono fittissime ragnatele anch’esse ormai bianche.

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Alla galleria successiva, l’ultima, Dafne riesce a intuire la presenza dell’acqua che brilla alla luce rossa di Alessandro che la precede.. Inizialmente cerca di camminare sulle parti asciutte, poi tutto diventa di nuovo un pantano e non se la sente. Cammina con i piedi immersi nell’acqua gelida, riuscendo a sciacquarli un po’ dal fango ma poi l’acqua diventa fango di nuovo anche lì e al buio vede la superficie mossa da qualcosa che vi si poggia continuamente. Alla luce, vede che quel qualcosa sono i piccoli insetti che aderiscono appena alla superficie con le loro zampette.
Infine, arrivano su un’erta di sassi, sui quali, quasi tutti trascinano la bici a piedi. Poi il terreno torna a scendere e la strada si fa via via meno impervia finché non ritrovano l’asfalto.

Da lì percorrono 6 km di raccodo. Per fortuna non c’è nemmeno un’auto. Solo  chilometri di noiosa e faticosissima salita.
E finalmente, appare Civitavecchia con il suo porto.
La squadra razzia una fontanella, poi si getta su una piccola cala con i sassi e si immerge nell’acqua torbida, ricca di alghe rosse e brune. Ci si riposa e ci si disinfetta le ferite.
Sono giunti alla spiaggetta in calo d’acqua. Due litri a testa sono bastati a malapena e comunque non a tutti.
L’acqua del mare è davvero putrida ma dopo più di sei ore in bicicletta è un toccasana nonostante gli scarichi del porto vicino.

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Gli ufociclisti rimangono per un po’ sulla spiaggetta a succhiare pesche quasi marce e frutta secca. Poi arriva il momento di ripartire. Stavolta vanno a colpo sicuro sul treno, e in fretta, perché parte subito e non hanno nemmeno il tempo di salutare Alessandro che prende un treno diverso.
Il viaggio di ritorno è più breve di quello d’andata. Mentre parlano di film di fantascienza e di robot che un giorno forse sosterranno l’esigenze sentimentali degli umani, quasi senza accorgersene rientrano nei ritmi frenetici della capitale più caotica d’Europa. Mentre si preparano a uscire con grande anticipo (colpa sempre dell’ansia di non fare in tempo), perché devono cambiare treno a Ostiense per Tiburtina, sale un altro ciclista. Riescono nonostante tutto a non aggrovigliarsi a vicenda e a uscire così come sono entrati. Un sacco di ciclisti. Bene!

La squadra è giù dal treno ora. Sono le 20 passate. Percorrono la via Tiburtina per riaccompagnare Silvia a riportare la bici alla ciclofficina alla quale l’ha presa in prestito. La salutano.
Cobol e Dafne tornano verso la via Prenestina passando da una strada ancora non ufficialmente aperta che li porta da via di Monti Tiburtini direttamente su via Valente, senza passare per il traffico della Serenissima e del famigerato semaforo all’incrocio della farmacia notturna.
Alla periferia sud/est di Roma anche loro si separano e finisce ufficialmente la ricognizione.

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