XVI ricognizione ufociclistica – in cerca di psico-dissuasori – 23/09/2019

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La sedicesima ricognizione (notturna) ufociclista è stata indetta in coincidenza con l’equinozio d’autunno (si veda: UfoCiclismo: perché praticarlo in concomitanza con eventi astronomici?)
Il tema (da seguire in modo blando) che ci eravamo proposti era quello dell’individuazione di psico-dissuasori (nella fattispecie il design ostile) collocati lungo il percorso pedalato.
“Blando” non perché il tema non sia importante ma per via del fatto che affidiamo questo tipo di approfondimenti alle ricognizioni diurne, mentre quelle notturne hanno sopratutto un carattere ludico anche se, a loro modo, analitico.

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Ufociclisti a piazzale Appio, il tradizionale punto di raccolta.

L’idea che sta dietro all’individuazione degli psico-dissuasori è quella che la città, quando esplorata liberamente, produca, forzi, dei percorsi che sono la somma tra psico-dissuasori (respingenti e centrifughi) e attrattori (seduttivi e centripeti).
La metafora che spesso evochiamo è quella della pallina d’acciaio nel flipper e il suo movimento sul piano: attratta e strattonata dagli oggetti che incontra durante il suo cammino.
Di sovente attrattori e psico-dissuasori sono oggetti immateriali (ad esempio l’affezione per una strada, l’illuminazione di un quartiere eccetera) altre volte si tratta di oggetti veri e propri come nel caso di quelli qui descritti.
Esistono vari modi di forzare degli psico-dissuasori (si veda anche: Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione e/o Come si ritonalizza una zona rossa – Sea Watch 3 e si vedano anche le azioni del collettivo Design For Everyone) o di resistere (qualora se ne senta il bisogno) a degli attrattori. Tuttavia, tutto ciò,  non era l’obiettivo della ricognizione che si è limitata a intercettare pezzi di unpleasant design in giro per la città, al fine di documentali e “pesarli”.
Nel breve tratto percorso e nello sguardo un po’ distratto e non troppo approfondito non abbiamo trovato moltissimi casi di design ostile; segno forse che Roma rimane, detto in senso un po’ improprio, una città ancora abbastanza aperta.
Tutto l’unpleasant design che abbiamo intercettato si concentra attorno alla stazione Termini, da sempre luogo di rifugio per senzatetto, per passeggeri sostanti e per sostanti attraversatori, più o meno abituali, della città.
D’altro canto, le stazioni, non solo a Roma, sono da sempre in “guerra” contro l’uso abitativo di fortuna che la loro affordance (l’invito all’uso che un oggetto più o meno consapevolmente esprime) sprona a sfruttare.  In questo senso, anche una stazione può essere vista come la somma delle forze attrattive (sale d’attesa, panchine, tettoie, l’inizio di un viaggio eccetera) e forze respingenti (design delle suppellettili studiato per ridurre al minimo la sosta, videosorveglianza, controlli eccetera) che la compongono. L’atmosfera che ivi risiede è evidentemente prodotta dallo squilibrio di una forza rispetto all’altra. Una stazione è sicuramente, nella sua complessità di meccanismi, una UDA in cui prevale un’atmosfera rispetto ad altre considerabili come trascurabili o triviali.

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Gli ufociclisti di fronte l’entrata della stazione Termini

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Torri dissuasori mobili per dissuadere all’entrata di non si sa bene cosa. Se ti ci siedi (la loro affordance invita la fugace seduta) si avvicina un addetto che ti fa spostare

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Dissuasori piramidali onde evitare che le persone sostino sul muricciolo

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Grate impediscono ai senzatetto di ricavarsi una nicchia per la notte negli spazi immediatamente esterni alla stazione

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Per qualche ragione, forse pudore, ad una delle grate dissuadenti è stato appeso un cartello relativo alle norme dei lavori in corso… per mitigare forse pubblicamente la vergogna dell’impedire a persone bisognose di trovare riparo. Più probabilmente, il cartello era già apposto sulla grata e non è stato tolto nonostante il cambio d’uso

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Panchine inclinate per limitare i tempi della sosta ed evitare lo stazionamento sdraiati

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Prove di usabilità

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In questa foto, falliti i test di usabilità, gli ufociclisti sperimentano usi alternativi delle panchine ostili

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Il sottopasso della stazione Termini. Dissuasori impediscono il pernottamento dei senzatetto che un tempo, in questo passaggio, trovavano riparo dal freddo e dalle piogge invernali

Il senso degli psico-dissuasori, così come delle zone rosse, dei daspo urbani, è quello di rendere tutti gli abitanti della città virtualmente alienabili, o nella migliore delle ipotesi degli ospiti, entro certi limiti, tollerati. Le misure di controllo sempre più operano nel senso di una sospensione temporanea (emergenziale) della cittadinanza.
Le tecniche di design ostile oggi si sono evolute passando dalla dissuasione dello stazionamento (pernotto e lunga sosta) a quelle della riduzione dei tempi del passaggio (ad esempio le panchine inclinate). L’attraversamento della città s’avvia alla regolamentazione tramite disco orario.
Le pratiche di respingimento, allontanamento, alienazione, somigliano sempre più a quelle di un capitalismo che ci vuole fuori dal pianeta, a non intralciare i suoi piani d’occupazione finale, in una estrema prefigurazione di un futuro in cui la forza lavoro avrà diritto s’esistenza solo se multiplanetariamente specializzata e adattata a vivere su altri pianeti del sistema solare.

Documentati un po’ di psico-dissuasori della stazione Termini gli ufociclisti, in ritardo sulla tabella di marcia, si sono diretti verso l’iniziale punto di raccolta a piazzale Appio. Nel fare ciò sono passati per un pezzo di via Casilina vecchia, adiacente a Porta Maggiore, che spesso viene citata nei rapporti sulla zona est/sud-est di Roma.

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Gli ufociclisti (illuminati a giorno) fermi lungo l’intersezione di Casilina vecchia

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Ci si rimette in cammino

Si tratta di una intersezione, ovvero di un tratto “sociopatico” (si veda anche: Intersezione Togliatti) di strada che pur immerso in molte atmosfere che attraversa (molte UDA), riesce a non contaminarsi, restando sempre avulso da qualsiasi tipo di caratterizzatine emozionale. Questo il senso dell’attributo della sociopatia.
Sono pezzi di città molto peculiari che costituiscono delle specifiche soluzioni di continuità in sezioni di territorio che altrimenti potrebbero apparire del tutto omogenee. Costitutivamente aiutano molto bene a comprendere i radicali cambi d’atmosfera nel passaggio da un’UDA all’altra.
La foto sopra è stata scattata nel momento in cui collettivamente si approfondisce la storia di questa intersezione. Qui un tempo c’era l’occupazione dell’Ex Pastificio Pantanella, retta da migranti (la cronaca di Radio Radicale dell’epoca) e oggi divenuta un residence per classi altolocate (ironia della sorte?).

Infine la ricognizione è giunta a via della Travicella, obiettivo finale della pedalata.
Si tratta di una piccola strada (una traversa di via Appia antica, situata poco dopo porta San Sebastiano), inclusa in due piccoli muriccioli e pavimentata con sanpietrini. Ufociclisticamente si tratta di una varietà dimensionale d’ordine inferiore, un “budello” di spazio che esprime prioritariamente il comando del dover-fare o del non-poter-non fare, vista la sua carenza di dimensioni spaziali. Lungo una varietà d’ordine inferiore si può procedere avanti, indietro; al più fermarsi o accelerare. Varietà d’ordine inferiore sono anche i tunnel, le funi, gli ascensori o una vita retta da sani e inamovibili principi.
Un modo di combattere questa prevaricazione è quella d’occupare una varietà dimensionale con un picnic ad esempio.
Essendo disertata da automobili, via della Travicella è perfetta per picnic esoplanetari (banchetti vegan di benvenuto per extraterrestri) e soste per skywatching a rimirar stelle, pianeti e lune.
L’ufociclista Diego s’è intrattenuto a individuare le costellazioni facendo volontariamente a meno di google skymap.

