La struttura soggiacente – 18/01/20

Di Cobol, Ora Nel, Ignazio Stelletsky.

Siamo nuovamente in ricognizione, alla ricerca di strutture apparentemente invisibili: relazioni tra oggetti incontrati nella città (case che “dialogano” con parchi, che dialogano con vialetti, che dialogano con dissuasori, che dialogano con giostre eccetera), nel più generale spazio detto antropico.

La verifica dell’esistenza di una struttura significativa (argomentabile) entro un’apparente causalità d’elementi antropici dovrebbe appartenere al dominio delle epifanie, ovvero all’emersione inattesa di legami significativi in un’osservazione d’insieme e  disinteressata, di una porzione di spazio. Ufociclisticamente definiamo questa emersione come costellazione cogliendola ancora nel momento del suo essere non del tutto esplicita e rappresentabile. “Intuizione” è un concetto sicuramente connesso a questa esperienza di scoperta. Anche “sensazione”: la sensazione di trovarsi all’interno o di fronte a un insieme più articolato e dotato d’intelaiatura.
Per cercare di concretizzare questa idea (per visualizzarla) ci serviamo di uno strumento che può essere considerato anche come una sorta di “palestra per cercatori di costellazioni”: lo stereogramma.

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L’immagine precedente (qui per vederla più grande) va osservata al suo centro lasciando che gli occhi convergano soporiferamente (qui una descrizione metodologica più estesa). In linea di massima dopo pochi secondi dovrebbe emergere dall’apparente caos un’immagine tridimensionale.
Esistono stereogrammi più semplici di questo, può quindi valere la pena allenarsi con altri rintracciati in rete. Abbiamo scelto questo perché le immagini di pesci visibili in condizioni normali (bidimensionali) tendono a distrarre l’osservatore, proprio come avviene quando si è in cerca di strutture soggiacenti, in cui i dettagli della scena ci distraggono facendoci concentrare su singoli oggetti, che opacizzano la visione d’insieme, inibendo l’emergere della possibile costellazione.
Tutto ciò non significa muoversi negli spazi antropici rovinandosi la vista per cogliere elementi sottesi non visibili; si tratta solo del tentativo di rendere più solida l’idea di struttura che emerge da un contesto: costellazione.
Un altro interessante riferimento circa le strutture soggiacenti è testimoniato dall’utilizzo di metodologie topologiche nella ricerca archeologica. Quest’ultima connessione d’indagine promette anche di avere valore predittivo circa l’individuazione di elementi, oggetti, siti eccetera, facenti parte di una relazione architettonica, ma non ancora individuati come aventi legami.
Dovrà quindi esistere una qualche forma di somiglianza tra topologia e stereogrammi, ma per fortuna non ci occuperemo al momento di produrre illazioni a tal proposito.

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Nella foto precedente: siamo sulla penisola spartitraffico di via Labico, incrocio con via dei Gordiani (a Roma). Non è il punto di partenza di questa ricognizione, ma il luogo mediano della struttura sottesa che vogliamo far emergere.
Ripasseremo per questo spot tra poco, ma ora ci rechiamo all’appuntamento con altri ufociclisti ricognitori.

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Ecco il nostro punto di partenza: via dell’Acqua Bullicante, all’angolo con via Policastro. Quest’ultima, la strada visibile nella foto precedente, è quella che per prima intraprenderemo.
Prima di farlo osserviamo la foto che segue:

