Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli

Di Cobol

Nell’articolo Meme con la forza – lezioni dai gilet gialli, Paul Torino e Adrian Wohllebn tra le tante, affrontano la questione delle rotonde dei Gilets Jaunes. L’occupazione delle rotonde è divenuto un tratto distintivo di questa forma di movimento che dallo spazio delle rotatorie stradali prende vita, si accampa e poi detona.
Nell’analisi dei due militanti americani, le rotonde sostituiscono, come ennesimo aspetto innovativo di questo movimento, le piazze centrali, le grandi vetrine in cui generalmente i movimenti “fanno sfoggio muscolare” dimostrando di poter occupare un luogo simbolico visibile, generalmente molto sorvegliato, inespugnabile e tanto vicino ai centri di potere.
L’elemento innovativo, oltre che nella topologia del luogo occupato, sta nel tempo di permanenza che trasforma questi spazi in cittadelle satellitari proprio come nella distopia ballardiana L’isola di cemento.
A differenza delle decorative piazze, e questa è la tesi, le rotonde sono un oggetto della vita quotidiana, senza soluzione di continuità con l’esistenza di tutti i giorni, al contrario dei classici luoghi simbolici dei movimenti, ancora le piazze, magari disertate dai locali nella consuetudine e invece utilizzate come ring per la lotta di classe spettacolarizzata. Le piazze sono un film con troppe repliche, una sceneggiatura trita e ritrita. Non che i Gilets Jaunes non le invadano, ma non le utilizzano come collettori, come attrattori.
Disertare le piazze! Su questo hanno ragione Torino e Wohllebn, per inventare topotattiche meno prevedibili.
Ma l’inconsueto deve possedere una visione oppure tutto va bene purché sia strano? Un po’ di stranezza randomica non guasta, ma in questa dissertazione mi concentrerò sulle affordance, ovvero sugli inviti all’uso che oggetti, luoghi, persone, situazioni, spronano a intraprendere: vere e proprie istruzioni per l’uso, libretti delle istruzioni che si generano da una commistione di caratteri “oggettivi” (forse sarebbe meglio dire sedimentati nel profondo) e di consuetudini sociali. Un graffito sul muro, ad esempio, è generato dall’invito all’uso della parete che ha le medesime caratteristiche di uno schermo e di un quaderno, e dal fatto sociale che la scrittura urbana ha sviluppato una tradizione in merito alle pareti, ai muri, invece, ad esempio, di produrre linee sulla terra come a Nazca.
Inviti all’uso, quindi, ma per essere più precisi è il tradimento delle affordance (affordance conflittuali) che mi interessa, perché che sia illegale o meno, scrivere su una parete pubblica risponde a un’affordance prevedibile, sollecitata, etero-attivata (eterodiretta?), solo per fare un esempio. Le affordance rappresentano le attenuanti generiche di qualsiasi pratica d’esseri senzienti.

Occupare una rotonda invece di una piazza cittadina significa non trasferire il valore dell’azione ad uno statuto simbolico superiore, alla casta sacerdotale dei mediatori, ma lasciarlo all’altimetria a cui si è generato. Significa dialogare a quattro occhi con il dio senza affidarsi alla protezioni ambasciatoriali di alcun mistico attutore. Questo ancora nella logica argomentativa di Meme con la forza… anche se detto in altro modo. Come ufociclisti riconosciamo in ciò la dicotomia UDA contattistica vs esomediatori.
I due autori si guardano bene (a ragione) dal citare i non luoghi, categoria socioantropologica tanto di successo quanto inevitabilmente disadorna di propulsore avverbiale. Una di quelle categorie che dici: vabbè, anche ammesso che…, ma poi che ci faccio?
Eggià che ce ne facciamo noi dei non luoghi? Dopo esser stati così ligi nell’averli individuati su una mappa: come ci cambiano la vita?
Ma che li si citi o meno, il senso dell’ osservazione di Torino e Wohllebn è anche un po’ quella: le rotonde (nelle loro argomentazioni) ben inscenano quel carattere di acefalicità che gli stesi esaltano come il vero elemento di novità di questo tipo di lotta/rivolta. Un corpo senza testa, che ragiona col cuore è un po’ la traslazione eziologica del non luogo, dello spazio geometrico privato del cogito. Uno spazio che lo si vorrebbe cosmopolita nel migliore dei casi e a volergli fare un favore.
D’altro canto non potrebbe essere altrimenti. Se è vero che si tratta di spazi “genuinamente” inclusi nella città, luoghi quotidiani, è anche vero che di spazi ostili alle forme di vita si tratta; luoghi per estremofili (o feticisti ballardiani): così familiari e così ovviamente disertati in condizioni “normali”. Luoghi a cui, del tutto spontaneamente, ognuno di noi appiccicherebbe l’avverbio non anche se a suggerircelo non fosse un antropologo francese di fama.
Non mi risulta infatti, ma forse ora con la sola eccezione della Francia, che esistano daspo concernenti delle rotonde.
Le rotonde fanno schifo anche ai reietti.

Bene fanno i Gilets Jaunes a occupare le rotonde. La questione è quale lezione (dal sottotitolo dell’articolo di Paul Torino e Adrian Wohllebn ) trarne.
Nella interpretazione acefalizzata di Meme con la forza si tratta in effetti degli stramaledetti non luoghi, occultati e riproposti in chiave riottosa.
Comunque sia, la debolezza del punto di vista di Torino e Wohllebn è la stessa che accompagna la malfamante categoria analitica. I non luoghi lungi dall’essere spazi stranianti, acefali o cosmopoliti, sono semplicemente zone a cui nessuno vuol davvero bene e che quindi possiamo desiderare fugacemente (quando siamo in cerca di disimpegnati esotismi atmosferici e linguistici) o odiare ferocemente, senza che nessuno, in fin dei conti, se l’abbia troppo a male.
A parte i Gilets Jaunes e i frascatani chi mai si difenderebbe una rotonda?

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Una bellissima rotonda a Frascati adatta alla sperimentazione di piccoli riot

Ma il non luogo è ovviamente anche un’illusione, una distorsione sentimentale frutto dell’eterna pratica di appropriazione amorosa/morbosa delle cose.
I canili sono forse pieni di non cani perché nessun padrone li ama? Si tratta invece di animali la cui libertà è subordinata ad un rapporto “sentimentale”, perché straziante, viscerale e sentimentale è l’educazione giovanile verso la proprietà privata. I romantici sono degli aguzzini gargarozzoni.
Estremamente interessante allora il fatto che l’altra caratteristica fondamentale che Torino e Wohllebn colgono nelle lotte dei Gilets Jaunes, ciò che le rende “vocazionalmente” vaccinate alle intromissioni fasciste (secondo gli autori), è proprio la mancanza di qualsiasi forma di negoziazione con la proprietà privata. I Gilets Jaunes giungono dalle rotonde alle piazze per spaccare tutto, facendo a pezzi il baluardo di fronte a cui si genuflette anche il sedicente radicalismo fascista: la grande proprietà privata. L’attacco alla proprietà privata trasforma le piazze in rotonde.
Mentre Notre-Dame brucia qualche illuminato urbanista rimugina sul bizzarro arredo urbano che potrà inventare in uno spazio improvvisamente e imprevedibilmente resosi disponibile a divenire rotatoria.

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La rotatoria di Colleferro dedicata al capitalismo multiplanetario (lanciatore Vega)

Sulla presunta capacità connaturata di tenere fuori i fascismi nutro seri dubbi. D’altronde, sono gli stessi due autori a riconoscere che c’è stata una volontà precisa di cacciare i  fascisti dalla barricate ogni qualvolta si siano identificati con vessilli e simbologie.
La pratica dell’assalto alle zone dei ricchi e la sistematica distruzione non fanno quindi il paio con il feticismo per i non luoghi, ma conducono altrove. Un corpo senza testa che s’abbatte con violenza sulla proprietà privata non è immune dal fascismo. Ma sopratutto: un non luogo è incapace di generare conflitto, di esserne la piattaforma d’appoggio.
Va rintracciata allora l’affordance delle rotonde per comprenderne, nel suo ribaltamento logico, il carattere conflittuale (negativo in senso adorniano) che le fa mordere, le fa fare tutto a pezzi e infine le fa inghiottire. Non saranno né il “genuino” (la vicinanza alla vita reale), né il “buon selvaggio” (ragionare col cuore) a farlo per noi. Non c’è pratica automatica che ci metterà al riparo dal fascismo se non ci mettiamo anche la testa e un bel po’ di pregiudiziali a monte.

Le rotonde non sono un oggetto familiare più di quanto non lo sia una piazza. Sono oggetti ostili senza compromessi laddove le piazze ricorrono alla cosmesi per fingersi spazio amichevole e collettivo. Ma quando il mascara inizia a graffiare l’asfalto (quando iniziano a emergere le politiche del decoro, i suoi daspo e le zone rosse dell’interdizione), allora il crudele ridestarsi dall’illusoria pace sociale, l’aver toccato il fondo della credulità beota, fa apprezzare anche la brutale onestà intellettuale sbandierata dalle rotatorie. Confonderle per degli spontanei alleati è quindi comprensibile, ma occorre andare oltre questo lancinante bisogno d’affetto che ci ottunde i sensi, che ci fa scodinzolare ogni qual volta qualcuno ci tende la mano scevra da randello.
Provate ad attraversare una piazza cittadina, meglio se centrale e nota come il vanto della comunità perbenista. Notate un certo impaccio emotivo? Udite la frequenza dell’odore del mascara che graffia i cofani delle automobili ivi ammonticchiate? Sì? Strano in verità, le piazze nascono invece per far sentire a proprio agio la comunità, per strapparci alla dimensione privata del nostro confortevole salotto. Le piazze sono la comunità umana.
La verità è che il capitale è più adorniano di noi e il ribaltamento logico, il negativo, lo ha attuato da tempo manipolando efficacemente le affordance. Ha chirurgicamente individuato il ruolo centripeto delle piazze e lo ha silenziato trasformandole in luoghi ostili e respingenti.

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Ufociclisti accertano l’impulso centrifugo, il ribaltamento d’affordance, di una piazza a Omegna

Le piazze si sono trasformate così in trappole che ci attirano per poi mortificarci emotivamente. Ancora più concretamente, ci attraggono centripetamente per poi identificarci con sistemi di riconoscimento facciale, con fermi e identificazioni qualora si sia involontariamente varcata una zona rossa immateriale, come bene sanno gli anti-facial recognition di Hong Kong.
L’attrazione-trappola si trasforma quindi in repulsione-daspo, allontanamento, respingimento entro la vuota formula del decoro, sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole, senza che nessuno ci faccia veramente caso. Se di decoro si tratta allora tutto è ammesso, dato che altro non ci resta. Si tratta del principio d’identità tra la piazza e il “monumentale” salotto (piccolo borghese) di casa, entrambi interfaccia pubblica del grigiore e della reclusione casalinghi. La piazza va tenuta religiosamente “pulita” come il salotto di rappresentanza. Guai a farci cadere le briciole.

Gli ufociclisti ereditano dalla pratica psicogeografia il concetto di piattaforma girevole per descrivere quei luoghi del transito che invitano, costringono, forzano la rotazione. La piattaforma girevole, ufociclisticamente, potrebbe avere anche una seconda definizione: l’opposto della piazza. La sua affordance è infatti spontaneamente centrifuga, sparpagliatrice. Si tratta a tutti gli effetti di un mulinello, o di un tornado: dipende dalle dimensione ed è direttamente proporzionale al numero di direttrici di fuga. La rotonda di Frascati sopra fotografata è un mulinello.

La rotonda spazza un’ampia superficie e in questo suo creare caotici flussi ha anche un ruolo rigeneratore.
Se analizzata attraverso la sua affordance (piattaforma girevole) la rotatoria si tramuta da tracciato di un cerchioide a pianale rotante, su cui una volta saliti si assiste, da un sistema di riferimento inerziale non solidale con esso, a “bizzarri” fenomeni fisici.