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via della Travicella. In cielo è visibile un UFO. Ci troviamo infatti vicinissimi a una importante ley line: via Appia antica

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Sul momento non ci eravamo accorti. Lo abbiamo visto solo molto più tardi riguardando le foto di Francesco (qui in dettaglio e più contrastata).  Si potrebbe trattare di un UFO a forma triangolare… molto caratteristico nelle descrizione di questi fenomeni

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via della Travicella

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via della Travicella, il picnic esoplanetario

Durante l’abbondantissima cena a base di hummus, insalata di echinacea, cicerchia patate e peperoncini, s’è avvita una accesissima discussione sul senso dell’Antropocene evocato da un’ufociclista che consigliava la visione del film Antropocene, l’epoca umana.
Rapidamente il venire meno di una netta distinzione tra Antropocene e Capitalocene (distinzione che tra le tante annovera anche uno scarto quantitativo dell’intervento umano sul pianeta) ha dirottato le osservazioni degli astanti sulle responsabilità delle civiltà fin dal neolitico e, se plausibile, anche prima, finendo per assumere i toni della divaricazione tra occidente e resto del mondo.
Pericoli in cui ci si può imbattere quando l’analisi transita dalle responsabilità degli specifici modi di produzione a quelle “personali” (opinione del compilatore del rapporto).

A fine cena i ricognitori si sono avviati nuovamente verso il punto di raccolta iniziale onde dichiarare conclusa la sedicesima ricognizione.
Anche questa volta nessun alieno ha accettato l’invito a cena. Sarà certamente per la prossima volta.

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Mappa del percorso e operatori (clicca qui per ingrandire)

Legenda:

UDA armonica (si veda: Le UDA armoniche)
Occultatore
Omphalos
Tonal
Piattaforma girevole (si veda: Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli)

 

 

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UfoCiclismo: glossario minimo

Abbiamo approntato un “glossario minimo” all’interno dei rapporti e dei resoconti contenuti nelle pagine di questo blog.
Ora i concetti elaborati dall’UfoCiclismo sono cliccabili e accedono ad apposite schede sintetiche (ad esempio: UDA).
Non abbiamo volutamente creato un indice delle schede perché si tratta di categorie contestuali che vanno lette all’interno dei rapporti e delle ricognizioni.
Per gli approfondimenti invece rimandiamo all’Atlante ufociclistico e alle sue mappe.
Il glossario ufociclistico è accompagnato da apposite icone:

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Conflitto atmosferico: i bordi dell’UDA – Pietralata – Roma – 5/8/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena 

Dato l’incomprensibile alto numero di defezioni a questa ricognizione indetta in uno dei giorni più caldi, del mese più caldo, di un mondo avido d’ozono, abbiamo stabilito che le ricognizioni d’agosto sono esse stesse uno psico-dissuasore.
Ciononostante…

iniziamo col concetto di conflitto atmosferico così come l’UfoCiclismo lo mutua dal lavoro dell’APR (Associazione Psicogeografica Romana):
l’acquisizione di un’UDA quasi sempre avviene come sequenza di passaggi e dunque il ricambio della popolazione ha luogo raramente in blocco al pari di una deportazione. In una stessa UDA quindi si vengono a trovare gradualmente gruppi sociali molto diversi: da una parte i nativi, cioè coloro che hanno contribuito costitutivamente (in quanto capitale umano) alla generazione dell’UDA. Dall’altra i pionieri, i primi colonizzatori. Questi due gruppi per un certo periodo di tempo convivranno conflittualmente“.
La definizione è molto importante perché drammatizza, dinamizza e storicizza la figura dell’UDA (Unità d’Ambiance) che altrimenti parrebbe cangiante e mutevole per ragioni d’ordine metafisico. Il conflitto è il motore dell’UDA (come lo è della storia) e col conflitto cambiano o mutano forma anche tonal e totem d’incongruenza (per questi concetti si veda l’atlante, il glossario on line, i rapporti precedenti e quelli a venire).

Partiamo quindi da viale della Serenissima angolo via Prenestina in direzione Pietralata verso via Tiburtina. E’ Pietralata il nostro obiettivo, ma ben presto sorpassato il viadotto della stazione Serenissima notiamo sulla nostra destra un passaggio che non avevamo mai trovato aperto prima d’ora.

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Si tratta di un’affordance attrattiva (si veda questo rapporto): un cancello solitamente chiuso che spalancato “invita” ad entrare. Non possiamo fare altrimenti. Questa zona che costeggia via Collatina e più precisamente via Herbert Spencer è in questo periodo interessata da lavori che ne stanno ridefinendo l’aspetto; quindi non è strano imbattersi in cantieri e strade semichiuse.
Imbocchiamo la strada sterrata bianca:

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Cliccando sul link di via Spencer, poco sopra, si può vedere la vista aerea della zona che però, ad oggi, non è aggiornata e mostra una situazione dei lavori antecedente di qualche mese.
Ci ritroviamo nell’area dei lavori in corso in uno spazio verde che è l’accesso, scopriremo, a piccoli appezzamenti di terreno non visibili da viale della Serenissima. I terreni sono perimetrati con reti e mezzi d’accatto (reti del letto ad esempio) come spesso avviene in queste aree forastiche e in disparte. Se la si guarda dalla prospettiva aerea ci si rende conto che si tratta di una sorta di enclave attorno a cui si è continuata a crescere la città. Se si considera inoltre che l’enclave si situa ad un livello stradale interrato rispetto a tutti gli edifici che la circondano, viene subito in mente il romanzo L’isola di cemento di Ballard.

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Dal basso: il punto del viadotto da cui proveniamo. Sulla sinistra, appena visibile, una struttura appartenente alla stazione FL2 Serenissima. La scala è il tentativo di qualche prigioniero dell’isola di cemento di riemergere.

Ci sono un paio di Obike straziate e abbandonate. Le Obike sono il nuovo marcatore del degrado a Roma: il segno di questo tipo di conflitto incarnato nello sharing ciclistico è evidente in un po’ tutti gli angoli della città.
Quando si accede ad aree come questa è prevedibile trovare carcasse gialle di biciclette cannibalizzate o semplicemente vandalizzate come simbolo e collasso di un’idea di pubblico che è ormai solo proforma se non addirittura vero e proprio simulacro. Ogni bici gialla crudelmente sottratta al suo network urla di un’atomizzazione sempre più cinica che questa città sta vivendo in cui l’idea di collettività sta evidentemente assumendo nuove forme al momento difficilmente codificabili. Almeno da noi…
Le Obike potrebbero essere i segnalatori di conflitto atmosferico. Ne prendiamo nota, anche se al momento non è detto che siano queste il tipo di tracce che stiamo cercando.

Una nuova affordance attrattiva: una casina con la porta aperta. Sembra molto più antica della strutture che la stanno lentamente divorando.

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Siamo all’interno (foto precedente) ma non è chiaro di cosa esattamente si tratti. Quella visibile in foto sembra una valvola idraulica ma non ci sono indicazioni o segnali che lo confermino o lo smentiscano.

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Poco più avanti di casettina ne troviamo un’altra. Forse anche più antica della precedente (ancora visibile a sinistra nella foto) a giudicare dal tipo di mattoni e dalla forma dell’iscrizione.

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L’iscrizione ci conferma, ma era evidente, che si tratta di una casetta molto antica: 1910.