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Via dell’Acqua Bullicante (foto precedente). La foto ci serve per cogliere il tipo di contesto altamente antropizzato da cui stiamo partendo: quartiere, Torpignattara, densamente abitato a ridosso di una grande arteria cittadina (via Casilina). La zona si è mostrata, a suo modo, capace di resistere ai processi di gentrificazione che interessano invece i due quartieri con simili caratteristiche che lo circondano: il Pigneto a ovest e Centocelle a est. Ufociclisticamente si parla di conflitto atmosferico del tipo 1, anche se generalmente preferiamo utilizzare questo concetto non propriamente per spazi estesi come quartieri, ma per unità di spazio meno ampie come le UDA.
Via Policastro, che ci accingiamo a percorrere, è una rampa di lancio verso un’atmosfera del tutto diversa da quella appena descritta: una vera e propria interfaccia, una membrana di traspirazione, che nel suo dispiegarsi assume il ruolo di occultatore. Questa categoria cartografica ha la funzione di sminuire il brusco mutamento d’atmosfera che seguirà. Così facendo “previene” uno “shockante cambio di scena”, agendo cosmeticamente sull’eliminazione di una discontinuità (si veda Separatore Torre Spaccata). I “cambi di scena” sono elementi importanti della nostra ricerca giacché sono la spia di un qualche tipo di opposizione (pilotata o meno), di contrasto (prodotto o involontario) in una più complessiva “battaglia” per determinare il carattere emotivo della città. In questo senso, gli occultatori sono elementi da scovare ed evidenziare nel loro ruolo di omogenizzatori.
L’occultatore ha sempre un ruolo di mediazione (axis mundi) entro i conflitti atmosferici (un po’ come i sindacati asserviti ai padroni). Qui, come è avvenuto in passato, potremmo aspettarci di rinvenire comportamenti o strutture anomale (si veda ad esempio: Ley line Tor Sapienza) prodotti dal formarsi di una zona d’interferenza che miscela (a volte pericolosamente) attributi tra loro moto diversi appartenenti a divaricanti atmosfere che si fronteggiano. Non è comunque il compito che ci siamo dati quello d’analizzare zone d’interferenza, quindi transitiamo rapidamente senza  scorgere incidentalmente nessun tipo di anomalia o psico-bizzarria.

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In cima a via Policastro si apre via Labico, l’accesso privilegiato a un’atmosfera del tutto diversa. Gran parte delle aree attraversate da via Labico non sono accessibili, nel senso che mancano quasi del tutto traverse o altre via di fuga. Questa peculiare strada si comporta quindi come una sorta di tubo, o di tapis roulant, che ci consente di attraversare un’atmosfera altrimenti invalicabile: ma di tubo permeabile stiamo parlando.
Cartograficamente la tratteremo come una varietà dimensionale del tipo 2: essa ci costringe entro una limitatissima varietà di comportamenti, non offrendo, tra l’altro, alcuna via di scampo (sottrazione emotiva e fisica) alla totale immersione nell’atmosfera che attraversa (proprio come quando si è trasportati da un nastro trasportatore). Il fatto di essere intrisa dell’emozionalità che taglia, di assorbire l’atmosfera in cui è immersa, la rende incompatibile con la funzione di intersezione a cui erroneamente si potrebbe associare, per via della sua totale “apatia intersezionale”. Se si trattasse di un’intersezione si comporterebbe sociopaticamente rispetto all’atmosfera che attraversa (si veda Intersezione Togliatti) alienandosene definitivamente. Invece no, in questo caso siamo pienamente all’interno di una precisa emotività fortemente deantropizzata, scarsamente dotata di strutture umane visibili (ci riferiamo prioritariamente a case e ad automobili parcheggiate).
Tubolarità e deantropizzazione sono sicuramente gli attributi che più caratterizzano questa varietà dimensionale che ci costringe, al massimo, entro due sensi di marcia.
Tutti gli spazi (e superfici) sono varietà dimensionali. Ufociclisticamente ci curiamo di evidenziare solo quelli d’ordine inferiore (1 e 2) per via della loro forza imperativa. Cosa puoi fare entro una varietà dimensionale del tipo 2? Avanza! Arretra! Procedi di moto uniformemente accelerato! A questo servono un tubo o un tapis roulant: a spingerci quasi ineluttabilmente nelle braccia di qualche apparato posto all’altro capo.
Se si è in cerca di atmosfere molto ben sedimentate, una varietà dimensionale d’ordine inferiore può essere un ottimo indicatore, una sorta d’indicazione stradale.
Ci siamo fermati un attimo perché Cobol ci sta raccontando della sua particolare esperienza con un tubo.