Le cose che accadono su una piattaforma girevole sono incomprensibili per chi le osserva da fuori, e similmente collocandoci su una piattaforma girevole ci sfuggiranno le leggi che regolano il mondo di chi sta fuori e non rotea con noi.
Cosa accade quando si occupa una rotonda quindi? Si procede alla stessa operazione portata a termine dal capitale rispetto alle piazze, ma con effetti diametralmente opposti: la repulsione-daspo si trasforma in attrazione-trappola.
Occupare una rotonda significa quindi deturnarne la funzione, sovvertire la sua affordance, silenziarla.
La possibile “trappola” sta nel rischio di non riuscire più bene a comprendere cosa accada ai sistemi di riferimento che ad essa non sono solidali, finendo per vivere felicemente con Ballard in un’isola di cemento (il ghetto).
Ecco mi pare questa la “lezione” (almeno una) che ci proviene dai Gilets Jaunes, la capacità di trasformare il territorio a partire dalle affordance espresse dagli oggetti che lo caratterizzano. Una scelta tutt’altro che romantica, che non scomoda l’Illuminismo e Rousseau.
Questo è anche il senso politico dell’UfoCiclismo: individuare gli oggetti che caratterizzano il territorio (e la sua solidificazione cognitiva, la mappa) e resettarli attraverso strategie d’affordance conflittuale pilotata. Conferire un significato diverso al territorio individuandone i puntelli della struttura spaziotempo che lo tengono in piedi e dispiegato.

E’ quindi del tutto normale (anche se non scontato) che le rotonde divengano i luoghi privilegiati del conflitto, sopratutto laddove la lotta è prioritariamente un scontro per la coesione della comunità, contro le forze disgregatrici che operano affinché ci si senta tutti contro tutti, gli uni contro le altre. Spegnere le rotonde! Silenziale le piazze deturnate! Altro che oggetti familiari!
Si tratta di una battaglia tutt’altro che simbolica, che si spinge fin dentro al funzionamento dei meccanismi di definizione e strutturazione spaziale.

Anche la massa critica ciclistica ha una propria strategia d’affordance conflittuale specifica per le rotonde. Dal punto di vista della tattica i risultati ottenuti sono esattamente gli stessi (il silenziamento dell’affordance dispersiva), anche se fenomenologicamente il risultato è molto diverso.
Dato che come abbiamo visto l’affordance della rotonda (piattaforma girevole) è intrinsecamente centrifuga, la massa critica si compatta e inizia a roteare attorno ad essa resistendo alla sua capacità di “farla a pezzi”. Tanto più la massa critica rotea, tanto più essa resiste agli effetti “naturali” della rotonda, sfidandone il ruolo all’interno del contesto spaziale, minando il suo operato. Sovvertendo gli effetti della rotatoria, la massa critica mette in crisi il sistema dei flussi e delle circolazioni che, in condizioni non conflittuali, plasmano lo spazio circostante rendendolo ciò che quotidianamente (e nella sua monotonia) esso è.

Sopra tre esempi di massa critica alle prese con una piattaforma girevole.
Nel terzo video sono anche udibili due fronti sonici (massa critica ciclistica e automobili) che si affrontano per l’egemonia atmosferica della rotonda (si veda anche Le UDA armoniche).
Occupare una piattaforma girevole significa, in questo senso, salire su di un “disco volante”, trasformando il proprio e l’altri punto di vista.
Le piattaforme girevoli avevano già oltremodo interessato i situazionisti e quindi, ancora una volta, non deve sorprende più di tanto che questa storia si ripeta in una Francia in subbuglio.
Nel filmato che segue un altro esempio di approccio critico alle rotonde.

In fine, come ci si allena a sconfiggere una piattaforma girevole:

 

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Piattaforma girevole volante miniaturizzata

 

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Come si ritonalizza una zona rossa – Sea Watch 3

Il conflitto atmosferico è una categoria cartografica condivisa dall’UfoCiclismo e dall’Associazione Psicogeografica Romana, di cui quest’ultima è stata promulgatrice attiva.
L’urgenza di leggere le atmosfere (gli stati d’animo espressi dai luoghi) usandole come unità di misura di uno spazio, concerne l’aspetto molto complicato del dominio atmosferico negli spazi antropici. La costruzione della città, ad esempio, va di pari passo con la costruzione strategica degli stati d’animo che in essa devono prevalere (la paura, l’anomia, la distrazione, il disincanto, l’erotizzazione ad esempio): il design emotivo o atmosferico è una disciplina psicopolitica oggi fortemente virata sulla pratica dell’Unpleasant Design che definisce le preventive regole d’ingaggio contro lo stazionamento.

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Esempio di Unpleasant Design (Roma – Torpignattara). Meglio rischiare d’inciampare e spaccarsi la testa, che vedere qualcuno stazionare sul proprio uscio di casa.

Abbiamo definito esaustivamente almeno due tipi di conflitto atmosferico: del tipo 1 e del tipo 2. Il primo tipo è quello più “onomatopeico” e riguarda le lotte tra fazioni (potremmo dire tra gruppi sociali pertinenti) per la definizione di un’atmosfera invece di un’altra.
Il secondo tipo è meno intuitivo e riguarda il concetto di limite: il limite a cui tendono i perimetri di due spazi aventi diverse atmosfere UDA, forma una cosiddetta zona d’interferenza in cui si produce un conflitto tra atmosfere aventi diverso tenore. Il secondo tipo di conflitto ha una sua analogia con la metereologia.
Le due definizioni s’unificano qualora si consideri il conflitto come risultante dell’opposizione di due o più atmosfere in rivalità tra loro: due atmosfere opposte confliggono producendo una zona d’interferenza qualora due diverse visioni del mondo si fronteggino.

La lotta di classe (intesa genericamente come lotta tra diverse visioni del mondo) è prioritariamente un conflitto atmosferico di quest’ultimo tipo: il tentativo egemonico d’imporre un’atmosfera sensoriale, culturale, emotiva su un dato spazio.
Il primo compito della lotta di classe è quindi quello di ribaltare la narrazione sedimentata, sostituendola con una narrazione inversamente polarizzata.
In questo senso l’UfoCiclismo ha dichiarato guerra alla distopia fascista oggi avanzante, anche in coloro che inconsapevolmente la supportano, quando ribadiscono insistentemente che non c’è via di scampo.

Esistono molte varianti di conflitto atmosferico, per così dire, normalizzato (tipo1 + tipo 2).
Esiste ad esempio, da qualche decennio, il terrorismo atmosferico, quella contagiosa paura trasmessa circa l’evolvere dei fenomeni atmosferici. Ondate di caldo straordinarie, bombe d’acqua, inverni interminabili, venti conduttori di fiamme, sono solo gli attributi di una narrazione più generale chiamata Antropocene, che scientificamente rafforza l’atmosfera di terrore per le condizioni metereologiche. Ovviamente non si tratta di sminuire l’allarme diffuso dagli evidenti cambiamenti climatici; la tensione di cui stiamo parlando non fa riferimento all’azione scellerata del capitale sull’ambiente terrestre, ma tratta implicitamente il clima come una variabile impazzita. Si tratta invece di registrare e verificare come questa narrazione puntelli i terroristici allarmi rivolti a una metereologia ormai genericamente ritenuta un killer seriale totalmente fuori controllo.

Esiste il conflitto extra-atmosferico, come vocazione del capitalismo contemporaneo (space economy – NewSpace) a traslare il proprio operato dalla biosfera terrestre oltre i limiti dell’esosfera e ancora oltre.
Qui il conflitto atmosferico si consuma come applicazione del sistema di produzione capitalistico allo spazio alieno, in una sorta di colonialismo “verticale” laddove, finora, il capitale si era dovuto geometricamente limitare nella sua espansione.
L’extra-atmosfericità ci dice, inoltre, che le atmosfere non sono l’unica variabile su cui misurare la continuità di uno spazio. Ma su ciò al momento non ci soffermeremo.

Vocazionalmente l’UfoCiclismo, così come la Psicogeografia, hanno privilegiato, per le loro analisi sul conflitto, gli spazi antropici (quelli fortemente segnati dall’azione modificatrice umana), la città sopratutto; ma questa idea è sbagliata, come fragile sopravvivenza della centralità della metropoli novecentesca. A suo modo, si tratta addirittura di un’idea involontariamente elitistica e forse un po’ razzista.
Il dibattito sull’Antropocene è la spia del fatto che non esiste luogo terrestre non interessato dalla azione umana radicalmente modificatrice (come è ovvio che sia). Sopratutto non esiste luogo del pianeta non interessato dall’azione modificatrice del capitale (Capitalocene). Non esiste, in altre parole, luogo che non sia biopolitico.
Il conflitto extra-atmosferico e il terrorismo atmosferico dimostrano che il conflitto atmosferico è generalizzato, e condotto indifferenziatamente su tutta la costa terrestre e, se occorre, anche oltre.

Ma come suggerisce Herzog, vale la pena spiccare il volo, a volte, per immergersi più efficacemente nei segreti delle profondità del mare.
Se osservato superficialmente, il mare resta il luogo terrestre che meglio cela l’azione antropica, e di conseguenza la propria natura biopolitica. Ovviamente nulla di più falso; ed è sorprendente proprio come questo suo difformarsi dall’esser a immagine e somiglianza dalle spinte neoliberiste, sia inversamente proporzionale al numero di agenti atmosferici ostili che in esso terroristicamente riversiamo.
In questa sua difformità esso appare quanto di più distante dal potersi considerare un’UDA, cioè uno spazio caratterizzato da un’atmosfera. In esso, nella stragrande maggioranza dei casi, mancano quegli elementi segnalatori che fanno dell’UDA ciò che essa è: tonal e totem d’incongruenza.

La vicenda della Sea watch 3 è solo l’ennesimo reportage da una zona di guerra. Ma la sua narrazione ha qualcosa di nuovo. Ci riferiamo al grafico che mostra i suoi spostamenti intorno all’isola di Lampedusa nei giorni prima del forzato blocco verso l’approdo italiano, che è stato utilizzato da più di un organo d’informazione.

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Può forse sfuggire il senso di quell’andirivieni confuso e scarabocchiato, ma si tratta a tutti gli effetti di un diagramma biopolitico, capace di dotare di atmosfera quel tratto apparente anomico di mare.
Si tratta del medesimo ondivago altalenare che nelle città si applica a colpi di leggi speciali, zone rosse, transenne, New jersey e divieti di stazionamento, che dotano gli spazi di una tonalizzazione atmosferica sempre meno ricca di sfumature: sempre più centrata sul colore dell’esclusione e dei moti centrifughi.

Vale la pena riascoltare quello che ha sostenuto Paolo di Vetta durante il quarto convegno di Mars Beyond Mars, a proposito delle strategia di generazione di uno stato perennemente emergenziale. La negazione di un approdo, in mare, come su terra ferma, è tutto insito al mantenimento in vita dello stato di alterazione sensoriale, di modellazione di un design atmosferico, che ci racchiude in un perpetuo (e dromologico, in senso viriliano) stato di timore da invasione: la distopia che avanza.

Ufociclisticamente abbiamo assegnato un valore specifico a grafici come quello prodotto della Sea Watch 3. Si tratta dello strumento analitico del camminamento.
Il primo modo di accertare il “carattere” dell’UDA è proprio quella di attraversala, registrando i cambi di rotta, le deviazioni, le ricorsioni, i ripensamenti e gli inviti che lo spazio c’impone e ci propone attraverso i suoi psico-dissuasori, le sue affordance attrattive e i suoi attrattori.
Non ci addentreremo troppo nella tecnica, che potete leggervi in questo rapporto. Tra l’altro il gran numero di ricorsioni che il diagramma ha prodotto lo rendono troppo difficilmente interpretabile secondo la teoria dei nodi elaborata.
Tuttavia un’idea dell’atmosfera che in quell’UDA s’impone, emerge anche solo a uno sguardo diffuso, come conformazione emergente: costellazione.
Si tratta a tutti gli effetti di un’immensa e smisurata zona rossa, arbitrariamente preclusa e la cui unica ritonalizzazione consiste nella forzatura del blocco.
E’ ben visibile lo spazio invisibile d’azione dei deflettori, disegnato dal peregrinare della Sea Watch 3

Altro non potevano fare il capitano Carola Rackete e il suo equipaggio. Altro non possiamo fare tutti noi.
Al di là dell’azione umanitaria, necessaria e imprescindibile, li ringraziamo per averci mostrato pragmaticamente come si contiene il racconto della distopia e contemporaneamente come si demolisce una zona rossa.

