XVI ricognizione ufociclistica – in cerca di psico-dissuasori – 23/09/2019

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La sedicesima ricognizione (notturna) ufociclista è stata indetta in coincidenza con l’equinozio d’autunno (si veda: UfoCiclismo: perché praticarlo in concomitanza con eventi astronomici?)
Il tema (da seguire in modo blando) che ci eravamo proposti era quello dell’individuazione di psico-dissuasori (nella fattispecie il design ostile) collocati lungo il percorso pedalato.
“Blando” non perché il tema non sia importante ma per via del fatto che affidiamo questo tipo di approfondimenti alle ricognizioni diurne, mentre quelle notturne hanno sopratutto un carattere ludico anche se, a loro modo, analitico.

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Ufociclisti a piazzale Appio, il tradizionale punto di raccolta.

L’idea che sta dietro all’individuazione degli psico-dissuasori è quella che la città, quando esplorata liberamente, produca, forzi, dei percorsi che sono la somma tra psico-dissuasori (respingenti e centrifughi) e attrattori (seduttivi e centripeti).
La metafora che spesso evochiamo è quella della pallina d’acciaio nel flipper e il suo movimento sul piano: attratta e strattonata dagli oggetti che incontra durante il suo cammino.
Di sovente attrattori e psico-dissuasori sono oggetti immateriali (ad esempio l’affezione per una strada, l’illuminazione di un quartiere eccetera) altre volte si tratta di oggetti veri e propri come nel caso di quelli qui descritti.
Esistono vari modi di forzare degli psico-dissuasori (si veda anche: Zone rosse: conflitto cromatico ed esclusione e/o Come si ritonalizza una zona rossa – Sea Watch 3 e si vedano anche le azioni del collettivo Design For Everyone) o di resistere (qualora se ne senta il bisogno) a degli attrattori. Tuttavia, tutto ciò,  non era l’obiettivo della ricognizione che si è limitata a intercettare pezzi di unpleasant design in giro per la città, al fine di documentali e “pesarli”.
Nel breve tratto percorso e nello sguardo un po’ distratto e non troppo approfondito non abbiamo trovato moltissimi casi di design ostile; segno forse che Roma rimane, detto in senso un po’ improprio, una città ancora abbastanza aperta.
Tutto l’unpleasant design che abbiamo intercettato si concentra attorno alla stazione Termini, da sempre luogo di rifugio per senzatetto, per passeggeri sostanti e per sostanti attraversatori, più o meno abituali, della città.
D’altro canto, le stazioni, non solo a Roma, sono da sempre in “guerra” contro l’uso abitativo di fortuna che la loro affordance (l’invito all’uso che un oggetto più o meno consapevolmente esprime) sprona a sfruttare.  In questo senso, anche una stazione può essere vista come la somma delle forze attrattive (sale d’attesa, panchine, tettoie, l’inizio di un viaggio eccetera) e forze respingenti (design delle suppellettili studiato per ridurre al minimo la sosta, videosorveglianza, controlli eccetera) che la compongono. L’atmosfera che ivi risiede è evidentemente prodotta dallo squilibrio di una forza rispetto all’altra. Una stazione è sicuramente, nella sua complessità di meccanismi, una UDA in cui prevale un’atmosfera rispetto ad altre considerabili come trascurabili o triviali.

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Gli ufociclisti di fronte l’entrata della stazione Termini

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Torri dissuasori mobili per dissuadere all’entrata di non si sa bene cosa. Se ti ci siedi (la loro affordance invita la fugace seduta) si avvicina un addetto che ti fa spostare

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Dissuasori piramidali onde evitare che le persone sostino sul muricciolo

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Grate impediscono ai senzatetto di ricavarsi una nicchia per la notte negli spazi immediatamente esterni alla stazione

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Per qualche ragione, forse pudore, ad una delle grate dissuadenti è stato appeso un cartello relativo alle norme dei lavori in corso… per mitigare forse pubblicamente la vergogna dell’impedire a persone bisognose di trovare riparo. Più probabilmente, il cartello era già apposto sulla grata e non è stato tolto nonostante il cambio d’uso

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Panchine inclinate per limitare i tempi della sosta ed evitare lo stazionamento sdraiati

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Prove di usabilità

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In questa foto, falliti i test di usabilità, gli ufociclisti sperimentano usi alternativi delle panchine ostili

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Il sottopasso della stazione Termini. Dissuasori impediscono il pernottamento dei senzatetto che un tempo, in questo passaggio, trovavano riparo dal freddo e dalle piogge invernali