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Nella foto precedente (e nelle due che seguono) siamo sempre su via Labico, con le poche abitazioni che l’arredano. Si ha la netta sensazione di aver definitivamente abbandonato il centro urbano in favore di una zona rurale, con le poche case e casali presenti (bassi e unifamiliari) che ricordano quelli generalmente rintracciabili in provincia.
Percorrendola, via Labico ha ceduto, qua e là, in compattezza concedendosi qualche divagazione traiettoriale. Non ci siamo addentrati, ma abbiamo sorpassato viottoli con grappoletti di casucole che ricordano i centri dei piccoli paesi. Tutta questa zona si presenta come un’enclave molto bella da attraversare, in cui ci si può momentaneamente dimenticare di essere ancora a Roma.

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La sensazione d’abbandono della città dura però molto poco. Dopo alcuni minuti raggiungiamo un punto di visuale che ci consente finalmente di scorgere una più ampia porzione di spazio circostante e di quello a venire. Dopo una così netta cesura col resto della città, ci si para dinnanzi la veduta della zona di villa de Sanctis, con i suoi alti edifici orientati a raggiera: si vedano la foto e la mappa che seguono.

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La visuale sempre da via Labico. Ci siamo fermati in un piccolo slargo da cui è possibile osservare una più ampia porzione di città. Non siamo riusciti a identificare le strutture artistiche o d’arredo presenti sul prato inaccessibile, ma appaiono abbastanza surreali

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Nella mappa è visibile la struttura a raggiera con cui si presenta il quartiere

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Siamo nuovamente sulla penisola spartitraffico menzionata all’inizio di questo rapporto, ma questa volta stiamo guardando alle nostre spalle, verso via Labico che abbiamo appena percorso e che costituisce un’UDA molto caratteristica, come abbiamo visto. La foto restituisce molto efficacemente l’idea di tubo/nastro trasportatore che abbiamo evocato all’inizio.
Ci immettiamo su via dei Gordiani costeggiando la raggiera di edifici.

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L’apparente impenetrabilità di queste interminabili file di palazzi è tradita da una illusione di trasparenza (vedi foto precedente) che ci da la sensazione di poter osservare l’interno delle abitazioni, come si trattasse di una parete, di uno strato, di tela di iuta.
Per una manciata di secondi restiamo fermi a guardare questa superficie, ipnotizzati, come se dietro l’apparente trama si potessero scorgere le sagome degli occupanti umani, intenti nel dispiegare indisturbati la propria casalinga quotidianità.
L’ufociclista Ora Nel propone una piccola deviazione dal percorso che ci eravamo prefissati in modo da entrare brevemente all’interno di villa de Sanctis. Lì potremo documentare la Luna di Costas Varotsos che troviamo molto bella (immagine che segue) e particolarmente pertinente con la ricognizione ufociclistica.

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Alle spalle della luna c’è un parchetto attrezzato per i bambini. Rileviamo che alcune delle attrezzature paiono molto adatte all’allenamento di cosmonauti in erba, tanto più che il simulacro lunare può facilmente ispirare il gioco, istruendolo involontariamente, verso quello scopo extraatmosferico.
Ritorniamo di poco sui nostri passi (o sarebbe il caso di dire sulle nostre due ruote) e uscendo dalla villa ci sorprende una bella visuale, più prospettica rispetto alle precedenti, del caseggiato a raggiera (foto che segue). Le file di palazzi alleggeriscono il complesso architettonico degradando man mano che si avvicinano all’ipotetico centro in cui i raggi convergono. Il colpo d’occhio, anche grazie alla giornata tersa, è a suo modo piacevole, pur non alterando quella sensazione di trovarsi al cospetto di un tipico alveare umano, tanto diverso dal paesaggio di via Labico che ci siamo lasciati alle spalle.