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XV Ricognizione ufociclistica – pre Ciemmona Interplanetraia 2019

La XV ricognizione ufociclistica è stata di sostegno alla XVI Critical Mass Interplanetaria 2019. Lo scopo della pedalata è stato quello di portare in giro per Roma un piccolissimo anticipo di Ciemmona, comunicando con il tessuto cittadino e diffondendo l’appuntamento del 31 maggio, 1 e 2 giugno. Lo abbiamo fatto oltremodo telepaticamente.
Per l’occasione sono stati impiegati due dei tre risciò (quadricicli autocostruiti) trasformati in dischi volanti dagli xenoingegneri ciclomeccanici della Critical Mass realizzati nelle Area51 di Forte Prenestino e di Porto Fluviale. Quest’anno si è deciso di dare una connotazione ai tre giorni della Ciemmona al motto di No Borders! Per raccontare un tema tanto drammatico, si è scelta la metafora aliena: l’alieno come migrante, ma anche come prodotto residuale delle politiche d’esclusione oggi divenute priorità di molti governi occidentali: pratiche centrifughe all’indirizzo della periferia del sistema solare. Ancora e diversamente, l’alieno come valorizzazione del proprio essere altro da un progetto di città e più complessivamente di spazio, che non ci è mai appartenuto: siamo tutti alieni e nessuno è più alieno degli altri (si veda anche Traces of Extraterrestrial Organic Matter Have Been Found in South Africa’s Mountains e Cause of Cambrian Explosion – Terrestrial or Cosmic?).

Il punto di raccolta era a piazza Vittorio, tradizionale luogo di ritrovo della Critical Mass mensile (ogni ultimo venerdì del mese).
Dell’UDA di piazza Vittorio abbiamo raccontato molte volte. Si tratta di un luogo molto peculiare a Roma: spazio tra i primi a sperimentare forme virtuose di comunità pluriculturali, oggi soprannominata anche la “Chinatown romana” per via del gran numero di esercizi gestiti dalla comunità cinese.
In una Roma in endemico ritardo su qualsiasi innovazione, sorprendeva, ancora una decina di anni fa, vedere giocare assieme bambini di provenienza latino americana, con figli di immigrati asiatici, arabi e africani.

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Disco Volante modello Ufocicletta

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Disco volante modello Invasione Ufo

Ma a due passi da piazza Vittorio c’è anche la tristemente famosa sede fascista  Casapound. Sempre qui c’è l’incontro mensile della CM e per moltissimi anni è stata la sede di uno dei più famosi e caratteristici bazar romani: MAS Magazzini Allo statuto.
Al centro della piazza c’è un giardino in cui anni fa si svolgeva uno dei frammenti più caratteristici dell’Estate Romana. Ancora, nei giardini s’erge la Porta Alchemica (o Porta Magica) monumento esoterico e poco noto agli stessi romani.
Abbiamo più volte raccontato della traslazione della funzione di tonal dalla Porta Alchemica alla sede di Casapound avvenuta negli anni Novanta/Duemila: l’oggetto aggregatore d’atmosfere che disegna le emozioni prevalenti all’interno dell’UDA.
In questa strana atmosfera la CM, anche se solo di passaggio, costituisce un totem d’incongruenza intermittente che si contrappone come conflitto atmosferico (del tipo 1) alla colorazione proposta dal tonal. Anche grazie alla CM questa piazza resta ancora un luogo dall’aria respirabile, nonostante la presenza distopica di un tanto ingombrante residuo della neo-restaurazione.

Partiamo quindi da qui in direzione della nostra prima meta: la festa per i 42 anni di Radio Onda Rossa nel limitrofo quartiere di San Lorenzo.

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Passiamo per via Principe Eugenio con i due risciò disco volante e una massa festante d’alieni a circondarli. Sul lato opposto a quello visibile in foto in un’altra ricognizione scoprimmo un’UDA armonica capace di tonalizzare temporaneamente una limitata parte di spazio. Nello stesso rapporto sopra linkato accennammo all’esistenza degli “ordigni sonici”, oggetti capaci di tonalizzare armonicamente lo spazio attraversato contrastando le atmosfere ivi sedimentate. Nel video che segue è udibile l’ordigno sonico proiettato dal disco volante modello Invasione Ufo circondato da alcuni ricognitori:

Affrontiamo il sottopasso di S. Bibiana. Si tratta, come quasi sempre per i sottopassi, di uno psico-dissuasore. Da poco tempo è stata disegnata una pista ciclabile ufficiale che ha sostituito la ciclabile più volte spontaneamente e clandestinamente tracciata dai ciclisti urbani.
In questo passaggio i pedivellatori si trovano a dover condividere lo spazio con le automobili in costante accelerazione: una sorta di allucinazione da sprint finale. Per questa ragione l’entrata a San Lorenzo da questo lato di Roma si presenta con una sua precisa funzione dissuasiva. Quando la Massa Critica incontra uno psico-dissuasore inizia a urlare e ululare (si veda: Come affrontare uno psico-dissuasore) per contrastarlo (si veda anche: Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione).

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La ricognizione appena varcate le tenebre dello psico-dissuasore

Dopo qualche centinaio di metri la ricognizione giunge sotto la sede di Radio Onda Rossa, dove la festa di compleanno è già iniziata (foto che segue).

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La ricognizione pre-Ciemmonica giunta a via dei Volsci, sede di ROR

Abbiamo anche girato il filmato dell’arrivo trionfale stile Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo come alieni liberatori; gli astanti paiono felici di vederci e di essere “invasi”:

Radio Onda Rossa, come le occupazioni di Cinema Palazzo, di Esc e di Communia  rappresentano (con le loro differenze) gli ultimi avamposti di un quartiere in profondo mutamento. Da “roccaforte antagonista” degli anni Settanta-Ottanta, San Lorenzo sta lentamente mutando aspetto, schiacciato da processi di gentrificazione selvaggia e tentativi ripetuti da parte dei neofascisti di appropriarsi del quartiere, sfruttando in modo sciacallesco gravi fatti di cronaca (si veda questo articolo ad esempio). Ma sono proprio gli spazi sopra citati, luoghi in cui si manifesta un quartiere diverso, che resiste (coadiuvato da tutta l’area antagonista), alla tentazione di ridurre un tessuto cittadino molto più complesso e virtuoso a un racconto horror-grottesco: terreno di gioco privilegiato di fascisti e speculatori.

Nel video qui sopra la ricognizione si allontana dalla festa attraversando il quartiere. Gli astanti che incontra sono visibilmente felici del suo passaggio. Si tratta di un punto di vista privilegiato; spesso nelle cronache degli avvistamenti UFO è quest’ultimo a essere inquadrato e immortalato. Queste sono le prime riprese mai effettuate da un UFO delle persone che lo stanno a guardare. Scopriamo allora che al passaggio degli oggetti volanti non-identificati, le persone sorridono e fanno ciao ciao con la mano. Forse, in fondo, c’è più gente di quella che crediamo in attesa di un’invasione aliena (a questo proposito si legga: Il problema dei tre corpi di Liu Cixin, ma anche Le tre stimmate di Palmer Eldritch di P. K. Dick).
Salutata quindi ROR (ma con la promessa di tornare più tardi), la ricognizione si è messa in moto nella direzione di Scalo San Lorenzo, imbattendosi però subito in una affordance attrattiva.

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Non abbiamo ben capito di cosa si trattasse: una festa, un’inaugurazione, una loggia massonica. Comunque sia la ricognizione accortasi della presenza di un gruppuscolo di gente allegra, l’ha invasa, aggregandosi con lo scopo di distribuire volantini della Ciemmona e di scroccare qualche cosa da mangiare (i ciclisti sono sempre in cerca di cibo, come certi personaggi del neolitico). La cosa è durata poco: subito dopo infatti i ricognitori sono ripartiti in direzione del Pigneto, altro luogo topico della Roma “alternativa”.

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La ricognizione in procinto d’abbandonare l’affordance attrattiva

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Nella foto precedente un po’ di cose: un alieno (grigio) si fa un selfie indossando la maglietta del Luther Blissett Project. Nello stesso istante la sua ufocicletta (biposto) sta transitando per l’omphalos di piazza di Porta Maggiore (si veda anche: Il purismo archeologico di Romano Talone) origine di molte ley line romane nonché dirimpettaia di una potente UDA armonica (si veda Le UDA armoniche – atto primo).
Alle sue spalle è evidentemente visibile un UFO [probabilmente un disco volante modello Invasione UFO – IR1 (incontro ravvicinato del primo tipo)] che da definizione percorre una ley line: la stessa intrapresa dalla ufocicletta del grigio e copilota.
Fin qui nulla di strano quindi, tanto più che, come mostra la mappa, la ley line percorsa è di tipo – – (meno, meno) che nella teoria ufociclistica del contatto denota un oggetto volante non identificato in procinto di rallentare e, quindi probabilmente, intenzionato a entrare in contatto con i terrestri.

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Mappa della ley line percorsa dai dischi volanti (clicca per ingrandire)

Sulla mappa sono visibili: l’omphalos di Porta Maggiore, la ley line (vettore) prodotta dal passaggio dei dischi volanti, direzione e verso del vettore [la freccia – mentre l’intensità data dal potenziale gravitazionale è di tipo – – (meno, meno) – si veda l’atlante per approfondimenti]. L’area (UDA ) tonalizzata in [Hex (#): 0063A5] (si vedano la tavola cromatica degli stati d’animo e questo rapporto) è ben nota agli ufociclisti. Si tratta di uno spazio caratterizzato da un’altissima concentrazione di esomediatori (si veda: Esomediatori – Frascati) di notevole importanza per l’universo cattolico. Dato che una ley line deve essere evidenziata da almeno tre segnalatori, la nostra ley line così si articola: Porta Maggiore, San Giovanni/Manzoni, Villa Celimontana. Su quest’ultima non abbiamo molto da dire se non che si tratta di una importante villa nel contesto della città, ma su cui ancora non abbiamo prodotto ricognizioni e rapporti. Gli altri due segnalatori sono appunto un omphalos e un’UDA esomediatrice (l’esomediatore, per definizione, non è mai un’UDA contattistica).

Ora il fatto anomalo è che pur nella sua condotta pressoché perfetta, la ricognizione ufociclistica senta, ad un certo punto, la necessità di mutare rotta invertendo la direzione del vettore, trasformandosi quindi in una ley line – + (meno, più), ovvero tutt’altro che contattistica. In prima approssimazione potrebbe trattarsi proprio dell’influenza del vicino potente esomediatore che, come dicevamo, non è mai di natura contattistica. In questo caso l’esomediatore assume anche il ruolo topografico di un deflettore o psico-dissuasore.

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Trasformazione del vettore

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La ricognizione ha invertito la direzione del vettore (ley line)

In seconda approssimazione potrebbe più semplicemente trattarsi del fatto che per raggiungere la meta era necessario fare inversione: intercettare il quartiere Pigneto che si trova nel verso opposto dell’esomediatore. Senza voler necessariamente sovrainterpretare, ci accontenteremo di questa seconda (semplicistica) spiegazione, non omettendo però di sottolineare l’anomalia ufologica.

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La ricognizione taglia un altro monumento cittadino: la Tangenziale Est

La tangenziale (visibile nella foto sopra) ufociclisticamente è un’intersezione. Si tratta di un taglio “sociopatico” (si veda la ricognizione Intersezione Togliatti), uno squarcio che si apre nel tessuto cittadino lambendo e tagliando molte UDA (Unità D’Ambiance), ma non restandone mai contaminato. Dal nostro punto di vista si tratta di un oggetto particolarmente interessante proprio perché impermeabile all’influenza atmosferica (delle atmosfere): metaforicamente forse un “ombrello” per i conflitti atmosferici del tipo 1 e 2. .