Il senso degli psico-dissuasori, così come delle zone rosse, dei daspo urbani, è quello di rendere tutti gli abitanti della città virtualmente alienabili, o nella migliore delle ipotesi degli ospiti, entro certi limiti, tollerati. Le misure di controllo sempre più operano nel senso di una sospensione temporanea (emergenziale) della cittadinanza.
Le tecniche di design ostile oggi si sono evolute passando dalla dissuasione dello stazionamento (pernotto e lunga sosta) a quelle della riduzione dei tempi del passaggio (ad esempio le panchine inclinate). L’attraversamento della città s’avvia alla regolamentazione tramite disco orario.
Le pratiche di respingimento, allontanamento, alienazione, somigliano sempre più a quelle di un capitalismo che ci vuole fuori dal pianeta, a non intralciare i suoi piani d’occupazione finale, in una estrema prefigurazione di un futuro in cui la forza lavoro avrà diritto s’esistenza solo se multiplanetariamente specializzata e adattata a vivere su altri pianeti del sistema solare.

Documentati un po’ di psico-dissuasori della stazione Termini gli ufociclisti, in ritardo sulla tabella di marcia, si sono diretti verso l’iniziale punto di raccolta a piazzale Appio. Nel fare ciò sono passati per un pezzo di via Casilina vecchia, adiacente a Porta Maggiore, che spesso viene citata nei rapporti sulla zona est/sud-est di Roma.

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Gli ufociclisti (illuminati a giorno) fermi lungo l’intersezione di Casilina vecchia

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Ci si rimette in cammino

Si tratta di una intersezione, ovvero di un tratto “sociopatico” (si veda anche: Intersezione Togliatti) di strada che pur immerso in molte atmosfere che attraversa (molte UDA), riesce a non contaminarsi, restando sempre avulso da qualsiasi tipo di caratterizzatine emozionale. Questo il senso dell’attributo della sociopatia.
Sono pezzi di città molto peculiari che costituiscono delle specifiche soluzioni di continuità in sezioni di territorio che altrimenti potrebbero apparire del tutto omogenee. Costitutivamente aiutano molto bene a comprendere i radicali cambi d’atmosfera nel passaggio da un’UDA all’altra.
La foto sopra è stata scattata nel momento in cui collettivamente si approfondisce la storia di questa intersezione. Qui un tempo c’era l’occupazione dell’Ex Pastificio Pantanella, retta da migranti (la cronaca di Radio Radicale dell’epoca) e oggi divenuta un residence per classi altolocate (ironia della sorte?).

Infine la ricognizione è giunta a via della Travicella, obiettivo finale della pedalata.
Si tratta di una piccola strada (una traversa di via Appia antica, situata poco dopo porta San Sebastiano), inclusa in due piccoli muriccioli e pavimentata con sanpietrini. Ufociclisticamente si tratta di una varietà dimensionale d’ordine inferiore, un “budello” di spazio che esprime prioritariamente il comando del dover-fare o del non-poter-non fare, vista la sua carenza di dimensioni spaziali. Lungo una varietà d’ordine inferiore si può procedere avanti, indietro; al più fermarsi o accelerare. Varietà d’ordine inferiore sono anche i tunnel, le funi, gli ascensori o una vita retta da sani e inamovibili principi.
Un modo di combattere questa prevaricazione è quella d’occupare una varietà dimensionale con un picnic ad esempio.
Essendo disertata da automobili, via della Travicella è perfetta per picnic esoplanetari (banchetti vegan di benvenuto per extraterrestri) e soste per skywatching a rimirar stelle, pianeti e lune.
L’ufociclista Diego s’è intrattenuto a individuare le costellazioni facendo volontariamente a meno di google skymap.

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via della Travicella. In cielo è visibile un UFO. Ci troviamo infatti vicinissimi a una importante ley line: via Appia antica

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Sul momento non ci eravamo accorti. Lo abbiamo visto solo molto più tardi riguardando le foto di Francesco (qui in dettaglio e più contrastata).  Si potrebbe trattare di un UFO a forma triangolare… molto caratteristico nelle descrizione di questi fenomeni

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via della Travicella

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via della Travicella, il picnic esoplanetario

Durante l’abbondantissima cena a base di hummus, insalata di echinacea, cicerchia patate e peperoncini, s’è avvita una accesissima discussione sul senso dell’Antropocene evocato da un’ufociclista che consigliava la visione del film Antropocene, l’epoca umana.
Rapidamente il venire meno di una netta distinzione tra Antropocene e Capitalocene (distinzione che tra le tante annovera anche uno scarto quantitativo dell’intervento umano sul pianeta) ha dirottato le osservazioni degli astanti sulle responsabilità delle civiltà fin dal neolitico e, se plausibile, anche prima, finendo per assumere i toni della divaricazione tra occidente e resto del mondo.
Pericoli in cui ci si può imbattere quando l’analisi transita dalle responsabilità degli specifici modi di produzione a quelle “personali” (opinione del compilatore del rapporto).