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Ci avviciniamo ai palazzi. Da questa posizione non sono visibili, ma al di sotto dei filari abitativi, a mo’ di buco di talpa, si aprono dei varchi, dei fori, che spezzano l’apparente monoliticità dell’alveare.

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Eccoci quindi dinanzi al primo varco su via Banal. A Roma la soluzione del ponte incluso in strutture abitative non è molto praticata e quindi, quando incontrata, diviene sempre elemento di curiosità. Riflettiamo sulla frustrazione provata dell’inquilino del primo piano sulla sinistra, circa il ridimensionamento del proprio balcone.

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Giusto il tempo di rendersi conto di una certa varietà nel motivo architettonico dominante (si vedano le tre foto precedenti) che conferma quell’idea di “non troppo dispiacere” rispetto a un così ampio e uniforme complesso abitativo, che avrebbe potuto sicuramente riservare delle brutte sorprese. Giusto il tempo, dicevamo, dato che già ci troviamo dinnanzi il varco d’uscita dell’alveare (foto che segue), intercettato in uno spazio in cui il numero delle abitazioni, e quindi dei passaggi, si assottiglia.
Contiamo di tornare a breve per effettuare un giro più centripeto, laddove i nuclei abitativi, almeno sulla mappa, appaiono più densificati.
Ci scappa un parallelismo con la Via Lattea e la posizione, in essa, del sistema solare. I sottopassi divengono allora dei punti di collasso dello spaziotempo e così via… distorcendo.

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Siamo all’incrocio tra via Banal e via Belmonte Castello dove si apre la piccola via pedonale mostrata nella foto che segue. Il tutto si presenta con una peculiare aria d’incompiuto, con quel minaccioso guard rail lasciato (dimenticato) probabilmente a testimonianza di un tempo in cui questa zona (con ancor meno densità abitativa) si presentava ancor meno conurbata e più selvaggiamente attraversata da indisturbati  flussi automobilistici.
Questa idea fa da trait d’union con quella sensazione d’abbandono della città che avevamo respirato su via Labico. Osservando allora la mappa ci accorgiamo che questa strada è in effetti sempre via Labico, ma con un nome diverso.

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Dalla stradina ciclopedonale si può accedere a un varco del parco Romolo Lombardi (foto che segue) che nel frattempo si è dispiegato sulla nostra strada (nella mappa totale a fine rapporto, il parco Romolo Lombardi è segnato con il nome di giardino Camilli).

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Il pasoliniano varco per il parco Romolo Lombardi

Sappiamo molto poco su questo parco che se osservato da vista aerea appare rosicchiato su tutti i lati da strutture commerciali e industriali come capannoni e tensostrutture, alcune delle quali in stato d’abbandono. Sempre da vista aerea ci si accorge che si tratta di uno spartiacque, un cuscinetto, tra il quartiere Prenestino Labicano e Centocelle. Un pezzo di verde raso al suolo, ridotto a steppa, che resiste alla compressione di due giganteschi quartieri che lo avvolgono. Il transito dall’uno all’altro per via Prenestina (la consolare più utilizzata per questo tipo di passaggio) è invece assolutamente “indolore”, completamente impercepibile, capace di narcotizzare tutte le differenze d’atmosfera che invece il nostro percorso ci sta evidenziando.
Nel percorso fino a questo momento compiuto, il complesso abitativo a raggiera, l’alveare, potrebbe apparire come un separatore. Si tratta di una categoria cartografica simile all’occultatore (incontrato in precedenza), ma opposto di funzione. Cosmeticamente il separatore inscena una discontinuità in uno spazio che discontinuo non è. Le due aree verdi di via Labico e di parco Lombardi possono infatti apparire come un tutt’uno, ma di fatto non è così. Si tratta invece di UDA molto diverse tra loro, esprimenti diverse atmosfere, tenute realmente separate dal complesso abitativo che fino ad ora abbiamo descritto.
L’attraversamento del parco prevede l’immissione su di un viottolo di terra battuta. Anch’esso potrebbe essere letto come una varietà dimensionale, stavolta del tipo 1. Se rigidamente interpretato e intrapreso lo può divenire in effetti, ma di fatto si propone con poca pressione normativa su coloro che lo attraversano. Abbandonarlo in favore del restante spazio circostante è sempre possibile, invertendo la marcia o arricchendola di divagazioni spaziali.