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Ci pare sempre più qualcosa avente a che fare con il controllo del flusso d’acqua. La chiusa visibile in foto è tutt’altro che abbandonata e forse ancora svolge la sua funzione. Non sappiamo quale.
Ma nell’area non sono presenti corsi d’acqua visibili.
Ci torna in mente che poco distante da dove siamo c’è una torre piezometrica nel quartiere di Tor Sapienza, potrebbe quindi trattarsi di una struttura che ha a che fare con un acquedotto. Scopriamo, in un secondo momento, che in quella zona passano tre importanti acquedotti di cui queste antiche strutture dovevano, forse un tempo, controllare o reindirizzare i flussi.
In qualche modo probabilmente le due strutture (casetta e torre piezometrica) sono allineate e quindi comportandoci un po’ come degli psicogeografi estendiamo per curiosità una linea da qui ad un importante punto d’interesse della zona, il centro commerciale Roma Est: attrattore popolar-commerciale in questa parte di Roma. Con nostra sorpresa la torre piezometrica di Tor Sapienza ci cade perfettamente dentro formando di fatto una ley line: guarda la mappa.
Al momento ci limitiamo nel rilevare questo allineamento (forse per future esplorazioni) senza tentare sovrainterpretazioni che ci porterebbero inutilmente fuori strada.

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Procediamo verso una “ziggurat” di blocchi temporaneamente depositati sul terreno.

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Foto con ufociclista arrampicatore per avere una stima delle dimensioni della ziggurat.

Ora in cima:
dall’alto offrono una bella visuale della zona (foto che segue).

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C’avventuriamo lungo una strada che costeggia via Spencer e che s’innoltra in una rada boscaglia:

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Abbiamo il tempo per riprendere il discorso sul conflitto atmosferico: se è infatti vero che la definizione da cui siamo partiti ha un importante ruolo, in questa ricognizione vogliamo verificare un’altra possibile accezione dello strumento.

Partiamo dall’unità minima della mappatura ufociclistica: l’UDA. Una mappa ufociclistica è, macroscopicamente, un insieme, una tassonomia, di UDA.
Abbiamo ipotizzato che l’UDA fosse isotropica da qualunque punto la si osservi. Ciò per noi significa, ad esempio, che essa non presenta “ispessimenti” o “assottigliamenti” atmosferici nell’intorno del tonal o del totem d’incongruenza qualora ci fossero. Ma più realisticamente: cosa accade ai bordi di un’UDA?
Noi intanto ci addentriamo e voi che leggete potete intrattenervi con un interessante articolo sulle “bolle isoglosse” che è stato d’ispirazione per formulare questo quesito.

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Dalla parte di via Spencer il percorso sterrato finisce contro un cancello chiuso. Sul lato destro (non visibile nella foto), c’è una piccola entrata agibile a piedi e in bici.
Giungendo fin qui abbiamo però visto altre diramazioni che, tornando sui nostri passi, esploreremo.

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Sul lato opposto (una delle diramazioni che non avevamo intrapreso), il percorso finisce su un cancello che guarda la centrale elettrica di via di Grotta di Gregna.
Anche qui, sempre sul lato destro, c’e’ un’entrata dalla parte di una pompa di benzina in dismissione.

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Per il resto poco da rilevare se non questo monumento all’attesa e alla solitudine che ci pare bello (foto precedente) e che guarda con pasoliniano scoramento nella direzione della farneticante centrale elettrica.

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Tutt’intorno si comprende che la zona è un’immensa discarica (guarda la foto precedente): il concentramento di decenni di detriti. Si trattasse di detriti autoctoni, autocumulatii, saremo in presenza di una cuspide (guarda questo rapporto). Ma in realtà ci pare trattarsi di scarti lasciati lì da camion provenienti da altrove data la classica forma a piramide che i cumuli hanno assunto. Solo una discarica.
Torniamo quindi indietro.

Nel tempo che ci serve per pedalare fino alla strada sterrata bianca possiamo riprendere il discorso sul conflitto atmosferico là dove lo avevamo lasciato: questa nuova idea proveniente dalla “bolle isoglosse” non ha nulla a che fare con l’isoglossa ma il modello di sviluppo e di espansione della bolla ci pare davvero pertinente a quello dell’UDA. Chi ha letto l’articolo che abbiamo linkato sopra avrà notato che proprio ai bordi di una bolla può accadere qualcosa d’interessante. Lo avevamo accennato nell’atlante ufociclistico a proposito delle UDA definendolo alone d’interferenza. Si tratta dello spazio in cui due UDA entrano in contatto e per una certa porzione di reciproca superficie si sovrappongono. Non avevamo però correlato a questo spazio di contatto l’idea di conflitto atmosferico.
L’ipotesi da verificare è quindi che nei punti di contatto tra UDA (le UDA sono ben più permeabili di una bolla), negli aloni d’interferenza, si creino conflitti tra atmosfere diverse: conflitti atmosferici, addirittura “temporaleschi”. Se così fosse, dovremmo trovare, in prossimità di questi bordi, qualche elemento rivelatore, dei segnalatori, di tali “belligeranti” contrapposizioni. Tutto ciò ci pare consistente con l’immagine di un’UDA isotropica ed espansiva.

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Siamo tornati al punto d’entrata e ci muoviamo nella direzione opposta alla strada bianca, lungo un tratto asfaltato che non è ancora accessibile al traffico ma che lo sarà tra breve a giudicare dallo stato dell’arte dei lavori. Passiamo sotto il cavalcavia della Serenissima (guarda la mappa complessiva alla fine del rapporto) e di nuovo c’imbattiamo in un’affordance attrattiva (foto precedente): irresistibile anche questa.

Purtroppo le foto che seguono non rendono bene l’idea dello spazio che abbiamo trovato. Non eravamo preparati e non avevamo portato con noi torce abbastanza potenti per illuminare lo spazio esplorato (ma forse non sarebbero comunque bastate). Avevamo solo le lucette delle nostre biciclette, del tutto inadatte a squarciare il buio implacabile del sottomondo. Proveremo comunque a rendere l’idea descrittivamente.

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Le scale che s’intravedono costeggiano un enorme tubo (la struttura nera sulla sinistra) seguendolo sia verso l’alto (qui in foto) che verso il basso (due foto sotto).
In alto si salirà per 10 massimo 15 metri.

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Ora siamo in cima alle scale e a questo punto inizia un corridoio che abbiamo seguito solo in minima parte data l’abbondante presenza d’acqua e fango a terra. Ovviamente dopo i primi tre minuti una quantità inenarrabile di zanzare ha iniziato a spolparci.
Siamo scesi nuovamente.

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Foto dal livello più alto della conduttura. Ci apprestiamo a scendere. La luce sulla sinistra è quella proveniente della porta d’entrata. Oltre la luce la zona scura è la scala che consente di seguire il tubo sotto terra.

Anche a scendere il tubo s’interra, da livello terra, per circa 10/15 metri.
Scesi quindi complessivamente 20/25 metri ci ritroviamo di nuovo in un corridoio (foto che segue). A terra c’è meno acqua che in cima alle scale e quindi lo percorriamo. La densità di zanzare invece è rimasta invariata.

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La luce che filtra in alto sulla sinistra proviene (ne siamo ragionevolmente certi) da quell’incavo che si vede nella terza foto di questo rapporto. All’inizio.  Siamo quindi scesi nuovamente al livello delle casettine e dello sterrato: l’isola di cemento ballardiana.

Nella foto che segue siamo nel punto in cui nella foto precedente filtrava la luce.
Si tratta di una passerella:

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Davanti al tubo sul lato destro della foto si apre un nuovo corridoio in cui non ci siamo avventurati (nella foto che segue) dato che eravamo già da qualche decina di minuti fuori portata degli ufociclisti che ci attendevano in superficie.

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Abbiamo invece proseguito oltre la passerella nella direzione originaria dove si è aperta un’enorme stanza lunga almeno cinquanta metri. L’abbiamo percorsa interamente (foto che segue).