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La ricognizione tratto poco prima di giungere all’isola pedonale del Pigneto. Sulla sinistra sono visibili i palazzi al limone

Nel video precedente la ricognizione ufociclistica entra nell’isola pedonale del Pigneto. In sottofondo, manco a farlo apposta, le note del brano UfoCiclismo irradiate dal disco volante modello Invasione UFO.

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Una pausa per distribuire materiale informativo e mood esoplanetario

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Nella foto precedente: la ricognizione ha lasciato il Pigneto e si è immesso nuovamente su via Prenestina. La foto inoltre svela uno dei segreti della propulsione del disco volante Invasione aliena, con due (ma spesso più) ricognitori che apportano un surplus d’energia muscolare nei tratti gravitazionalmente impervi.

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Nella foto sopra: la ricognizione giunge a piazza Nuccitelli, attrattore della zona. La piazzetta costantemente sotto attacco da parte di sciacalli che vorrebbero trasformarla in uno spazio privato su cui piantare le radici dei tavolini da bar, è un luogo d’aggregazione e di sperimentazione per quel che riguarda, ad esempio, le aree di verde pubblico.

Spesso a piazza Nuccitelli si ritrovano ciclisti in vena di chiacchiere. Anche questa volta ne abbiamo incontrati alcuni abdotti, poi, per la Ciemmona.
Ci fermiamo parecchio e quando ripartiamo già sta calando la sera. La prossima meta è, di nuovo, la festa di ROR.

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Eccoci nuovamente.
Ci fermiamo un po’ essendo quasi completamente mutata la composizione di compagni e avventori al compleanno della radio, rispetto al pomeriggio. Un’altra occasione per raccontare cosa stiamo facendo e cosa accadrà nei giorni della CM Interplanetaria.
Ma la ricognizione non è ancora finita. Tra poco inizia la festa Mind the Gap nel vicino ateneo La Sapienza.
Ci rimettiamo quindi in cammino (foto che segue).

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In foto è visibile un alieno verde

Non senza qualche difficoltà brillantemente superata riusciamo a entrare a La Sapienza dove la festa è già iniziata. Si stanno esibendo delle band che suonano musiche varie. Proprio vicino al piazzale della facoltà di Fisica, dove la festa si sta svolgendo, c’è il piazzale della Minerva, una piattaforma girevole, oggetto rotante a cui nessun ciclista urbano può resistere. S’innesca così il momento angolare della ricognizione:

Un’ultima foto (sotto) al disco volante modello Invasione UFO atterrato proprio nel bel mezzo del Mind the Gap e da tutti gli astanti ammirato:

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L’intera mappa della ricognizione (clicca per ingrandire)

Sulla festa alla Sapienza, il giorno dopo, la consueta “informazione” distopica e il racconto horror-grottesco che disegna la realtà (foto sotto).

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Nella foto ci finiscono pure i due dischi volanti della ricognizione. Un racconto tremebondo composto (come una pozione) da luoghi comuni e allarmismi un tanto al chilo, scritto forse per invocare il “pugno di ferro” anche sui fenomeni ufologici (come se già non lo facessero gli ufologi di professione: si veda Esomediatori – Frascati e anche Chi sono gli ufologi).
La ricognizione invece ha aperto uno spazio ucronico nelle complesse vicende di questo quadrante di Roma.

Ci vediamo nel futuro!

Ciemmona Interplanetaria 2019 – No Borders

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Il quarto corpo celeste (di questo sistema).

La Critical Mass Interplanetaria (detta Ciemmona) è l’appuntamento ciclistico che si tiene tutti gli anni, dal 2004, nelle città e sulle strade italiane. Tre giorni festosi in giro con la bicicletta. Tre appuntamenti e una massa critica di ciclisti provenienti da tutta Italia ed Europa che si incontrano per pedalare, costruire biciclette, produrre momenti di ciclistica socialità, riappropriarsi degli spazi cittadini.
Per dettagli: https://ciemmona.noblogs.org/

La Ciemmona quest’anno è tornata a Roma ed è sempre più no borders e interplanetaria.
Tra i suoi principi costitutivi c’è, come sempre, quello della libertà per ogniunU di viverla secondo i propri valori, purché in un ottica di condivisione, antifascista, antirazzista e antisessista. Nella sua sedicesima edizione la Ciemmona sarà anche vocazionalmente antispecista perché la fine dei confini, dei muri e delle recinzioni dovrà esserlo per tutto il vivente senziente, di questo e di altri pianeti. Oppure non sarà affatto.

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Abduction da parte di un disco volante

Molti “anti” che spalancano su un pluricosmo di gioiose alleanze e d’eso-inclusioni.
La muscolopropulsione di questo ritorno sta nell’urgenza e nell’impegno espressi dalle ciclofficine popolari, dagli spazi autogestiti, dalle singolarità, per cui la bicicletta, la condivisione, l’autogestione, la festa, rappresentano alternative, mondi possibili, rispetto agli spazi cittadini tenuti sotto scacco dalle automobili, dagli idrocarburi e dal pizzardone astratto: celle di contenzione, anelli di quella catena di recinzioni che il 31 maggio e l’1 e il 2 giugno la massa critica ha dimostrato di poter festosamente spezzare.

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La fabbrica dei dischi volanti

No borders è il racconto che la Ciemmona ha l’urgenza di narrare come storia umana di dolorose migrazioni e di odiosi approdi negati. Ma è anche la storia della forza centrifuga espressa dalle forme del design ostile, pensato per renderci tutti indesiderati e alieni (animali inclusi) nelle città. Ancora, è la storia dell’ostilità verso le occupazioni abitative e verso quegli spazi sociali che, in varie forme, sono stati negli anni restituiti alla città e a chi la abita.
No borders vuole essere quindi la storia di alieni che si riappropriano della forza espressa dalla propria alterità.
Siamo tutti alieni e nessuno lo è più dagli altri!

La Ciemmona Interplanetaria 2019 è tornata a Roma grazie al lavoro congiunto delle Ciclofficine Popolari di Roma e degli spazi Autogestiti e Occupati che hanno partecipato come: Forte Prenestino, Acrobax e Officine Zero.

da ufo

Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione

Gli spazi antropici possono generare o farsi investire da atmosfere che, seppur prioritarie, sono sempre e solo quelle prevalenti, rispetto ad altre compresenti ma minoritarie se non addirittura triviali. Abbiamo definito tali spazi UDA, ovvero Unità D’Ambiance cercando di dar loro un perimetro, un limite, che ne delimiti l’influenza, onde cogliere lo scarto con altre UDA adiacenti.
L’idea che l’UDA sia qualcosa di non permeabile è comunque del tutto errata.
Da un punto di vista euristico non c’è differenza tra la percezione che si riceve e quella che si trasmette all’ambiente, dato che, in ultima analisi, l’elaboratore e il percettore di sensazioni coincidono: la pelle, la carne, con tutti i suoi differenziati organi sensori.
Tale dispositivo, o AI come suggerisce di definirlo l’Associazione Psicogeografica Romana (APR), non può che operare una distinzione convenzionale tra ciò che investe i propri sensi e ciò che i propri sensi hanno irradiato. Questo dato è inestricabilmente immanente e bisogna farci pace.

Un modo piuttosto rapido per descrivere il carattere delle UDA è quello di associare ad esse un codice colore. L’UfoCiclismo ha sviluppato una specifica tavola cromatica degli stati d’animo proprio per questo scopo, con la consapevolezza, però, che emozioni e colori sono associabili in via del tutto denotativa, quando invece la percezione atmosferica (relativa alle atmosfere) dovrebbe essere un’esperienza il più possibile sinestetica e connotativa. Dagli occhi, la percezione primaria andrebbe ricacciata giù nella gola, passando per l’udito e l’olfatto fino al tatto, e magari esperita sincronicamente con i cinque o anche più sensi (per coloro che hanno scoperto di possederne d’ausiliari).

Non è quindi un fatto strano che qualcuno abbia scelto di definire rosse le zone della proscrizione: zone rosse.
La definizione che ne da la ligia Wikipedia è la seguente: “Con la locuzione zona rossa si definisce un’area soggetta ad un alto rischio di carattere ambientale, sociale o d’altro genere. Può essere istituita temporaneamente o definitivamente e può essere interdetta al pubblico“.
Accettando quindi come socialmente condivisa l’associazione emotiva tra rosso e pericolo, e altresì accettando il carattere arbitrario della sua competenza perimetrale (la zona rossa è uno spazio visibilmente perimetrato e delimitato da transenne, guardie, telecamere eccetera), vale la pena tentare di darne una più esaustiva, e meno superficiale, interpretazione cartografica.

Una zona rossa è a tutti gli effetti un’UDA a cui qualcuno ha attribuito il gradiente atmosferico rosso. Riferendoci alla tavola cromatica degli stati d’animo il rosso è compreso nel cluster 1-4 a cui negli anni gli ufociclisti hanno assegnato collegialmente questi attributi: “Ambiance ricca, varia, densa, strutturata” (si veda anche l’Atlante ufociclista pag. 112).
In effetti un’ambiance con tali attributi può facilmente divenire materia del contendere, innescare appetiti, al pari di un giacimento minerario, di una risorsa idrica, di uno spazio balneare, di una sorgente sulfurea eccetera, su cui qualcuno ha messo gli occhi, con l’intento di sottrarla alla collettività, di farne uno spazio privato escludendone arbitrariamente l’accesso ad altri.
Ne consegue che una volta individuata atmosfericamente una zona rossa (prima che qualcuno ne rivendichi di prepotenza il possesso) su di essa va preventivamente effettuato del conflitto atmosferico (del tipo 1), “degradandola”, rendendola non più appetibile, trasformandola in una barricata: “… costruzione di barricate simboliche come immondizia, graffiti, tag, stencil ostili, intollerabili, osceni. Sarà il caso di lasciare i cumuli volutamente senza manutenzione di modo che si popolino di cinghiali, ratti, insetti e gabbiani (bisognerà però scongiurare il ritorno della peste bubbonica con controlli capillari). In questo senso bisognerà costruire un giacimento (cuspide) senza manutenzione: osceno, indecente e disturbante.” (si veda anche l’Atlante ufociclista pag. 117).
Questa tattica ricorda quella impiegata da quegli animalisti che macchiano il manto degli animali considerati da pelliccia.

Una UDA rossa già individuata e perimetrata è così costituita:

1) psico-dissuasori: sono gli elementi immediatamente percepibili dell’avvenuta occupazione-usurpazione di una zona rossa. Alcuni psico-dissuasori sono: le transenne, le guardie, la presenza di ritmi nella segnaletica dei divieti (che culmina nel groviglio dei sensi vietati), la presenza di aviomezzi ben visibili e rombanti, un intorno di turisti e curiosi facenti funzione di cuscinetto tra il perimetro vero e proprio e le UDA circostanti (gergalmente chiamata carne da cannone dato che in caso di repentina e imprevista espansione della zona rossa questi saranno i primi a esserne tragicamente investiti, un po’ come accadde a Pompei ed Ercolano).
Su un asse funzionale gli psico-dissuasori si oppongono alle affordance attrattive, ovvero a quelle spontanee pulsioni a oltrepassare i limiti imposti dai primi. Una tipica tattica di superamento degli psico-dissuasori è la massa critica. Ad esempio quando la massa critica dei ciclisti urbani intraprende un sottopasso (psico-dissuasore perché generalmente inteso dagli automobilisti come rush finale prima di un allucinatorio traguardo) questa urla, ulula, fischia il vento e la bufera, onde ricacciare indietro la funzione dissuasiva.