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Siamo dentro il parco Romolo Lombardi e ci siamo appena lasciati alle spalle il varco di via Belmonte Castello. Nella foto è ancora visibile il famoso guard rail

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Il viottolo attraversa il parco simulando una varietà dimensionale d’ordine inferiore. Ma solo di messa in scena si tratta…

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… ecco infatti che un impavido ufociclista ha abbandonato la stradina per fotografare un simbolo avvincente della spettralità del parco

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Qui per sottolineare il concetto di spettralità

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Strutture abbandonate nel parco. Costeggeremo la recinzione in alluminio verso sinistra

Stiamo procedendo a piedi nel parco spingendo a mano le biciclette. Costeggeremo la recinzione in alluminio assecondandola su tre lati.

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Abbiamo raggiunto la fine del lato prima visibile e cammineremo paralleli a quello ora visibile nella foto precedente.

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Ancora intenti a costeggiare il secondo lato della recinzione in metallo. Qui il viottolo inizia a somigliare davvero a una varietà dimensionale d’ordine inferiore

Abbiamo circumnavigato la recinzione e ci troviamo di fronte a uno spettacolare esemplare di quercia (foto che segue).

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Qualcuno l’ha elevata (non senza evidenti ragioni) a tonal del parco, arricchendola con motivi rituali e simbolici che per lo più sfuggono al nostro tentativo d’interpretazione (si vedano le tre prossime foto).

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Procediamo ancora per un centinaio di metri lungo il viottolo come è possibile vedere nella foto successiva…

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… fino a riemergere all’entrata di una struttura sportiva calcistica (foto che segue).

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Attraversiamo il varco e siamo di nuovo in mezzo alla città (foto che segue).

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Alla fine di una discesa ci troviamo su viale della Primavera all’inizio del quartiere Centocelle (foto che segue).
Ufociclisticamente il viottolo, che fin qui ci ha condotti, è uno strappo in quanto passaggio ciclopedonale che connette due UDA (l’abitato a raggiera da una parte e viale della Primavera dall’altra) attraversandone almeno una terza (quella del parco). Gli strappi hanno sempre attributi peculiari data la loro funzione di servizio; si presentano spesso come oggetti decontestualizzati perché accelerano il transito tra atmosfere, consentendo all’attenzione di chi li percorre, di restare avvinghiata al contesto del passaggio, cioè dell’UDA attraversata. Su un piano formale lo strappo è la funzione inversa dell’intersezione.
A differenza dell’occultatore, invece, lo strappo non cela gli elementi di progressivo mutamento del passaggio, ma li velocizza cineticamente tanto da renderli appena percepibili e distinguibili.

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Viale della Primavera: un’altra UDA

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La mappa completa. Qui molto ingrandita