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Alla fine di questo ambiente il tubo s’infila in un condotto più piccolo ma comunque percorribile. Ma noi ci siamo fermati al di qua.
Il tubo è davvero enorme ed è probabilmente la condotta di uno dei tre acquedotti che convergono in questa struttura sotterranea.
Tecnicamente si tratta di una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo rapporto) un percorso altamente disciplinante, che sarebbe molto interessante seguire interamente per scoprire se conduce a inattese aperture in altre zone di Roma.

Siamo di nuovo fuori e riprendiamo il percorso originario verso Pietralata.
Passato il cavalcavia che supera via Tiburtina sulla nostra destra troviamo subito l’entrata di via Feronia.
Da qui inizia la ricognizione in cerca di tracce di conflitto atmosferico.
Abbiamo scelto scientemente via Feronia perché molto caratteristica.
Si tratta di una stretta strada a senso unico che di per sé è una scorciatoia (non ufociclistica ma in senso tradizionale dato che è percorribile in automobile). La via si sviluppa all’interno di una sorta di piccola enclave caratterizzata da zone di verde e case basse che le conferiscono un aspetto decisamente anomalo rispetto al resto del quartiere. La stessa via Feronia sbuca però su via dei Durantini non prima di aver mutato decisamente aspetto (atmosfera).
La strada quindi s’articola all’interno di due UDA visibilmente ben distinte e con i rispettivi bordi che confinano senza soluzioni di continuità. Una condizione, almeno in teoria, perfetta per verificare la nostra ipotesi circa l’alone d’interferenza.

Prima d’entrare più nel dettaglio nella situazione di via Feronia, cogliamo l’occasione per rettificare una mappa illustrata nell’atlante ufociclistico. Nell’atlante avevamo utilizzato, per esemplificare la voce scorciatoia, uno stretto budello che proprio qui in via Feronia inizia (o finisce a seconda del verso da cui lo si guarda). Eccolo nella foto che segue.

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Di natura esclusivamente pedonale, la bici si può portare a mano, costeggia un campo di calcio e collega via Feronia con via Marica facendo risparmiare molta strada a chi lo percorre.
Nel nostro nuovo sopralluogo via Feronia e via Marica appaiono caratterizzate da due diverse atmosfere. In linea del tutto generale le considereremo come due UDA che esprimono differenti emozioni al contrario di quanto ci era apparso in ricognizioni precedenti.  Questa strettoia collegando due UDA differenti e attraversandone una terza, a sua volta esprimente un’atmosfera diversa, diviene per definizione uno strappo (si veda questo resoconto).
Abbiamo scoperto tra l’altro che questo strappo ha un nome “ufficiale”: vicolo Concordia. Accompagnato “coerentemente” dalla scritta Duce come sempre più spesso a Roma si incontra.

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Abbiamo allora immaginato l’esigenza di chiamarlo in quel modo per via di storiche faide che negli anni si sarebbero consumate in quella striscia di terra tra squadre rivali dopo una partita giocata nell’adiacente campo di calcio. Ma è solo una divertente ipotesi.

Guardiamo ora la mappa della zona per comprendere meglio il concetto di bordo dell’UDA:

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Abbiamo grossolanamente delimitato le due UDA di via Feronia (sulla destra si può vedere il campetto di calcio di vicolo Concordia). A destra c’è l’UDA appena attraversata: l’enclave. A sinistra l’UDA ancora da esplorare. Lo spazio in rosso è l’alone d’interferenza che si forma dal congiungimento senza soluzione di continuità della due UDA di via Feronia. Ci aspettiamo di trovare qualcosa, dei segnalatori, degli indizi di conflitto atmosferico nella zona segnata in rosso. Guardiamola nella foto che segue:

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L’immagine è sfalsata perché malamente ottenuta unendo due foto. Ma poco importa.
Rimaniamo un po’ delusi: non ci pare ci siano evidenti segnali di conflitto atmosferico qui: qualunque cosa questo concetto implichi. E’ però molto evidente il bordo come lo avevamo rappresentato sulla mappa: sulla destra è visibile via Feronia con la sua UDA verde mentre sulla sinistra inizia un complesso di palazzi che produce un’atmosfera del tutto diversa.
Restiamo induisticamente fermi all’ombra in attesa di un’ispirazione e ci guardiamo intorno in cerca di tracce. Nulla.
Di fatto non è detto che i segnali del conflitto siano così palesemente visibili. Nulla ce lo garantisce e nulla ci garantisce che la scelta di questa via sia stata la più adeguata.
Fermiamo un’autoctona e le chiediamo se ha la pazienza di raccontarci qualcosa su quella via. Emergono dei fatti interessanti.
Tanto per iniziare proprio in quel punto, ma dalla foto non è visibile, c’è un’enorme antenna ripetitore telefonico che negli anni è stata al centro di dure battaglie nel quartiere perché sospettata di essere la causa di un incremento in zona di morti per cancro.
L’autoctona ci dice inoltre che pochi metri più avanti c’è un parchetto e che anch’esso è stato per anni oggetto di battaglie tra il locale comitato di quartiere e i proprietari privati. Alla fine, dopo molti anni, il comitato di quartiere l’ha spuntata ed è riuscito ad appropriarsi l’agognato parco (nelle foto che seguono).

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La gentile signora ci dice inoltre che l’ufficio postale di via Feronia (foto che segue) è noto per essere stato oggetto di molte rapine (evidentemente sopra la media).

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Ci dice che i paletti gialli (foto seguente) che sono issati davanti alle vetrine furono installati dopo che, a più riprese e sempre a scopo di rapina, furono accelerate, contro l’entrata a vetri, delle automobili in sosta al fine di appropriarsi del contenuto del bancomat.

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Tutto molto interessante, e se non ci trovassimo già abbondantemente dentro la seconda UDA, troppo distanti dall’alone d’interferenza (ad eccezione dell’oggetto antenna), potremmo in parte, forse, ritenerci soddisfatti. Usiamo un doveroso condizionale perché questa nuova concezione di conflitto atmosferico, di cui ci stiamo sforzando di verificare la consistenza, dovrebbe evidenziare dei sintomi, proporre dei segnalatori, al di là delle informazioni storiche note o reperite circa lo spazio indagato.
Intuitivamente ci saremmo aspettati di trovare smottamenti, interruzioni, crolli, tafferugli, graffi, barricate o evidenze del genere. Ci saremmo aspettati di rinvenire psico-dissuasori, filo spinato, voragini nel terreno, il matto del villaggio, cani forastici e feroci, galeotti in fuga, caduta meteoriti, gente armata e asserragliata. Il tutto suona forse un po’ ingenuo e scenografico e a pensarci bene, con le debite differenze e misure, assomiglia un po’ alla descrizione di una cuspide. E che quindi una cuspide nasconda anche un alone d’interferenza e viceversa? Per il momento non aggraviamo la situazione con ulteriori insondabili domande.
L’antenna in realtà è un buon indicatore ed è anche collocato laddove il “modello teorico” prevedeva di rinvenire oggetti del genere. Tuttavia ci pare che la sua comprensione contestuale, come segnalatore, richieda ancora una certa internità ai “fattacci” del luogo. Spesso la realtà sperimentale cozza con le attese previsionali.
Restiamo quindi (incomprensibilmente) insoddisfatti perché ancorati ad un un’idea molto teatrale di conflitto atmosferico. E’ forse la parola conflitto a trarci in inganno.
La concezione di conflitto atmosferico dell’APR, al di là dell’operare per tutt’altro scopo, è fuor di dubbio di matrice storiografica. Essa richiede una conoscenza del territorio pertinente e il meno possibile intessuta di buchi cronologici. In un certo senso sono lo psicogeografo e l’ufociclista che indossano le lenti dello storico.
La concezione che stiamo verificando ha invece più a che fare col lavoro dell’archeologo sperimentale: a partire da certe tracce, da certi segnalatori reperibili sul territorio (quali?), l’ufociclista dovrebbe poter ragionevolmente ipotizzare di trovarsi all’interno di un alone d’interferenza anche non sapendo nulla sullo spazio che sta attraversando.
Si tratterebbe di uno strumento davvero potente.