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Ancora tecniche contro gli psico-dissuasori: Santiago di Cile 18 ottobre 2019

2) tonal: ogni UDA (e così anche una zona rossa) contiene al proprio interno un tonal che ne mantiene in vita il gradiente atmosferico. L’individuazione dell’oggetto che più rappresenta l’atmosfera è quindi un’operazione preliminare dell’individuazione di qualsiasi Unità D’Ambiance. Nelle zone rosse la sua localizzazione dovrebbe essere particolarmente semplice, almeno in teoria, dato che tra le motivazione ufficiali dell’instaurazione di un tale spazio della proscrizione, generalmente viene indicato il cosiddetto “obiettivo sensibile” da proteggere: spesso si tratta del tonal. Per la medesima ragione, quindi, agire direttamente sul tonal, facendogli perdere attrattiva e forza (conflitto atmosferico del tipo 1) è non di rado impossibile.
Le occupazioni autogestite (l’occupazione di uno spazio) sono tattiche utilizzate, più o meno consapevolmente, per “tenere a bada” il potere attrattivo di un tonal, quando la zona rossa non sia stata già militarmente instaurata.
L’alternativa è costituita allora dal totem d’incongruenza, una struttura sempre presente qualora esista il tonal. Il totem è la funzione inversa di quest’ultimo e ne bilancia la tonalizzazione: la caratterizzazione. Generalmente esso coincide con l’oggetto, la situazione “naturalmente” fuori posto nell’UDA esaminata. Qualora accessibile il totem è la struttura su cui intervenire, potenziandola, per ridurre l’influenza del tonal e per “sbiadire” il rosso della zona. A differenza del conflitto atmosferico e dell’atmosfera come barricata, il potenziamento del totem d’incongruenza è un processo di mutazione molto meno rapido, anche molto meno traumatico, in cui, alla fine, la zona rossa cambierà colore al pari di un cambio di destinazione d’uso.
Quantunque invece non fosse possible incidere sul totem perché neutralizzato, la zona rossa sarebbe tale solo in modo impropriamente detto, dato che si tratterebbe, in realtà, di un’UDA drammaticamente traumatizzata, pauperizzata, deprivata, a cui è stata sottratta la vita. In questo caso l’UDA necessita di un intervento molto più radicale ammesso che essa, a quel punto, possieda ancora qualche attributo d’interesse per coloro che vorrebbero rivitalizzarla. Un’UDA “morta”, militarmente protetta e prescritta, è in gergo definita linea maginot.

3) varietà dimensionali (di tipo 1 o 2): si tratta di percorsi fortemente irregimentati, di varchi sorvegliati, di passaggi segreti inespugnabili eccetera, presenti nella zona rossa. Sono le vie d’accesso e di fuga da questo tipo di spazio, qualora esso sia stato già individuato, blindato e normato. Si può agire su di esse in modo da “tagliare i rifornimenti” allo spazio invaso, o da rendere difficile il transito verso questo (generando psico-dissuasori ad esempio). Individuare una varietà dimensionale di tipo 1 o 2 è semplice dato che al suo interno il ciclista si sente sopraffatto da un eterodiretto “dover-fare” o da un “non-poter-fare-altrimenti”.
Biciclette, monopattini, skate eccetera, ovvero mezzi autopropulsi e bidimensionali, sono gli unici a muoversi con destrezza e reversibilmente in queste tipologie di spazi.

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Un esempio di psico-dissuasore: i briques bloc utilizzati negli scontri a Honk Kong

4) occultatore: spesso, ma non sempre, le zone rosse estendono in apparenza la propria influenza attraverso occultatori come muri, ponti, sottopassi, portali, funi eccetera. Individuare la presenza di questi oggetti aiuta a comprendere con esattezza il perimetro dell’UDA e la sua conformazione.

5) cluster 33-38: qualora sia urbanisticamente possibile, bisognerebbe occuparsi di modellare tutte le UDA adiacenti la zona rossa con atmosfere di un colore compreso nel cluster 33-38 della tavola cromatica degli stati d’animo: “Ambiance deprivata, traumatizzata” (si veda anche l’Atlante ufociclista pag. 112). Questa tattica è comunemente definita far terra bruciata. Il contro-isolamento della zona rossa è un’operazione piuttosto complessa e di rado praticabile. Essa implica una massa critica di dimensioni straordinarie e molto tempo a disposizione: altrimenti detta rivolta.

Nel video qui sopra, il tentativo di ritonalizzare l’UDA di Champigny-sur-Marne, con l’uso di fiochi d’artificio contro il commissariato locale.

L’associazione rosso = pericolo è quindi solo l’esasperazione di uno degli stati d’animo possibili, di uno spazio che invece si presenta come ricco, vario, denso e strutturato. Che tale vivacità lo possa rendere anche relativamente “pericoloso”, riottoso, fuori controllo, è solo una delle possibili conseguenze.
E’ invece innegabile che esso si trasformi in assolutamente pericoloso, qualora sia il capitale e i suoi servitori a interessarsene: armandolo e recintandolo. Ma nessuna zona rossa sarà mai abbastanza sicura dato che come ovvia reazione essa produrrà, sempre nei proscritti, un’affordance attrattiva relativa.
Il conflitto cromatico è quindi prioritariamente un conflitto atmosferico in cui una delle parti impiega l’arma affilata della paura.

Link:
Il Daspo è solo l’inizio. Gli ultras come cavie per fermare i movimenti
Activists build facial recognition to id cops whi hide their badges

Esomediatori – Frascati

Rapporto redatto da Cobol e Evi.

Nella generazione di una cartografia alternativa l’UfoCiclismo si da come compito ultimo quello dell’individuazione della UDA contattistica, ovvero di quello spazio che più di altri si predispone all’intercettazione di xenoalterità d’origine terrestre ed extraterrestre.
Il contatto con tali forme di vita non presuppone in nessun caso un rapporto di intermediazione. Su questo l’Ufologia Radicale è stata molto chiara.
Ancora oggi miserabili esseri umani come il sedicente ufologo (si veda: Chi sono gli ufologi) Roberto Pinotti (evidentemente destrorso fino al midollo), digeriscono con estrema difficoltà questo richiamo all’autonomia (tanto da dover affermare pubblicamente la propria estraneità alle caratteristiche politiche del fenomeno. Si legga questo passo). Per costoro, impavidi fiancheggiatori della normalizzazione, lobotomizzati estimatori della repressione, anche il contatto alieno deve transitare per le istituzioni repressive dell’esercito e della polizia. Neanche perdiamo tempo a  sbeffeggiarli dato che ci ha già magistralmente pensato Tinto Brass – si veda il video che segue).

Dalle pagine del sito ufficiale del CUN, costoro spronano chiunque abbia avvistato un UFO, un fenomeno inspiegabile, un’epifania irriducibile, a rivolgersi con serenità ai carabinieri. Saranno poi questi ultimi a far quadrare il cerchio riducendo, di nuovo, tutto alla noia: tutto al silenzio.

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La pagina del CUN (Centro Ufologico Nazionale) dove s’invita a fare la spia ai carabinieri

Nello stesso passo già evidenziato, sempre costui e costoro, s’arrogano il diritto di sentenziare su ciò che l’ufologia è o non è. Intendiamoci: vadano alla malora loro e tutta l’ufologia. Non ce ne frega un benemerito niente. Ma per coloro, invece, che in buona fede si definiscono ufologi, c’è parecchio da rimuginare circa l’essenza dei propri infami capi popolo.
Noi dalla nostra saremo sempre dalla parte di chi combatte a fianco dell’irriducibile, dell’UFO, perché rimanga non-identificato e non-identificabile.
UFOfilia autonoma e radicale!

Abbiamo così tentato di estendere questa riflessione annoverandola nella proposta di una nuova categoria ufociclistica, che per il momento definiamo come esomediatore.
Per esemplificarla avremmo potuto scegliere un qualsiasi luogo, ma abbiamo approfittato di una recente, breve, ricognizione a Frascati.

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Eccoci quindi in quel di Frascati in una bella giornata di marzo.
Ci stiamo recando in direzione di Monte Porzio Catone intraprendendo viale Bonaparte. Il primo artefatto d’interesse lo intercettiamo a largo Pentini.

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Si tratta di una piattaforma girevole che ruota attorno a cinque direttive. Le sue ridottissime dimensioni la dotano di un elevato momento angolare, rendendola evidentemente un vortice. Le piattaforme girevoli hanno questa caratteristica di spazzare i flussi cittadini rigenerandoli, producendo traiettorie inattese. Non è un caso il fatto che se una massa critica di ciclisti ne individua una, inizierà a gravitarci più e più volte attorno, producendo quell’ebrezza da smarrimento tipica dei vortici emozionali accidentali, degli incontri inattesi, delle loquacità mai prima d’allora proferite.
Il carattere disarmonico di questa struttura è qui sottolineato dal praticello in pseudo-erba al suo interno, forse adattissimo per picnic sintetici che ci proponiamo presto di sperimentare.
Come sa bene chi studia i tornado (ma anche chi ha visto un film catastrofista), nell’occhio del ciclone s’assiste ad un’irreale calma: una calma plastica e artificiale, quasi c’avessero steso un praticello verde sintetico. Qui a largo Pentini abbiamo trovato il perfetto prototipo (la “tempesta perfetta” per rimanere in ambito di metafore cinematografiche) di questa alienata (nel senso di “posta altrove“) topologica condizione. Viva l’alienazione!, allora.
In una piattaforma girevole di grandi dimensioni, spesso questa condizione non è percepibile; i flussi scompaginanti si generano lontano, nella periferia, e chi si trova nel mezzo percepisce esclusivamente la condizione alienata, scambiata per emozione o atmosfera preponderante e generalizzata. Solo con l’approssimarsi al bordo emerge il traumatico e repentino cambio d’ambiance che ci scompiglia i capelli e ci strappa di dosso le vesti.
In questa piccola UDA (un’UDA giocattolo), invece tutto è a portata di mano, e il cambio d’ambiance è percepibile così come lo è, al contempo, l’atmosfera dominante al suo centro. Il comune centro di massa delle due atmosfere genera a tutti gli effetti una schizo-esperienza e un’ebrezza non dissimile da quella che il ciclista prova segando di netto un ingorgo stradale mummificato.
Ci spingiamo oltre ipotizzando, proprio sul bordo, il generarsi di un conflitto atmosferico di tipo 2, rilevabile, date le contenutissime dimensioni della piattaforma girevole, forse con una lente o più propriamente con un microscopio sentimentale.
Ci proponiamo di tornare nuovamente per scandagliare nel profondo i limiti di questa circonferenza, seguendone la circolarità in vernice bianca stradale, così da scoprire il conflitto atmosferico che ivi si cela. Tuttavia, già la foto ci suggerisce qualcosa. Se analizzata. Analizzatela. Si, ovvio. La sua eccentricità.
La rotazione eccentrica produce allora una pulsazione, un ritmo. Il ritmo è una categoria ancora in fase di studio nell’UfoCiclismo. A essa però è già possibile attribuire elementi propri del far-fare che generalmente transita dal generatore (di ritmo) direttamente al corpo percipiente, che compulsivamente risponde. Probabilmente se ne genererà una danza, una contrazione e il suo rilascio, forse un’epilessia; ma al momento su tutto ciò non esiste un punto di vista largamente condiviso tra gli ufociclisti.

Procediamo su via Borgo San Rocco e poi per via Gregoriana fino a incontrare la rotatoria SS Sacramento Frascati. Su quest’ultima piattaforma girevole, meno interessante della precedente, non abbiamo molto altro da dire. Tuttavia essa si posiziona al centro di due oggetti molto importanti. Il primo è un un separatore (foto che segue).

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La funzione del separatore è di tipo cosmetica. Esso simula, recita, la fine della continuità atmosferica dell’UDA mettendo in scena una discontinutà pluri-atmosferica: ma si tratta di un sotterfugio o di un gioco di prestigio. In questo caso esemplare, la discontinuità è ulteriormente rafforzata dalla muratura della porta, come a sottolineare l’impenetrabilità e l’irriducibilità di due (o più) atmosfere. In realtà di una sola atmosfera si tratta, anche se dalla foto non è percepibile. Facciamo quindi che vi affidate sulla base della fiducia (oppure recatevici, che è anche meglio).