Torniamo quindi alla questione iniziale dettagliando anche meglio la collocazione degli oggetti e delle relazioni sulla mappa.
Per oggetti intendiamo qui gli oggetti cartografici, omettendo il concetto più completo di oggetto sequenza che però al momento non ci torna utile approfondire.
Per relazioni intendiamo, invece, gli effetti di senso che si producono dalla messa in struttura degli oggetti.
Fino a questo momento abbiamo elaborato i seguenti modi  per mettere in struttura gli oggetti:
vicinanza a;
contatto con;
allineamento a;
inclusione in;
prossimità da (allontanamento);
in successione;
in opposizione a.
Uno strappo, ad esempio, crea una relazione di “vicinanza a” che ovviamente non è geografica, ma relativa alla struttura. Un tipico modo di rappresentare ufociclisticamente lo strappo è, sempre ad esempio, quello di elidere la UDA di servizio (discontinuità eliminabile) congiungendo le due UDA di partenza e di arrivo. Ciò crea sicuramente confusione, ma in tali casi va rammentato sempre che le mappe ufociclistiche non vengono elaborate per orientare (per quello esistono già le mappe comuni), ma per “produrre” atmosfere o se si preferisce campi (per questo approfondimento di può vedere il testo UfoCiclismo. Tecniche illustrate di cartografia rivoluzionaria).
In ogni caso, una mappa ufociclistica fatta con tutti i crismi non si pone l’esigenza di orientare, ma di descrivere l’irrappresentabile, approssimandocisi il più possibile.
Atmosfere e conflitti atmosferici, ma anche campi e strutture soggiacenti, sono concetti difficilmente trascrivibili, quindi la mappa ufociclistica si concede libertà figurative e narrative che non asservono necessariamente altri scopi (l’orientamento ad esempio).
Nelle mappe ufociclistiche è più importante ciò che non si vede che ciò che è già visto o è visibile a tutti.

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L’immagine precedente si riferisce alla rappresentazione (poco accurata perché solo esemplificativa) dello strappo prodotto dal viottolo del parco Romolo Lombardi. Il tensore, che non rappresenta un oggetto reale ma una semplice funzione, sta a indicare l’avvenuta implosione dello spazio a opera dello strappo.
Questo tipo di descrizione è tuttavia poco utilizzata (o utilizzata prevalentemente come ricombinazione conclusiva di una mappa definitiva), giacché si preferisce coniugare in una unica rappresentazione grafica la funzione orientativa e la funzione combinatoria. Per questa ragione, nel tempo, l’implosione (detta tecnicamente permutazione) è stata sostituita dall’uso di icone.
Torniamo nuovamente alla mappa completa.
In arancione abbiamo segnato il percorso effettuato da via dell’Acqua Bullicante a viale della Primavera. Degli oggetti indicati gli unici di cui non abbiamo ancora dato conto sono:
– il totem d’incongrenza (tensostruttura);
– lo psico-dissuasore;
– la affordance attrattiva (un cancello spalancato).
Dato che nell’UDA del parco abbiamo rintracciato il tonal (la quercia), di conseguenza deduciamo l’esistenza di un totem, posto in struttura come “in opposizione a” al primo. Si tratta dei due oggetti, aventi funzione inversa: i più rappresentativi di un’UDA. L’equilibrio e la pressione atmosferiche di quest’ultima (si veda: Under the UDA), dipendono principalmente dalla funzione aggregatrice e da quella dissipatrice di questi due oggetti. Per il momento non ci soffermiamo oltre su tale opposizione dato che essa torna spessissimo nei nostri rapporti e quindi può essere altrimenti approfondita.
Lo psico-dissuasore c’entra ben poco con questa storia, ma vale la pena menzionarlo.
Poco dopo l’inizio di via Labaro, nel senso di marcia della nostra ricognizione, ci si imbatte in uno slargo aperto, tagliato da un viottolo (si veda la foto seguente).

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C’è un cancello, ma come si può vedere non chiude nulla. Anzi! Si tratta a tutti gli effetti di un’affordance attrattiva, che esplicitamente produce una relazione di “contatto con“.
Quella che ci interessa è la stradina a destra visibile sempre nella foto precedente.
Non l’avevamo mai attraversata e volevamo scoprire se potesse funzionare da strappo o scorciatoia, supponendo fosse capace di mettere in contatto via Labico con via Casilina o spazi ad essa limitrofi. In effetti l’ipotesi è corretta (si veda la mappa che segue).