Ringraziamo la signora che è stata molto paziente e che ci vede andar via delusi. Avrà pensato di averci scoraggiati qualora fossimo stati intenzionati ad acquistare una casa in zona. E in effetti con quell’antenna…

Riprendiamo via dei Durantini e giriamo su via di Pietralata fino a via dell’Acqua Marcia. Anche qui s’avvicendano concomitanti due UDA. Applichiamo un ragionamento analogo a quello adottato per via Feronia e diamo un’occhiata all’alone d’interferenza (foto che segue) che si trova proprio all’incrocio tra Pietralata e l’Acqua Marcia.

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C’e’ una sorta di piccola Tunguska proprio lì dove ci aspettiamo di trovare qualcosa. Un boschetto raso al suolo, forse da un meteorite, e una baracca fatiscente e arrugginita. Tutt’attorno non ci sono segnalatori simili. Solo lì. Solo in quel preciso  e circoscritto punto.

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La baracca da un’altra angolazione. La fotografia è presa da via dell’Acqua Marcia

Ma una “prova” non basta ovviamente: ammesso che questa lo sia. Ci rincuoriamo forse un po’ e rimandiamo la verifica sperimentale della nuova categoria ad altre ricognizioni dove staremo attenti e vigili nel cogliere questo tipo di segnali. Su via dell’Acqua Marcia ci fermiamo ad ammirare un bel lavoro di ricolorazione dei palazzi (foto che segue):

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Il verde del primo palazzo è bellissimo. Il giallo del secondo lo è anche, ma il giallo (più ocra però suggerisce un’ufociclista) è già più comune a Roma.
Ci ripromettiamo di tornare a lavori finiti e di sperimentare qui la Tavola cromatica degli stati d’animo (si veda questo rapporto) per rilevare la tonalità emotiva dell’UDA: potrebbe essere molto interessante scontrarsi con colori così caratterizzanti e fuorvianti.
Condizionatori ovunque. Condizionatori come se piovesse.

Proseguiamo per via delle Messi d’Oro. Incontriamo il parcheggio sopraelevato della metro di Ponte Mammolo. E’ deserto in questo periodo. Un deserto composto da roventi placche di metallo.
Un ufociclista suggerisce trattarsi di una cuspide (foto che segue).

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Non è escluso che lo sia tanto più che in alcuni angoli si concentrano mucchi di stracci e altri tipi di detriti sicuramente originari. Contigua al parcheggio c’è anche un isola ecologica dell’AMA. L’isola ecologica non è una cuspide per le medesime ragioni per cui non lo era il parco di detriti incontrato all’inizio della ricognizione.
Ci soffermiamo un attimo a ragionare su questo fatto. L’ufociclista suggerisce trattarsi di una cuspide prioritariamente perché nel capitolo dell’atlante ufociclista che riguarda le cuspidi si dice che un parcheggio può esserlo.
La natura degli oggetti è sempre contestuale mai elettiva. L’ufociclismo mutua l’idea di una vocazione circostanziale degli oggetti incontrati dalla psicogeografia delle origini; mentre l’idea dell’inserimento dell’oggetto all’interno di relazioni gli proviene decisamente dallo strutturalismo. L’oggetto si trasforma quindi in un oggetto/sequenza (si veda l’atlante) il cui stato percepito è sempre momentaneo e circostanziale (situazionale). A questo proposito abbiamo già accennato in altri rapporti alla natura trans-oggettuale degli oggetti/sequenza (si veda anche questo rapporto), al loro mutare di ruolo nel tempo nello spazio ma anche entro le specifiche circostanze in cui esso è euristicamente inserito. Questo significa, in sostanza, che un oggetto può ricoprire più ruoli contemporaneamente che emergono isolatamente a seconda dell’angolazione e della prospettiva circostanziali da cui li si guarda.
Un parcheggio non è mai una cuspide per definizione quindi. Tuttavia può esserlo (e spesso un parcheggio lo è) in un dato momento della propria sequenza d’esistenza. Anche in questo caso è probabile che lo sia.

Risaliamo sul marciapiede contromano via Tiburtina nella sua parte sopraelevata. E’ un marciapiede per modo di dire. In quel tratto non interessato da abitazioni si è pensato che il passaggio di esseri bipedi o quadrupedi fosse opzionale. Un tratto di strada costruito abbastanza di recente immaginato solo ed esclusivamente a misura d’automobile.
Raggiungiamo una rampa da sempre chiusa di quel tratto (foto che segue) di via Tiburtina che in questo frangente assomiglia a un’autostrada:

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Si tratta di una scorciatoia vera e propria chiusa da barriere new jersey che impediscono l’entrata a automobili e moto. Le bici e i pedoni possono scavalcare.
Ci immette sul tratto finale di viale Palmiro Togliatti facendoci risparmiare un lungo tratto di percorrenza su via Tiburtina.

Risaliamo viale Togliatti per infilarci, invertendo la marcia, nuovamente sulla Tiburtina in direzione opposta rispetto a prima così da intercettare immediatamente un’altra rampa da sempre chiusa:

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Si tratta anche in questo caso di una scorciatoia che però a differenza della prima intercetta inizialmente una discarica:

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e poi una cuspide (foto che segue):

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La cuspide inizia sotto i piloni della sopraelevazione del tratto della metro B: Ponte Mammolo-Rebibbia. Risaliamo il dislivello verso le strutture di cemento laddove le sue tracce s’intensificano:

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Ci sono i segni dei generatori autoctoni della cuspide perché le intercapedini dei piloni sono saltuariamente abitate.

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Nella foto precedente abbiamo scavalcato i piloni nella direzione del fiume Aniene che però da questo punto non è visibile. E’ proprio davanti a noi al di là coperto alla vista dalla vegetazione.
Abbandoniamo questa scorciatoia.

Ci immettiamo nuovamente su viale Palmiro Togliatti in direzione di via Prenestina. All’altezza dei piloni della bretella Roma-l’Aquila (circonvallazione orientale: l’avevamo già incontrata qui a proposito del “parchetto sonico”) si apre un indecifrabile luogo (anch’esso probabilmente una cuspide in mancanza di altre definizioni o ipotesi migliori) che confina con un parco giochi. Di nuovo ci torna in mente Ballard:

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E’ uno spazio immenso e la foto non rende la sua ampiezza.
Lo attraversiamo per EVItare il “pericolosissimo” cavalcavia della Togliatti che scavalca la ferrovia FL2 (anche questa l’avevamo già incontrata qui) e c’addentriamo nel parco Baden Powell (il padre dello scautismo):

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Parco Baden Powell e canetto diffidente

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Ancora parco Baden Powell verso la fine

fino a via Grotta di Gregna. L’avevamo già incontrata all’inizio perché è la via dove abita la centrale elettrica che vedevamo dal parco che costeggia via Spencer.
Stiamo tornando al punto di partenza.
Ancora pochi metri e siamo su via Collatina e poi di nuovo via della Serenissima.

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Qui la mappa completa del percorso.