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Mappa della piattaforma girevole SS Sacramento Frascati

Poco più avanti, ma sempre nell’area d’influenza della piattaforma girevole SS Sacramento Frascati, troviamo la parrocchia del Santissimo Sacramento Frascati (nella foto che segue).

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Si tratta di un bunker a forma di torre che ricorda un panopticon. D’altro canto d’istituzione totale si tratta.
Lo abbiamo detto molte volte: chiese e parrocchie spesso coprono il ruolo di tonal provvisori, qualora il tonal originario abbia perso il suo ruolo (si veda questa ricognizione, ad esempio). Diciamo che molto indicativamente la parrocchia del Santissimo Sacramento Frascati può assurgere a tonal dell’UDA che molto velocemente stiamo attraversando. Ci pare un’ipotesi plausibile, anche se non avvalorata da un’analisi abbastanza approfondita. Ma al momento poco importa perché tutto ciò ci serve solo per dire d’altro.

Torniamo quindi all’inizio di questa ricognizione, alla polemica tra contatto autonomo e contatto mediato. Torniamo quindi a quell’esomediazione a cui abbiamo solo accennato, ma che costituisce l’argomento di questo intervento.
Al di là del ruolo di tonal debole che abbiamo spesso imputato alle chiese, per molto tempo ci siamo interrogati sulla possibilità che questi edifici altamente simbolici potessero assumere una funzione specifica. Alcuni ufociclisti insistono sulla funzione attrattore che giustificherebbe inoltre la loro capacità di fare le veci del tonal vero e proprio (un attrattore è sempre un tonal in progress). Non c’è dubbio sul fatto che questo attributo rientri a pieno tra le caratteristiche di tali edifici. Tuttavia si tratta nuovamente di una funzione accessoria, derivata, mentre noi ne cerchiamo una di tipo costitutiva: magari esclusiva nell’ambito delle architetture e degli spazi antropizzati.
Procediamo allora a una semplificazione concettuale.
Un edificio religioso (diciamo sopratutto nella tradizione monoteista) è un luogo in cui gli umani si recano per dialogare con una o più entità aliene, ovvero con esseri non appartenenti a questo pianeta. Ovviamente non ci interessa addentrarci nella questione sull’esistenza o meno di tali entità. Ciò che c’interessa invece rilevare è che tali edifici funzionano da amplificatori, da antenne, nell’ipotetico dialogo tra umani ed extraterrestri. Tale forma di contatto, inoltre, avverrebbe attraverso la mediazione di una precisa gerarchia che, in questo caso, è quella ecclesiastica (nella religione cristiana addirittura i santi rappresenterebbero ulteriori mediatori tra proferenti e ascoltatori). Si tratta quindi, a tutti gli effetti, di un’esomediazione.
Se quindi gli edifici sacri costituiscono degli esomediatori, essi si contrappongono costitutivamente alle UDA contattistiche, in cui il contatto con altre forme di vita non necessita, per definizione, di alcuna mediazione.

Si faccia molta attenzione: da apolidi senza dio quali siete, tenderete a pensare che l’esomediatore sia una categoria stabilmente negativa (oddio! I preti!) in quanto contrapposta ad una tradizionalmente ritenuta “positiva” nell’UfoCiclismo: la riottosa e desiderante UDA contattistica. Come più volte si è cercato di dimostrare, non esistono categorie buone e categorie cattive. Il classico dualismo che spiega questa condizione è quella di tonal vs totem d’incongruenza. Gli ufociclisti novizi tendono a credere che il tonal materializzi una qualche forma di concrezione del bene, mentre il totem, del male. In realtà sarebbe facile dimostrare l’esistenza di tonal davvero perfidi e odiosi, e di formidabili alleati tra le fila dei totem. Al contempo non si può tacere sul fatto che le UDA contattistiche posso essere luoghi pericolosi (spesso lo sono), disorientanti, traumatici financo, e che le alterità non sempre gradiscano essere intercettate, avvicinate, magari fraintendendo le nostre intenzioni. La costruzione di “un mondo possibile” è una dolorosa e pericolosa gioia.
Se siete in cerca di una netta separazione tra il bene e il male, allora forse è meglio che scegliate le chiese e i sermoni.
Ma per tutto ciò rimandiamo ai rapporti ufociclistici precedenti, e a un po’ di studio (ovviamente per coloro che vogliano incautamente approfondire).

Nel campo degli esomediatori non rientrano solo le religioni monoteiste. C’è l’ufologia tradizionalmente intesa (quella che necessita di mediatori come gli “ufologi di professione” o le forze di polizia), le attività medianiche, gli psicologi per animali, i mediatori culturali, l’ayahuasca e i suoi sciamani (a questo proposito si veda l’intervento di Sara D’Uva al Mars Beyond Mars 4) e in generale alcune forme d’interfaccia. Anche i trasformatori elettrici sono degli esomediatori (molto utili).
Un corrimano è un esomediatore. Quindi un esomediatore è anche una varietà dimensionale del tipo 1. Un esomediatore + varietà dimensionale del tipo 1 è, ad esempio, un cane per ciechi. Come sempre un oggetto può ricoprire più funzioni, e quella predominante è solo situazionale e dipendente dal sistema di riferimento utilizzato.

Allora, qualora la categoria di esomediatore fosse accettata dalla comunità ufociclistica, essa diverrebbe l’opposto funzionale dell’UDA contattistica e ne fornirebbe una definizione più rigorosa rispetto a quella finora proposta:
un’UDA contattistica non è un’esomediatore.
Semplice ed elegante.

Tutto ciò spalanca conseguenze su cui abbiamo timore, al momento, di sporgerci. Ad esempio: un trasformatore elettrico non può essere mai un’UDA contattistica?
Preferiamo invece chiudere rapidamente con la foto di due biciclette.

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Le bici sul treno della linea Roma-Frascati

 

 

Freak Cross Forte – 2019

Piccolo rapporto fotografico della Freak Cross tenutasi il 24/3/2019 a Forte Prenestino – Roma.
Un po’ di foto e l’emozionante video in coda.
Ci resta una curiosità inespressa: chissà se Kappa, il vincitore del premio cardio, è il K dell’ufologia radicale; date le suo doti ciclistiche tutto tornerebbe.

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La partenza

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Biciclette

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Discesa dal primo anello

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Il monociclo – premio displasia

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Eventi atmosferici ostili nella tappa montana – grandine

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Altri eventi atmosferici ostili nella tappa montana – neve

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Kappa – il vincitore del premio cardio

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Accelerazione controintuitiva

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La madrina – sempre elegante

Le UDA armoniche – atto primo

Di Cobol Pongide

Per Unità d’Ambiance (UDA) intendiamo quello spazio interessato dall’intervento umano che esprime compattamente una certa atmosfera, trasferendo o essendo investita, da un certo stato d’animo, su o da parte di chi l’osserva.
Esistono molti modi di circoscrivere l’UDA. L’UfoCiclismo visivamente utilizza una specifica tavola colori (la Tavola Cromatica degli Stati d’Animo) per delimitarne la continuità atmosferica di questo spazio. Si tratta di un modo prioritariamente (ma non esclusivamente) visivo di sintetizzare l’influenza esercitata su, o da, un’UDA.

Nel caso che vado a raccontare le UDA posseggono una compattezza in termini uditivi che, in via del tutto generale, come ufociclist* definiamo UDA armoniche. Va da sé, che la scelta di modi diversi di rilevare la continuità di un’UDA produce sovrapposizioni e accavallamenti tra spazi che abbiamo definito interUDAli (si veda l’atlante Tattico per approfondimenti).
La modalità con cui la compattezza dell’UDA armonica si propaga prevedono: una sorgente sonora e un fronte d’onda. In questo caso, la sorgente sonora costituisce il tonal, il fronte d’onda rappresenta l’attrattore, mentre ostacoli e rumore di fondo costituiscono psico-dissuasori (in questo caso dissuasori psico-acustici) e totem d’incongruenza (come nel caso d’ostacoli che intralciano la diffusione).
Una stanza completamente vuota e isolata al cui centro un corpo vibri, è considerato il caso ideale di UDA armonica: caratterizzata da una sorgente che diffonde in maniera indisturbata la continuità del fronte d’onda, il cui raggio d’azione è delimitato da deflettori (totem d’incongruenza).

Ammenoché la sorgente sonora non sia continua (quindi ininterrotta), l’UDA armonica è sempre un’UDA situazionale, ovvero essa si genera allorquando il tonal venga, per così dire, lasciato vibrare.
L’essere temporanea dell’UDA armonica è probabilmente una delle sue caratteristiche più interessanti. Spesso essa è anche portabile a differenza delle UDA stabili principalmente generate da una certa configurazione architettonica. Ad esempio, il boombox è, in questo senso, un ottimo generatore di eterotopie armoniche UDAli.
Infiltrandosi in UDA già esistenti, per via della portabilità, le UDA armoniche possono assecondare e rafforzare l’atmosfera dell’UDA ospite (far suonare l’Internazionale durante un corteo antagonista, ad esempio), oppure funzionare da totem d’incongruenza e operare contro la compattezza (suonare musica in piena notte, ad esempio). In questo ultimo caso il totem prende in gergo il nome di ordigno sonico.
Il più antico ordigno sonico portabile (semovente, in questo caso) di cui si ha conoscenza è il parasaurolofo. E’ possibile apprezzare il suo operato in questa ricostruzione in cui vengono esaltate, senza mezzi termini, le virtualità dei suoi infrasuoni.
Ovviamente la propagazione dell’UDA armonica, in condizioni ideali, avviene concentricamente ed è direttamente proporzionale all’intensità del suo tonal.

Un marciapiede lapideo è sempre una affordance attrattiva per i ciclisti urbani. La vibrazione, o la sua totale assenza, produce un irresistibile richiamo: una sensazione che dai pneumatici si trasmette direttamente al corpo lambendo, tra le prime, alcune zone erogene.
Alcuni ufociclist* propongono di definire questo particolare tipo di affordance col concetto di “linee del desiderio” o “linee desideranti” in una modalità, quest’ultima, che riporta alla mente la terminologia utilizzata da Deleuze e Guattari. Su ciò non esiste ancora un accordo generale e quindi la categoria non è entrata a far parte del lessico analitico.
Il problema principale risiede in quel “linee” che nell’ufociclismo (così come pure nella psicogeografia) sta prioritariamente a indicare le ley line.
Staremo dunque a vedere. Il dibattito al momento è intenso, ma non concitato.
Un altro versante ufociclistico, secondo me più interessante, propone di definire tale esperienza come affordance desiderante. Personalmente mi sento più avvinto da questa seconda accezione (anche se terminologicamente un po’ troppo generica e inutilmente roboante) che sottolinea esattamente quanto, poco sopra, sostenevo. Le particolari vibrazioni che i marciapiedi lapidei (ma non solo) trasmettono al corpo, hanno generalmente una funzione, per così dire, “emolliente”, che tende a rilassare senza per questo abbioccare. Ciò anche perché il tratto percorso sul marciapiede spesso consente ai ciclisti urbani di alienarsi momentaneamente dal traffico automobilistico. I due effetti combinati producono un risultato benefico sul corpo di chi pedala: un transitorio senso d’euforia alienata.

Le UDA di cui sto per parlare assumono entrambi i caratteri sopra elencati, quello armonico e quello tipico delle affordance attrattive, in quanto la loro emersione temporanea avviene transitando con la bici su dei marciapiedi.

L’UDA armonica di via Principe Eugenio

Sono a pochi sparuti passi da piazza Vittorio (Roma), punto d’incontro della CM mensile (ogni ultimo venerdì del mese).
Da qui fino a Porta maggiore s’articola questa strada a doppio senso di marcia (che nel tratto più vicino allo slargo prende il nome di via di Porta Maggiore) che finisce direttamente all’interno di un omphalos (Porta Maggiore, appunto). Qui convergono molti acquedotti romani e sopratutto iniziano le ley line di via Prenestina e di via Casilina.
Porta maggiore è anche una potente piattaforma girevole, che ha la caratteristica di “spazzare” quel quadrante producendo vortici disorientanti da cui non è sempre possibile emergere integri. La piattaforma girevole ha questa funzione scombussolante e rigenerante all’interno degli spazi antropici: produce quel caos che può fondare nuovi percorsi, nuove destinazioni e far scoprire luoghi di cui non si immaginava di provare desiderio.