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Le affordance attrattive sono irresistibili per chiunque, ma ancor più per un ciclista urbano in cerca di propulsori spaziotempo. L’idea che la bicicletta sia un ottimo segugio di questo tipo di varchi è davvero eccitante ed è, per molti ufociclisti e ciclisti urbani, motivo di passione per il ciclomezzo. Figuriamoci quindi se potevamo sottrarci a tale invito all’uso.

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Il viottolo su cui ci siamo appena immessi

Comunque sia, percorsa la strada come illustrato dalla linea arancione nella mappa precedente, ci ritroviamo in un piccolo piazzale su cui, tra le altre cose, si apre l’entrata di un esercizio non meglio identificato, visibile nella mappa come edifici color grigio/viola (i colori sono della mappa originale e non hanno alcuna connessione con il tenore atmosferico rilevato mediante strumenti cromatici ufociclisti che tra poco incontreremo).

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L’uscita dal viottolo. Davanti a noi, in fondo alla discesa, c’è via Casilina. Alle nostre spalle il viottolo che abbiamo appena attraversato

Qui un uomo dai modi non cortesissimi c’intima di andare via, dato che abbiamo, a suo modo di vedere, già violato la sua proprietà privata attraversano la strada in terra battuta e brecciolino.
L’ufociclista Ignazio Stelletsky vorrebbe restare lì a intavolar polemiche, ma preferiamo rimandare la questione per non distrarci dalla ricognizione. Riprendiamo quindi via Casilina e torniamo al punto di partenza. Per quel che riguarda la stradina, si tratta decisamente di uno strappo.
Dicevamo che questa piccola storia vale la pena d’essere raccontata, poiché a Roma, ma forse in ogni città, questi spazi caratterizzati da edilizie ambigue, collocate su terreni di cui non si capisce bene la proprietà (spesso demaniali ma completamente dimenticati dal governo della città), producono sempre questo tipo di situazioni. In questi luoghi c’è sempre qualcuno o qualcosa che “aleggia” e che se vede che hai una macchinetta fotografica in mano, si prende il mal di pancia di venirti a psico-dissuadere, con metodi più o meno intimidatori, spesso sostenendo che lì è vietato fare foto o semplicemente stazionare. Ci è accaduto moltissime volte e, cani a parte, si tratta di uno degli inconvenienti più ricorrenti delle ricognizioni. Si tratta di un elemento da tener presente quando si esplora millimetricamente il tessuto urbano.
La città ideale sembra sempre più quella in cui tutti, nel bene e nel male, si fanno gli affari propri, senza farsi domande, percorrendo le strade note e illuminate: le “ciclabili dell’indifferenza”, le definiamo, non senza tradire una velata polemica verso le piste ciclabili tout court. Se alla fine nessuno si fa più domande, uno può anche decidere arbitrariamente (non necessariamente in questo caso, ma come riflessione generale), decidere che un pezzo di città è suo, che una strada gli appartiene, che se non c’è una ciclabile tu in bici non puoi circolare, esercitando anche dissuasione più o meno violenta.
Si tratta a tutti gli effetti di zone d’interferenza, di miscelazione di più atmosfere, (molto interessanti tra l’altro) in cui si producono atteggiamenti bizzarri e, a volte, molesti. Nelle zone d’interferenza c’è spesso qualcuno che ha qualcosa da “nascondere”, da non mostrare, e che vede nell’altro solo un impiccione o un impiccio.

Torniamo quindi alla mappa. Ci resta da spiegare la relazione messa in scena dal conflitto atmosferico di tipo 2, prodotto dal fronteggiarsi delle isobare (linee che indicano la stessa pressione o dominante atmosferica) nella zona tra via Labico e via dei Gordiani (vedi l’immagine che segue: le linee verdi).