 

Collezioni e Tassonomie – La Rustica – Roma – 29/07/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena

Questa ricognizione/esplorazione ha avuto il compito di testare la consistenza di due categorie “minori” dell’UfoCiclismo: le collezioni e le tassonomie.
Spieghiamo immediatamente cosa intendiamo per minori.
Entrambe hanno una funzione di raccolta di oggetti/sequenza presenti sul territorio. In entrambi i casi le collezioni e le tassonomie preparano il terreno per l’analisi vera e propria selezionando preliminarmente gli oggetti che compongono il percorso analizzato o l’UDA studiata. Si tratta in altre parole di insiemi.
L’interrogativo che con questa esplorazione volevamo risolvere è il seguente: dato che la collezione si struttura come un insieme generale mentre la tassonomia come sottoinsieme (specializzato), è pensabile che la collezione, una volta organizzata in tassonomie, perda la sua funzione euristica e che quindi sparisca dall’orizzonte di un rapporto (un resoconto) definitivo?
Al contrario: la collezione può mantenere una sua funzione euristica nella decifrazione delle caratteristiche del territorio anche una volta che sia stato fatto un lavoro tassonomico di organizzazione sugli oggetti?

Partiamo dalle definizioni:
Tassonomia: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> tra loro omologhi. Idealmente tali oggetti sono tutti trasformabili l’uno nell’altro senza ricorrere ad azioni come strappi e cuciture (deformazione continua – omotopia).
Un insieme di <<tonal>> può ad esempio costituire una tassonomia“.
Collezione: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> somiglianti: non omotopici. Ad esempio <<tonal>> e <<totem d’incongruenza>>, <<affordance conflittuali>> e <<affordance attrattive>>. Si tratta di congruenze molto meno forti rispetto alla <<tassonomia>>“.
Lasciamo intatti i caporaletti presenti nell’atlante ufociclistico da cui abbiamo tratto le definizioni.

Siamo partiti da via di Tor Cervara angolo via Costi. Tecnicamente ci troviamo nel quartiere di Tor Cervara sulla tradotta che ci condurrà presso il quartiere La Rustica.
Non possiamo fare a meno di “collezionare” il primo oggetto/sequenza che ci si para dinnanzi:

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Il New York 777 – cafè – casinò, scommesse e lotterie… tanto. Tantissimo tutto concentrato in un solo edificio.
Emotivamente ci cattura e lo infiliamo nel nostro “sacchetto” che chiamiamo Collezione.
Ogni inizio è complesso: una ufociclista fa notare che l’oggetto dirimpettaio del New York 777 è però forse più interessante: “perché non partire da quello?“.  Lo riportiamo nella foto che segue:

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Nel sostenere la sua tesi l’ufociclista si lascia scappare un: “l’altro fa schifo!“… prendendosene anche la responsabilità giuridica.
E’ proprio quel “fa schifo” che supporta la scelta d’includerlo nella Collezione mentre ci spinge a non considerare degno di nota quello appena mostrato che, nella sua seppur più accettabile decenza, non esprime alcuna forza tonale. Lo schifo è invece una risposta ambientale ben più interessante, capace di caratterizzare un luogo fino ad arrivare a costituirne o a disgregarne la compattezza timica: quell’aura emotiva che esso compattamente emana.
L’ufociclista non sembra troppo convinta.

Procediamo quindi su via Costi e subito c’imbattiamo negli ex edifici del comando della guardia di finanza. Foto che segue.

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L’edificio è spettralmente abbandonato (per una mappa generale sulle occupazioni abitative si veda questo lavoro di Luca Brignone e Chiara Cacciotti.
inseriamo l’edificio nel sacchetto Collezione.
Via Costi è molto caratteristica. Si tratta di una larga strada senza abitazioni ma con edifici commerciali e amministrativi: una sorta di area neutrale posta tra Tor Cervara e La Rustica. Tecnicamente si potrebbe trattare di una enclave ma non è questa la sede per accertarlo.

In un cumulo di rifiuti poco più avanti troviamo Luigi il fratello di Super Mario.

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C’e’ anche Winnie The Pooh ma recuperiamo solo Luigi (che è qui nella sede ufociclistica pronto ad essere adottato da chiunque ne faccia richiesta).

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Ancora un oggetto da infilare nella Collezione: un ulivo che, non ce ne intendiamo, ma ci pare secolare. Ci viene in mente sempre a Roma la zona dell’Alberone che prende il nome da un leccio che non esiste più (qui ce ne parla Romano Talone accennando ad altre zone di Roma caratterizzate da altre specie di albero).
Ancora non azzardiamo ipotesi sul ruolo degli oggetti che stiamo incontrando; ci limitiamo invece a resocontarli.
Non siamo ancora a La Rustica ma questa inclusione di oggetti al di fuori dell’area che ci siamo preposti come caso di studio ha un senso che emergerà più avanti.
Proseguiamo per via Virgilio Guidi e poi finalmente per via della Rustica.
Poco prima ancora su via Guidi entriamo nel parco Fabio Montagna de La Rustica.
Non siamo in cerca di qualcosa in particolare ma continuiamo nella nostra raccolta.

Il parco è molto ben tenuto. All’interno è arredato con attrezzi ginnici e guide all’uso. Le abbiamo raccolte:

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Si tratta di oggetti molto interessanti che esprimono una forma morbida di comando e di disciplinamento. Nel loro incedere numerico progressivo formano quello che Foucault definirebbe un Ordine del Discorso che sofficemente disciplina il corpo, lo sottomette ed esclude, su di esso, altri discorsi imponendo la propria volontà di verità:
Ora, questa volontà di verità, come gli altri sistemi d’esclusione , poggia su un supporto istituzionale: essa è riconfermata, e rinforzata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri, dell’editoria, delle biblioteche, come i circoli eruditi una volta, i laboratori oggi. Ma essa è anche riconfermata, senza dubbio più profondamente, dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, dal modo in cui è valorizzato, distribuito, ripartito, e in un certo qual modo attribuito“.
Possiamo scorgere una sorta di sistema d’esclusione in ogni istruzione per l’uso che morbidamente invita ad un utilizzo “superiore” segnando il territorio dei comportamenti non convenzionali, degli esercizi disfunzionali. In questo caso in particolare possiamo immaginare che gli esercizi “comandati” poggino su un sapere ginnico sopra la media, tuttavia che sia per il bene comune, sia che non lo sia, esso imbastisce un efficace sequenza di comportamenti che in questo specifico è molto ben esemplificato. Non a caso si chiamano percorsi, proprio come i percorsi di vita, le rette o non rette vie, le strade che qualcuno ha costruito per portarci da qualche parte o le passerelle che conducono al patibolo.
Ci viene in mente che potremo proporre l’aggiunta di una nuova voce ufociclistica: ritmi. Così in via del tutto informale si tratterebbe di oggetti/sequenza capaci di stabilire un ordine prioritario di segnali sul territorio ricorrendo a continue (e ritmiche) riproposizioni dello stimolo: una tabulazione della coazione a ripetere (abbiamo trovato una cosa non dissimile durante una ricognizione precedente a proposito degli specchi convessi stradali) che con cadenza più o meno stabile impongono una certa punteggiatura allo spazio quotidiano.
Nel sacchetto quindi.

Il parco dal lato più a sud/est costeggia ordinatamente la ferrovia FL2 (foto che segue) in una sorta di confine naturale apparentemente invalicabile. Lo è di fatto da questo lato del parco.
La ferrovia sappiamo essere una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo resoconto) oppure l’atlante ufociclistico.

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Procedendo c’imbattiamo letteralmente in una fogna a cielo aperto che attraversa in più punti il parco (foto che segue) e qui nella veduta aerea.

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L’odore è nauseabondo ancor più in questa stagione di rapide fermentazioni. L’oggetto è comunque interessante e lo inseriamo nel sacchetto Collezione.
La fogna (o marana) segna il limite del parco oltre il quale si apre un parcheggio.
Lo attraversiamo e notiamo che al momento è accessibile ma ancora chiuso.
Su un lato di questo si apre un cancello (un’affordance attrattiva – si veda l’atlante ufociclistico) che dà sulla ferrovia. C’infiliamo restando da questo lato del passaggio (foto che segue).