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Porta Maggiore.

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Porta Maggione ufociclizzata. Vortice-piattaforma girevole.

Sono quindi sul marciapiede di via Principe Eugenio con alle spalle piazza Vittorio, sul lato sinistro attenendomi al convenzionale senso di marcia. Il marciapiede è come dicevo lapideo, composto di piccole lastre rettangolari, di cui molte divelte. Non so di che materiale si tratti. Ho cercato ma non ho trovato nulla di definitivo a tal proposito. Quindi senza saperne nulla direi basalto; ma giusto per dire qualcosa di sentito dire.

piazza vittorio

Proprio la circostanza per cui le lastre di pietra sono divelte e sconquassate le rende dei generatori di suono producendo, quindi, l’UDA armonica. Il diametro del generatore (della sorgente sonora) è quello mostrato dal vettore nella mappa precedente (che mostra anche direzione e verso del mio pedalare). Esso s’estende da via La Marmora a viale Manzoni. Dopo quest’ultima, la composizione del marciapiede rimane la stessa, ma esso non emette più quel caratteristico suono figlio dell’incuria. Il marciapiede diviene noiosamente stabile, senza più alcun grillo per la testa.
I palazzi alla mia sinistra e sulla destra funzionano da deflettori continui (al netto delle strade che li tagliano), il che delimita “naturalmente” l’influenza dell’UDA.
Ecco quindi il suono generato:

E’ tutto piuttosto confuso (da qui lo “Atto primo” nel titolo, giacché mi ripropongo di effettuare nuovamente la registrazione con mezzi più adeguati che chiederò in prestito). C’è sempre molto rumore di fondo probabilmente perché sprovvisto di un microfono direzionale adeguato. Tuttavia anche in questa primitiva registrazione si comprende efficacemente il timbro e la peculiarità percussiva del suono. Di fatto il tutto ricorda l’armonia generata dalla percussione di un martelletto su una superficie in pietra.
Il timbro in questione è piuttosto cupo e profondo, leggermente cavernoso e, a volerselo un po’ strappare di bocca, bene s’addice a questa strada che si fa spazio tra antichi e massicci  palazzi di ormai qualche ammasso di lustri.
Restando fedele all’impressione uditiva cerco un corrispettivo visivo nella Tavola Cromatica degli Stati d’Animo provando ad associare rumore e colore. Per quel che mi riguarda si tratta del colore 12. Facendo riferimento all’atlante tattico scopro che il 12 (HEX (#): C5912F) è il limite superiore del cluster che ha il valore medio in 10. Sapore – “Amaro: ambiance inquieta, tremebonda“. Tutto ciò nel suo estremo più alto e quindi più vividamente caratterizzato.
La cosa mi sorprende un po’ in effetti, dato che la strada si presenta apparentemente ben sedimentata e a suo modo quieta. Il responso cromatico però s’armonizza con una ricognizione che facemmo tempo addietro, proprio nell’area di piazza Vittorio. Allora parlammo del tonal radiante rappresentato dalla sede di Casapound, lì a pochi passi. Parlammo di una possibile contrapposizione d’ambiance tra M.A.S. i Magazzini allo Statuto (storico e caratteristico esercizio-bazar della zona) e la sede fascista di via Napoleone. Altresì rilevammo l’importanza della Porta Alchemica proprio al centro della piazza, l’antico tonal della zona (si veda l’atlante Tattico).
Tutti questi attributi, paiono ancora in competizione tra loro e tale contrapposizione ci restituì allora un’impressione di UDA instabile, forse ancora in divenire; sensazione compatibile ancora oggi con il mio responso cromatico.
Tutta quest’ultima considerazione è però frutto di una evidente e consapevole sovrainterpretazione, giacché resterebbe da spiegare come la composizione atmosferica della zona di piazza Vittorio possa riverberarsi e rinascere in un’UDA armonica temporanea, generata da mattonelle sconquassate.

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L’UDA trattata con la tavola cromatica degli stati d’animo

Mi limiterò allora a rilevare l’UDA armonica ivi generata dal passaggio della mia bicicletta mtb a pneumatici tacchettati.
Nella mappa precedente, quindi, l’estensione dell’UDA armonica di via Principe Eugenio.
Dal punto di vista dell’autoinduzione di stati d’animo (alla maniera psicogeografica e anche, forse, nell’unica modalità con cui un’UDA del genere può essere utilmente considerata), mi pare si possa dire che questo attraversamento generi, in chi lo intercetta, un sentimento d’inquietudine: forse un’UDA per inquietarsi. L’effetto è ovviamente molto smorzato dal rumore di fondo che in questa città è ossessivamente ininterrotto.
Il corrispettivo marciapiede sul lato opposto è, nel momento in cui scrivo, invece privo di emissioni sonore. La pavimentazione infatti appare saldamente piantata con i piedi per terra.

L’UDA armonica di via Prenestina

Tra via Principe Eugenio e via Prenestina (la prossima meta) ci sono poche centinaia di metri. Superata Porta Maggiore, dirigendosi verso est, inizia infatti l’antica consolare.
Bisogna pedalare ancora pochi minuti prima di trovare, nella medesima direzione di marcia, un marciapiede (qui una foto trovata in rete) non dissimile da quello dell’UDA precedente.

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La nuova UDA, perché ovviamente è di quello che andrò a parlare, s’estende (come è possibile osservare nella mappa precedente) da via Giovanni Brancaleone a via Erasmo Gattamelata.
Ecco il suono:

Qui l’armonia è decisamente più acuta. Potrebbe trattarsi in effetti di un materiale diverso. Forse una diversa densità, anche se dal tipo di attacco percussivo a me pare lo stesso materiale e la stessa densità. Solo più acuto. Comunque poco importa se la pietra è la medesima oppure no. Quel che m’interessa è l’effetto psico-acustico che nel calpestarla si produce, conseguentemente generando UDA relative.
Anche qui forzando il discorso (come avevo fatto precedentemente sovrainterpretando): via Prenestina più movimentata e caratterizzata da transiti più virilianamente dromologici, sembra ben modularsi attorno al suono emesso da questa pavimentazione, ancora una volta sconnessa e riappropriatasi di gradi di libertà che per essa non erano stati previsti.
Osservando la tavola cromatica per connettere l’impressione uditiva a quella cromatica, mi viene da assegnare il pattern 26 (HEX (#): 003D80). Si tratta di un valore intermedio del cluster che ha come centro il colore 27.

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Di nuovo riferendomi all’atlante e all’interpretazione relativa al gradiente scelto: sapore – “Metallo: ambiance impenetrabile, ostile, riflettente“.
In questo caso il responso è meno inatteso. Intendo dire che via Prenestina è, per chi la conosce, un po’ impenetrabile e a suo modo forastica: più nervosa dell’UDA precedente. Anche qui la sinfonia che sottende all’UDA armonica pare aver intercettato il proprio pubblico ma, ancora una volta, questa correlazione si fonda su nulla più di un vago senso romanticheggiante. Tra ufociclist* ce lo diciamo spesso: “come fai a non voler bene alla Prenestina, nonostante lei ti pigli spesso e volentieri a calci”.

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La pavimentazione divelta su via Prenestina

Se in entrambi i casi le UDA armoniche appaiono accidentalmente coerenti con l’atmosfera che affiora dal contesto antropico, devo ammettere di essere rimasto un po’ deluso. Bello sarebbe stato poter scoprire il carattere riottoso di un’UDA temporanea che con forza s’oppone alla colorazione dominante. Bello sarebbe stato scoprire il pulsare irregolare di un totem d’incongruenza che si comporta come un ordigno sonico, minando l’integrità cromatica preponderante.
Sarà forse la mia nostalgia per l’ornitopode parasaurolophus che come un godzilla erbivoro spalanca varchi a botte di fronti infrasonici.

Ufologia Radicale – UR

In assoluto la prima definizione di UfoCiclismo è quella che appare sulla rivista MIR nel 1998.

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Si tratta ancora di un approccio primordiale che non utilizza l’apparato di categorie utili a riconfigurare il territorio. Nonostante ciò esso già anticipa il portato esoplanetario della bicicletta elevando il biciclo a agente storico del contatto.
L’articolo è a firma CAU (Comitato Antifascista Ufologico) aderente al network della Ufologia Radicale e a cui appartenevano alcuni militanti del collettivo MIR.

Articoli recenti sull’Ufologia Radicale:

VICE: “Ufo al Popolo!” e rave nello spazio – Breve storia dei ‘comunisti spaziali’ italiani;
NOT – NERO: Pretendi la terza era spaziale.

Cosa è l’Ufologia Radicale- UR

Il network dell’Ufologia Radicale – UR nasce alla fine degli anni Ottanta principalmente sotto la spinta della Pantera, il movimento studentesco dell’inizio degli anni Novanta.
I primi vagiti dell’UR prendono quindi forma nelle facoltà occupate, introducendo collateralmente nel Movimento questioni riguardanti l’alterità (l’alieno), il non-dentificato (l’UFO) e l’autonomia dei saperi che ben si sposavano con il clima universitario e controculturale di quel periodo.

L’ufficializzazione del network avviene esattamente all’inizio degli anni Novanta ad opera di Ivano Mertz, intellettuale ufologo, seguace di Antonio Caronia e profondo conoscitore ed estimatore dell’ufologo marxista argentino Dante Minazzoli.

Tra i principi collettivamente condivisi tra gli appartenenti all’UR: l’antifascismo, l’antirazzismo, l’antispecismo e il non dialogo con l’ufologia borghese più o meno consapevolmente destrorsa (leggi: Chi sono gli ufologi).
L’obiettivo dei gruppi e dei collettivi sarà quello di sviluppare una serrata riflessione sull’alterità e sul contattismo autonomo in quelle aree di pensiero antagonista già predisposte a superare le regole dell’intraspecifico (esoplanetarismo in gergo UR).

Nel 1992 si contano alcune decine di collettivi dell’UR distribuiti sul territorio nazionale con una prevalenza nel centro/nord. Particolarmente attivi ad esempio a Roma il CAU (Comitato Ufologico Antifascista), a Brindisi il Lynx e ancora a Roma l’AUTC (Avamposto Ufologico del Tirreno Centrale) e MIR (Men In Red). Alcuni dei componenti del CAU e di MIR militavano in entrambi i gruppi.

Marxismo, pensiero libertario e situazionismo sono gli elementi assolutamente innovativi di questo approccio all’ufologia che vede nell’alieno e sopratutto nel contatto con quest’ultimo (IR3) l’eventualità di un’accelerazione del processo di superamento del capitalismo.

Giunti alla metà degli anni Novanta l’UR contava molte decine di collettivi e simpatizzanti su tutto il territorio nazionale. A testimoniarlo sarà l’edizione del 1999 del Rapporto Eurispes che dalla propria ricerca fa emergere circa un migliaio di unità rilevate distribuite per un 41% a nord, 46% al centro e 13% a sud.

Di fondo l’idea portante dell’UR è quella che lavorando alle condizioni per stabilire un contatto con possibili cività extraterrestri si stia al contempo lavorando alla destrutturazione dei processi sociali che alimentano e tengono in vita il capitale.

Viaggio nel tempo a New York

Prima ricognizione ufociclistica a New York, 4 febbraio 2019

Report redatto da: Dafne Rossi

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Dafne trovò la sua bicicletta in una presunta ciclofficina, che altro non era che un negozio, che vendeva bici di tutti i tipi, situato nel quartiere più alternativo di New York, dove il concetto di alternativo è molto diverso da quello che abbiamo in Europa.

C’è un tizio biondo, con l’orecchino e lo sguardo penetrante, gentile e preoccupato per il destino di Dafne che si accinge per la prima volta a pedalare in una città che lui definisce pericolosa. Se sapesse cosa vuol dire andare in giro per Roma in bicicletta, non sarebbe così preoccupato.