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I fronti atmosferici al momento ci interessano poco al di fuori della loro rappresentazione grafica.
Il conflitto di tipo 2 (quello che in questo caso le isobare evidenziano) è anche definibile come “conflitto in sé” (contrapposto al “conflitto per sé” rappresentato dal tipo 1), e riguarda una condizione non pilotata di conflittualità, che si innesca in modo spontaneo sul limite di congiunzione delle UDA confinanti (zone d’interferenza).
Quello che ci pare più urgente sottolineare è invece cosa questo tipo di conflitto lascia emergere: più precisamente a delinearsi, dapprima come costellazione di oggetti, è proprio l’UDA del complesso a raggiera, l’alveare, che in questo caso si pone come struttura soggiacente. In altre condizioni, in mancanza di un “in opposizione a” con l’UDA di via Labico, con cui la stiamo mettendo in relazione, essa non sarebbe visibile.

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Struttura soggiacente e definizione cromatica dell’UDA dell’alveare a raggiera

Mentre l’UDA generata da via Labico è autonomamente sensibile, perché molto ben sedimentata e, nonostante l’occultatore di via Policastro, nettamente percepibile rispetto al resto circostante della città, quella delle abitazioni a raggiera scomparirebbe all’interno di un panorama tutto sommato omogeneo. Perderemmo così un interessante fronte di conflitto atmosferico, contribuendo a perpetrare un’immagine più indistinta e opacizzata di città. Un’immagine a suo modo statica, a bassissima risoluzione.
L’intuizione sull’esistenza di una struttura soggiacente, invece, ci consente di dettagliare e di cogliere possibili punti di pressione esistenti sul tessuto cittadino, da eventualmente stimolare per transitare da un conflitto atmosferico di tipo 2 a uno di tipo 1: dal conflitto in sé al conflitto per sé.
Nella mappa sopra abbiamo quindi evidenziato il tipo di struttura emersa, dettagliando anche il tipo di atmosfera che consiliarmente abbiamo percepito nell’UDA specifica mediante Tavola cromatica degli stati d’animo.
Il colore su cui i tre ufociclisti si sono sincronizzati emotivamente è il 14 (hex f2e20e) del cluster 13-16: “Frizzante. Ambiance cangiante, volubile scioccante”. Ci pare molto adeguata come descrizione emotiva di questa zona che si presenta ancora variabile nella sua definizione atmosferica: a suo modo vivace.
Sicuramente sarebbe il caso di definire, sempre mediante tavola degli stati d’animo, l’UDA di via Labico, così da coglierne meglio i fronti di conflitto atmosferico, ma al momento non ci pare cosa così urgente da fare (le differenze sono sensibili) e lasciamo che a farlo sia, eventualmente, qualcun altro.
Un esempio interessante d’applicazione di valori cromatici alle UDA lo si può trovare in questa ricognizione oppure in quest’altra.
Non si faccia troppo caso alla perimetrazione delle UDA che nella mappa sopra sono solo indicative e non corrispondono esattamente a una rilevazione precisa dei bordi dell’UDA.

Ci lasciamo con uno stereogramma molto bello su cui, nel frattempo, abbiamo fiducia abbiate fatto molta pratica.

dino

* Si ringraziano i camminatori dell’iniziativa “La festa di Roma” che il 1/1/2020 hanno attraversato Roma-est venendo intercettati, nel quartiere Quarticciolo, da un ufociclista.
Durante quella deriva si è attraversato il parco Romolo Lombardi che non avevamo mai camminato o pedalato.
A postilla del tutto decontestualizzata aggiungiamo allora una foto scattata durante quella camminata nel quartiere del Quarticciolo:

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Si tratta di uno scooter (probabilmente abbandonato) nel cui bauletto è stato recapitato un masso di cemento. Un buon esempio di trasformazione di un veicolo a motore in una cuspide di quartiere. Le cuspidi sono sempre supporti di memoria.
Molto bella.

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