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In invito esplicito a entrare che noi non possiamo non accettare.
Contempliamo come significativa anche questa affordance attrattiva che consegniamo alla nostra Collezione dato che essa ha un carattere più che semplicemente soggettivo. Un cartello (foto che segue) infatti invita a non entrare mentre un cancello spalancato ci urla esattamente il contrario. Non si tratta quindi semplicemente di un passaggio ma di una sorta di “trappola” a cui è difficile resistere: “Le affordance attrattive attraggono per definizione e spesso l’ufociclista si lascia catturare pur sapendo d’incorrere in una possibile trappola; e questo perché talvolta è saggio e intelligente farsi intrappolare investendoci tutta la propria soggettività“.
Anche questa nel sacchetto.

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Alla fine del percorso calpestabile (foto che segue) in lontananza scorgiamo gli ex studi televisivi della TVR Voxson di Tor Cervara da dove siamo venuti.

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Foto con mano e reperto ferroviario. Sta diventando una specie di classico.

Abbiamo abbandonato la ferrovia e siamo tornati nel parco perché avevamo lasciato in sospeso un percorso (foto che segue).

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Di nuovo al confine tra il parcheggio e il parco. Di nuovo di fronte alla fogna che avevamo poco prima incontrato. L’odore è insopportabile al limite del mancamento. Davanti a noi si apre una misteriosissima ciclabile che continua a seguire imperterrita il corso della marana. Eroicamente c’infiliamo sprezzanti dell’epatiti.

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Scopriamo che la ciclabile costeggia la ferrovia proprio dalla parte che, precedentemente, dal parco sembrava inaccessibile.
Nella foto precedente il sottopasso che scavalca le rotaie. Qui l’intero tracciato.

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Incontriamo due campi da tennis in buono stato e tutta la ciclabile sembra manutenuta non di recentissimo ma comunque presidiata.

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Siamo giunti alla fine della ciclabile. Chiusa. Si affaccia su via della Stazione di Tor Sapienza. Ci siamo imbattuti nuovamente in una varietà dimensionale d’ordine inferiore (1 dato che si tratta di una ciclabile) che è anche uno strappo (si veda anche questo resoconto). Ancora una volta ci rendiamo conto che urge una ridefinizione del concetto di varietà dimensionale così come era stato presentato nell’atlante ufociclistico.

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I fruitori dello strappo hanno comunque trovato una soluzione al dato di fatto che esso è ancora chiuso: come si può vedere nella foto precedente con la grata divelta. Ciò ci conferma l’importanza strutturale di questi oggetti all’interno del contesto urbano.
Secondo noi si tratta di uno strappo e non di una scorciatoia (si veda l’atlante ufociclistico) perché ci troviamo in presenza almeno di due UDA (il parco Montagna e Tor Sapienza) uniti da una ulteriore UDA con proprietà irriducibili alle precedenti (la ciclabile).

Siamo tornati indietro, di nuovo nel parco, dato che ancora dobbiamo inoltrarci verso La Rustica vera e propria.
Incontriamo un centro estivo con piscina (nella foto che segue):

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Ghiacciolo all’arancia nel chiosco che sa di mare e poi torniamo rapidamente sulle tracce di un’antica via romana (forse la vecchia Collatina):

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Qui la via dalla vista aerea.
La strada romana è interessante e anch’essa finisce nel nostro sacchetto Collezione.
Usciamo finalmente dal parco Fabio Montagna.

Siamo su via della Rustica e ci imbattiamo nel murales in ricordo di Lucio Conte:

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Anche questa sorta di cenotafio è di particolare interesse.
Facciamo l’ennesima sosta al nasone (fontanella) così da constatare che nella squadra un’ufociclista in particolare ha esigenze idriche fuori dalla norma.
Procediamo e c’imbattiamo nella interessantissima parrocchia di S. Czestochowa la Madonna Nera (foto che segue):

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La chiesa ha un aspetto compatto e minaccioso che ricorda una sorta di bunker.
Due reperti quelli appena incontrati (il cenotafio a Conte e la parrocchia) che si affrontano a poca distanza l’uno dall’altro ricordandoci la lotta tra Peppone e Don Camillo.

Più prosaico il murales della ASR Roma a largo Crivelli a pochi metri di distanza. Probabilmente storico.

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Siamo giunti al limite de La Rustica. La via finisce su un campo di calcio qui mostrato nella foto aerea.
Al lato destro del campo sportivo (venendo da via della Rustica) si apre un parco che abbiamo visitato. Termina dietro al campo con una sorta di sotto-parco recintato e arredato con belle panchine verdi in metallo.
Vale la pena visitarlo assolutamente (nella foto successiva):

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Affaccia sulla circonvallazione orientale che dista pochissimi metri dalle panchine come è visibile in foto. La circonvallazione orientale è una sorta di autostrada in cui sfrecciano automobili di continuo e il frastuono che ne deriva obbliga gli avventori a urlare per parlarsi. Surreale.
Mettiamo anche il sotto-parchetto nel sacchetto Collezione.

Torniamo indietro. Abbiamo già raccolto parecchi oggetti/sequenza.
Percorriamo via Galatea che costeggia il campo di calcio per riprendere, con un giro largo, via della Rustica. C’imbattiamo in un enorme cunicolo piantato sotto i piloni della circonvallazione orientale (foto che segue) che conduce al sottosuolo:

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E’ così ampio che potrebbe entrarci tranquillamente e comodamente un adulto strisciando. Potrebbe essere il Santo Graal della speleologia urbana romana. Non ne sappiamo niente e attorno a noi non c’e’ nessuno a cui chiedere. Quante generazioni di palloni ci saranno finiti? Quanti animali domestici scomparsi? Il tubo ha l’aspetto di una fàuce spalancata pronta a divorare il quartiere.
Pericolosissimo.
Anche questo nella Collezione.

Improvvisamente via Galatea diventa via Damone che termina su una strada sterrata posta a pochi metri dalla circonvallazione orientale (si veda la foto successiva):

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Si tratta di una scorciatoia (la struttura sulla destra sono i pannelli frangi rumore che danno sulla circonvallazione orientale). La scorciatoia sbuca su via Delia ed è notevolissima perché le due strade, attraverso altri percorrimenti, risultano invece molto distanti.
Si tratta di una scorciatoia (e non di uno strappo) perché le tenute tonali di via Damone e di via Delia paiono, almeno ad una prima ricognizione, identiche.
Ottimo: anche questa archiviata e messa nella Collezione.

Fin qui il lavoro “bruto”  di raccolta degli oggetti/sequenza incontrati durante una ricognizione.
Fin qui il ruolo svolto dalla collezione così come previsto, ma che poco ci dice circa l’interrogativo iniziale.
Lo ricordiamo:
tirati fuori dal “sacchetto” tutti gli oggetti/sequenza incontrati e tassonomizzati in varie categorie avremo ancora bisogno della collezione come strumento euristico o potremo dichiarare il suo ruolo terminato ai fini della compilazione del rapporto?

Procediamo con la tassonomia sperando che emerga in autonomia la risposta.
Svuotiamo il sacchetto Collezione:

1) l’inquieto New York 777 – totem d’incongruenza/flap (si veda l’atlante ufociclistico o il glossario on line);
2) il fortino ex comando della guardia di finanza – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
3) l’ulivo centenario – attrattore;
4) il percorso ginnico disciplinante – affordance consce/flap;
5) la marana repellente – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
6) l’attrattiva FL2 – affordance attrattive;
7) la varietà dimensionale 1 (ciclabile) – strappo (si veda anche questo resoconto);
8) la anonima strada romana – cuspide (si veda anche questo resoconto);
9) il murales a Lucio Conte – attrattore/tonal;
10) la parrocchia di S. Cezstochowa – attrattore/tonal;
11) l’ASR di largo Augusto Corelli – attrattore;
12) il parchetto sonico – cuspide (si veda anche questo resoconto);
13) l’accesso al sottomondo della circonvallazione orientale – varietà dimensionale 1 (si veda anche questo resoconto);
14) lo sterrato di via Damone – scorciatoia.