La prima bici che le propone costa 80 dollari. Sostiene che è la bici più economica che ha. È messa bene ma il sellino è troppo alto. Fa per abbassarlo e la levetta si rompe.

Allora si avvicina ad altre due biciclette legate di lato, che costano meno, una 75 e l’altra 50. Indica quella da 50, e, quasi giustificandosi di non avergliela proposta prima, le dice “Quella bici è la più brutta che ho”. Dafne invece sa già di aver trovato la sua bici. Bella non la diresti, ma nemmeno così orrenda. E sembra messa bene, catena e pignone nuovi, manubrio comodo, sella morbida anche se un po’ strappata. I fili dei cambi non sono messi benissimo, ma l’importante è che funzionino i freni. I fili dei freni sembrano buoni, ma sono ricoperti da una patina nera. È questo forse il problema di questa bici. Qualcuno l’ha dipinta di nero senza scrostarla prima e senza smontarla e ci sono macchie di vernice anche sui cerchioni. Dafne ha qualche secondo di titubanza. Il dubbio le viene. Però questo è pur sempre un negozio, e poi la gente fa di tutto alle bici, non è detto che sia…

Lascia la borsa nel negozio e va a farsi un giro. È proprio la sua signorina. Non ha più dubbi. I freni inchiodano. Il sellino va un po’ alzato ma la levetta sembra a posto.

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Riprende la borsa, saluta il tizio, e parte. Parte per la sua prima ricognizione ufociclistica a New York. Che non ha un percorso prestabilito e non ha una mappa perché c’è un’intera città da esplorare. Dafne se ne va a zonzo senza mèta. Gira a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra. È così facile, ci sono piste ciclabili per strada, dove queste mancano, lo spazio tra le auto parcheggiate e quelle che camminano è abbastanza grande per farla passare, in alternativa i marciapiedi sono così larghi. La città è tutta piatta o quasi, e le strade perfettamente a griglia. Niente curve pericolose. Per i ciclisti è una specie di paradiso, anche se non troppo divertente. Passa davanti a parchi giochi per bambini e campetti di palla a canestro recintati da reti metalliche. Arriva davanti a un parco, dove sul marciapiedi ci sono panchine di legno colorate. C’è una metropolitana. Non sa dove la porterà. Ma vede una ragazza che trasporta una bicicletta giù per le scale e parte anche lei.

Qui iniziano i problemi. Innanzitutto nelle metropolitane di New York la scala mobile è una specie di illusione ottica. Non esiste se non in pochissimi casi. Inoltre lo spazio del tornello è minuscolo, impossibile far passare la bici sotto la sbarra, e a farla passare nel modo giusto, la bici resta incastrata. Per entrare la aiuta un tizio che le apre la porta di sicurezza. La porta di sicurezza è usata da moltissima gente sia per entrare che per uscire dalla metro. Per alcuni è una minor perdita di tempo e una comodità maggiore, per altri è un modo per non pagare il biglietto. Dafne non se la sente per il momento di usarla perché non sa mai quando potrebbe esserci la polizia dietro l’angolo. Deve abituarsi prima. All’uscita tenta di far passare la bici al tornello, così semplicemente, come farebbe lei da sola senza la bici. E resta incastrata.

In suo soccorso arriva una signora, che resta lì ferma cercando di aiutarla ma senza sapere cosa fare. A New York tutti si preoccupano per te, sono tutti gentili, anche quando non sanno cosa fare. Nessuno ti dice mai di no, nessuno ti manda a quel paese, nemmeno nelle situazioni più imbarazzanti.

In un impeto di atletismo, Dafne si arrampica sul pedale della bici e, tenendosi alle pareti del tornello, finalmente riesce a disincastrarsi e ad arrivare dall’altra parte. Ora il problema è la bici. La solleva, sotto indicazione della signora, ma il pedale cozza contro la sbarra. Ed ecco finalmente la salvezza. Un ragazzo che sta uscendo dalla metro in quel momento, la solleva dall’altra parte e la libera.

Dafne è quasi commossa, per un attimo ha pensato che non se ne sarebbe mai andata da lì. Si profonde in mille ringraziamenti per la signora e per il suo salvatore, mentre la donna continua a ripeterle che la prossima volta deve usare la porta d’emergenza. E in effetti, pensa, se la bicicletta è permessa sul treno, ci sarà pure un modo per farcela entrare.

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Finalmente all’aria aperta, realizza di essere a Brooklyn, quartiere un po’ periferico, solo di recente “gentrificazione”, con case basse e cortili. Nella sua testa prende forma un’idea e si dirige verso il ponte. Ma non si concentra ancora una volta sulla strada. Costeggia il porto, non vede mai il fiume. Arriva a uno dei tanti punti di bike sharing sparsi per la città e da un’occhiata alla mappa. Deve tornare indietro.

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Continua per un po’ sulla sua strada e… di colpo il luogo è cambiato. È come in un altro spazio, in un tempo antico. È in un porticciolo di mare, col molo, le casette dei pescatori, la spiaggetta, un ristorantino, panchine di legno. C’è un vecchio tram parcheggiato, come lasciato lì in esposizione, sembra essersi fermato lì anni prima, e non essersi più mosso da allora.

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C’è una fontanella, ma l’acqua non esce.

L’idillio finisce presto. Svanisce dietro muri di cemento, container, reti metalliche. Dafne continua a pedalare, entra nel porto da un cancello, esce da un’apertura della rete. Continua a pedalare su una pista ciclabile ancora in fase di realizzazione, che corre in mezzo a una strada asfaltata.

Poi ricomincia l’idillio.

Ora sembra di colpo proiettata nel futuro. Ci sono dei lunghissimi moli che penetrano nel fiume. Più in là vede degli ombrelloni azzurri. Sembra una spiaggia. Si avvicina. Non lo è. Realizza che gli ombrelloni sono incastrati in tavoli di legno, corredati da panchine. Le panchine sono rivolte verso un immenso campo di calcio, che, come un molo lunghissimo, penetra anch’esso nel fiume. Di fronte, sull’altra riva, ci sono i grattacieli, che sembrano così vicini, come se il campo ne fosse circondato.

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Dafne fa il giro del campo e si accorge che in realtà i campi sono due, su uno stesso terreno e che si stanno giocando due partite diverse nello stesso momento.

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Nell’acqua ci sono postazioni per la pesca. Blocchi di cemento galleggianti. E, appeso sopra un enorme lavandino, un cartello dice che lì si può lavare il pesce pescato. Dafne si chiede seriamente chi mangi il pesce di Manhattan.

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Ma il suo pensiero si rivolge a qualcos’altro.

Sulla sinistra, di fronte a lei, c’è la statua della libertà. È in mezzo all’acqua, su un’isoletta, di cui per la prima volta ha percezione. Altre volte l’aveva vista come se fosse su una protuberanza della riva.

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Aveva sempre pensato che il colosso di Rodi avesse una vaga somiglianza con la statua della Libertà. Per questo era convinta che non fosse mai esistito e che fosse solo un’invenzione per attrarre i turisti. Peraltro non c’erano prove della sua esistenza. Ma non divaghiamo.

La statua della libertà le fa pensare alla Tour Eiffel di Parigi. L’aveva vista da ogni angolo di Parigi e da tutte le prospettive prima di arrivare ai suoi piedi. In fondo una cosa in comune i due monumenti ce l’hanno, lo stesso architetto, e probabilmente, sono state costruite con lo stesso scopo.

Un’altra analogia che New York ha con Parigi è la struttura delle strade. Come la città francese ha le sue lunghe e larghe boulevard, così New York ha le grandi Avenue che attraversano la città da Nord a Sud e incrociano perfettamente con le altrettanto lunghe, ma più ristrette Street che hanno un andamento est-ovest, in sostanza la città ha una struttura a griglia. A parte un unico e solo palazzo, ogni casa o edificio che cozzava con questa struttura perfetta, è stato abbattuto. Lo scopo è uno solo: disgregare, disperdere, distruggere ogni forma di comunità. Per questo, come si diceva prima, è un paradiso per i ciclisti, ed è una città in cui non ci si perde, ma è un posto che probabilmente ha perso qualcosa di importante nel tempo..

Persa in questi pensieri, Dafne va avanti e, sempre con lo sfondo dei palazzi, vede davanti a sé il ponte di Brooklyn.

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New York non ha più di duecento anni. Eppure si può dire che sia una città antica. Tutto quello che la fa andare avanti, è rimasto più o meno come era all’inizio del Novecento e ne costituisce l’attrazione principale. I ponti, i treni, perfino le montagne russe di Coney Island, costruite in legno e ancora funzionanti. Così i primi grattacieli costruiti sono estremamente diversi da quelli in vetro più recenti.

Anche il ponte di Brooklyn da questa impressione. Le torri in cemento, i tiranti d’acciaio.

Dafne si avvia lungo un marciapiedi su una strada contromano per trovare l’accesso al ponte. Sulla sua strada incontra dei stranissimi vegetali blu.

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Pensa di essersi sbagliata, ma le indicazioni la portano verso là. Deve attraversare la strada e raggiungere la pista ciclabile centrale, ma c’è una lunga fila di gard reil che non può superare. Al semaforo finalmente attraversa, quando vede due ciclisti che fanno la sua stessa strada.

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Sono le cinque del pomeriggio di una calda e soleggiata giornata invernale, come ce ne sono poche a New York, e il sole si appresta a tramontare, quando Dafne si ritrova sulla ristretta e affollatissima pedana in legno dove circolano pedoni in contemplazione di ogni nazionalità e ciclisti frettolosi che forse tornano a casa dal lavoro.

Il panorama sarebbe bellissimo se non ci fossero le auto sotto. La pedana cammina sopra il passaggio delle auto, e sotto il traffico è spaventoso. Lassù, invece, sospesi nel cielo, il sole regala i suoi ultimi raggi rosati, colorando i grattacieli, l’acqua, i tiranti.

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Dafne atterra sull’asfalto mezz’ora dopo, nei pressi del City Hall Park.

Trova una metro e vi sale per tornare a casa. Stavolta solleva la bici, e anche se con un piccolo aiuto, riesce con un po’ di difficoltà a farla passare dall’altra parte. Prende prima un treno, poi cambia per prendere l’N e tornare nei pressi di casa sua.

La passerella è troppo ristretta e una folla di gente che torna a casa dal lavoro, la riempie del tutto. Inutile che dal megafono partano continui avvisi di stare dietro la linea gialla. È praticamente impossibile.

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Dafne va avanti e indietro, e finalmente trova uno spazio libero.

E qui fa il suo primo incontro con un’aliena. Una ragazza che in mezzo a quella folla deve apparire davvero aliena, esattamente come Dafne. Sostiene una bicicletta con il manubrio perfettamente dritto, un po’ più piccola e forse un po’ più pratica di quella di Dafne. La ragazza è vestita sportiva, con i calzoncini corti, e ha i capelli annodati in minuscole treccine. Quando il treno arriva fa segno a Dafne di entrare insieme a lei e di mettere la bici parallela alla sua appoggiandola al palo. Pur con tutta la folla, riescono a ritagliarsi il loro spazio, e nessuno protesta, tranne una signora che, in maniera gentile, fa notare che è rimasta imprigionata tra le bici e ha bisogno di scendere alla fermata successiva. La ragazza la guarda con sguardo rassicurante e le promette che la farà scendere.

Quando il treno arriva nei pressi di Queensboro plaza, è come sospeso in aria, in mezzo ai grattacieli dei quali si vedono da vicino persino delle porte rosse di quelli che sembrano uffici. Sembra quasi che ci si possa entrare dentro. Dafne è sempre in contemplazione, la ragazza nota la sua sorpresa e le dice di guardare il tramonto che da qualche parte deve essere ancora in corso. In effetti da qualche parte il cielo è ancora rosa.

Dafne guarda la ragazza e le chiede “Fai questo tutti i giorni?”.

Lei annuisce e le dice, “Sono stanca.”

Scendono alla stessa fermata, la ragazza la saluta e sparisce. In mezzo alla folla che ogni giorno attraversa New York da Nord a Sud.