Per le categorie non note si consulti l’atlante ufociclistico.

Abbiamo proceduto ad una prima attribuzione di ruoli che in caso di rapporto andrebbe ulteriormente approfondita.
Tra l’altro stiamo sommando oggetti/sequenza che tagliano trasversalmente più UDA e che si estendono anche oltre l’area d’indagine prefissata: come abbiamo spiegato all’inizio, questa ricognizione ha uno scopo “didattico” più che realmente conoscitivo quindi ci siamo calati in una condizione estrema mentre molti di questi oggetti potrebbero non essere associabili per definizione.
Procediamo quindi con la tassonomia:

Gruppo 1) 1, 2, 5.
Gruppo 2) 4, 6.
Gruppo 3) 3, 9, 10, 11.
Gruppo 4) 8, 12.
Gruppo 5) 7, 14.
Gruppo 6) 13.

Siamo stati incerti se unificare il gruppo 5 e il gruppo 6. Questo tipo di semplificazioni riguardano il contesto d’uso dell’oggetto e quindi appartengono ad una sorta di pragmatica contestuale o situazionale.
Rileggendo la definizione di tassonomia (all’inizio di questo rapporto) si comprende infatti l’esistenza di una sorta di trans-oggettualità perché gli oggetti possono appartenere a gruppi diversi a patto che tale apparentamento rispetti l’unica condizione posta, cioè quella della omotopia. La decisione è quindi pragmatica e funzionale alla coerente costruzione della mappa. In questo senso, ad esempio, avremmo potuto creare un gruppo con varietà dimensionale 1 e scorciatoia se avessimo voluto “sottolineare” questa caratteristica “filiforme” per lo spazio indagato.

I gruppi 1 e 3 si pongono all’apice del vertice di una ipotetica piramide valoriale sfidandosi, nel caso delle UDA ad esempio, sull’asse più importante: quello di aggregazione vs disgregazione.

A questo punto saremo pronti per organizzare gli oggetti entro specifici contesti di studio rilevando quali funzioni peculiari essi assolvano nella determinazione di UDA o di ley line.  Non lo faremo ovviamente.
Il problema che rimane senza soluzione è quello di che fine faccia lo strumento collezione ora che è stato, per così dire, svuotato.

Ci torna quindi utile aver forzato l’inclusione di oggetti al di fuori dell’area prescelta per il nostro esperimento e cioè gli oggetti 1, 2, 3.
A rigore essi non andrebbero contemplati entro lo spazio de La Rustica invece noi li abbiamo inclusi perché “attrattori” percettologici insiti nel complessivo percorso tracciato. Più semplicemente potremo affermare che i confini artificiali di un qualunque spazio non vanno mai intesi alla lettera perché ovviamente essi si sfrangiano in zone d’interferenza (alone d’interferenza). Lasciare fuori per principio (o per troppo perfezionismo) gli oggetti che popolano tali aree potrebbe compromettere l’analisi dello spazio. Ecco che allora la collezione ci torna utile come una sorta di “registro di lavoro” in cui includere al margine gli oggetti che potremo non necessariamente immediatamente tassonomizzare. Mancando di categorizzazione essi rimarrebbero disponibili, “aperti”  come possibili caratterizzatori timici dello spazio. La collezione mantiene quindi una funzione di “scorta”, da cui ripescare ruoli che potrebbero non essere contemplati nello spazio circoscritto che è il nostro nucleo d’analisi.

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Guarda la mappa completa.

 

 

 

Cuspide via Prenestina – Roma – 12/5/2018

Rapporto redatto da Cobol 

In UfoCiclismo. Atlante tattico ad uso del ciclista sensibile abbiamo illustrato il funzionamento di una cuspide riferendoci, per esemplificare, a quella di via Prenestina/largo Preneste – Roma.
Qui abbiamo la possibilità di approfondire fotograficamente quelli che sono gli attributi presenti in questo oggetto presente in tutti gli spazi compresi quelli cittadini.
Iniziamo con l’illustrazione contenuta nel testo:

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Lungo via Prenestina all’altezza di largo Preneste si manifesta la cuspide in questione una sorta di aggregato naturale dei sedimenti di una possibile UDA (Unità D’Ambiance).
La cuspide posta al centro dei due giacimenti  (che coincide con largo Preneste) è il terminale dei flussi sedimentari visibili nella mappa.
La cuspide è a tutti gli effetti una conca in cui si accumulano i detriti di una UDA. La cuspide ha quindi un’importanza di tipo archeologico stratigrafico ma anche emozionale perché allo stesso modo essa concentra detriti d’emozionalità presenti nello spazio esplorato.

Vediamo più nel dettaglio i giacimenti temporanei sulla destra visibili nella mappa precedente. Nella foto sotto il dettaglio del giacimento più in alto nella stessa mappa.
La zona è stata recentemente parzialmente bonificata e si sta trasformando in un parcheggio per i vicini campi sportivi. Tuttavia alcuni segni del suo essere stato un giacimento sono ancora visibili nelle foto scattate sul terreno in data 12/5/2018 (mentre le foto aeree risalgono al 2012).

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A seguire il giacimento temporaneo inferiore (sempre a destra) ancora più interessante perché visibilmente stratificato (giacimento sedimentario) che si trova sul lato opposto della carreggiata del giacimento sopra mostrato.

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Alcuni elementi di questi giacimento potrebbero aiutarci a datarlo: ad esempio capendo fino a quando la Redbull ha mantenuto la grafica della lattina mostrata nella foto qui sopra (e che oggi è molto diversa). Sono molti gli elementi di questo giacimento che ci permetterebbero una datazione approssimativa qualora essa c’interessasse.
La presenza di più lattine di Redbull tra le altre cose ci suggerisce che quella zona abbia una stretta connessione con una ad essa limitrofa, Portonaccio, che proprio da quella parte della città si apre con la presenza dello storico locale Muccassasina in cui si fa ampio utilizzo di bevande energetiche ed eccitanti.

Il giacimento più a sinistra in alto: sempre di carattere sedimentario è il vero e proprio alveo della cuspide. Come giacimento, rispetto a quelli visti in precedenza, presenta caratteristiche di stabilità (giacimento permanente).

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Questa parte finale della cuspide si trova nel punto più basso di due flussi sedimentari visibili nella prima mappa (la conca).

Sul lato opposto della strada (via di Portonaccio) il famoso muro degli ex voto alla madonna della Prenestina oggi ancora Tonal dell’UDA.
Per tonal intendiamo una artefatto o un oggetto naturale capace di “intonare” uno spazio dotandolo di caratteristiche emozionali continue.

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Nella foto sopra il quarto giacimento (in basso a sinistra nella prima mappa). Si tratta questa volta di un giacimento emozionale perché ivi si concentrano molte delle marginalità della zona.
Guarda il filmato recuperato in rete.

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In questa foto la colombaia di largo Preneste all’interno del quarto giacimento. Qui siamo alle prese con un giacimento sedimentario (addirittura archeologico) conficcato nel giacimento emozionale.

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Ultima foto di questo approfondimento: il lago dell’ex SNIA che si configura come tonal emergente dell’UDA in contrasto con il muro degli ex voto.

La cuspide è un buon oggetto da cui iniziare la ricerca di Tonal e Totem d’incongruenza. Data la sua capacità aggregatrice non di rado essa “costruisce” o accerchia i due oggetti più importanti dell’asse aggregatore/disaggregatore (tonal/totem) che compongono un’UDA.