A fine cena i ricognitori si sono avviati nuovamente verso il punto di raccolta iniziale onde dichiarare conclusa la sedicesima ricognizione.
Anche questa volta nessun alieno ha accettato l’invito a cena. Sarà certamente per la prossima volta.

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Mappa del percorso e operatori (clicca qui per ingrandire)

Legenda:

UDA armonica (si veda: Le UDA armoniche)
Occultatore
Omphalos
Tonal
Piattaforma girevole (si veda: Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli)

 

 

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Gilets Jaunes a bordo di dischi volanti. Le piattaforme girevoli

Di Cobol

Nell’articolo Meme con la forza – lezioni dai gilet gialli, Paul Torino e Adrian Wohllebn tra le tante, affrontano la questione delle rotonde dei Gilets Jaunes. L’occupazione delle rotonde è divenuto un tratto distintivo di questa forma di movimento che dallo spazio delle rotatorie stradali prende vita, si accampa e poi detona.
Nell’analisi dei due militanti americani, le rotonde sostituiscono, come ennesimo aspetto innovativo di questo movimento, le piazze centrali, le grandi vetrine in cui generalmente i movimenti “fanno sfoggio muscolare” dimostrando di poter occupare un luogo simbolico visibile, generalmente molto sorvegliato, inespugnabile e tanto vicino ai centri di potere.
L’elemento innovativo, oltre che nella topologia del luogo occupato, sta nel tempo di permanenza che trasforma questi spazi in cittadelle satellitari proprio come nella distopia ballardiana L’isola di cemento.
A differenza delle decorative piazze, e questa è la tesi, le rotonde sono un oggetto della vita quotidiana, senza soluzione di continuità con l’esistenza di tutti i giorni, al contrario dei classici luoghi simbolici dei movimenti, ancora le piazze, magari disertate dai locali nella consuetudine e invece utilizzate come ring per la lotta di classe spettacolarizzata. Le piazze sono un film con troppe repliche, una sceneggiatura trita e ritrita. Non che i Gilets Jaunes non le invadano, ma non le utilizzano come collettori, come attrattori.
Disertare le piazze! Su questo hanno ragione Torino e Wohllebn, per inventare topotattiche meno prevedibili.
Ma l’inconsueto deve possedere una visione oppure tutto va bene purché sia strano? Un po’ di stranezza randomica non guasta, ma in questa dissertazione mi concentrerò sulle affordance, ovvero sugli inviti all’uso che oggetti, luoghi, persone, situazioni, spronano a intraprendere: vere e proprie istruzioni per l’uso, libretti delle istruzioni che si generano da una commistione di caratteri “oggettivi” (forse sarebbe meglio dire sedimentati nel profondo) e di consuetudini sociali. Un graffito sul muro, ad esempio, è generato dall’invito all’uso della parete che ha le medesime caratteristiche di uno schermo e di un quaderno, e dal fatto sociale che la scrittura urbana ha sviluppato una tradizione in merito alle pareti, ai muri, invece, ad esempio, di produrre linee sulla terra come a Nazca.
Inviti all’uso, quindi, ma per essere più precisi è il tradimento delle affordance (affordance conflittuali) che mi interessa, perché che sia illegale o meno, scrivere su una parete pubblica risponde a un’affordance prevedibile, sollecitata, etero-attivata (eterodiretta?), solo per fare un esempio. Le affordance rappresentano le attenuanti generiche di qualsiasi pratica d’esseri senzienti.

Occupare una rotonda invece di una piazza cittadina significa non trasferire il valore dell’azione ad uno statuto simbolico superiore, alla casta sacerdotale dei mediatori, ma lasciarlo all’altimetria a cui si è generato. Significa dialogare a quattro occhi con il dio senza affidarsi alla protezioni ambasciatoriali di alcun mistico attutore. Questo ancora nella logica argomentativa di Meme con la forza… anche se detto in altro modo. Come ufociclisti riconosciamo in ciò la dicotomia UDA contattistica vs esomediatori.
I due autori si guardano bene (a ragione) dal citare i non luoghi, categoria socioantropologica tanto di successo quanto inevitabilmente disadorna di propulsore avverbiale. Una di quelle categorie che dici: vabbè, anche ammesso che…, ma poi che ci faccio?
Eggià che ce ne facciamo noi dei non luoghi? Dopo esser stati così ligi nell’averli individuati su una mappa: come ci cambiano la vita?
Ma che li si citi o meno, il senso dell’ osservazione di Torino e Wohllebn è anche un po’ quella: le rotonde (nelle loro argomentazioni) ben inscenano quel carattere di acefalicità che gli stesi esaltano come il vero elemento di novità di questo tipo di lotta/rivolta. Un corpo senza testa, che ragiona col cuore è un po’ la traslazione eziologica del non luogo, dello spazio geometrico privato del cogito. Uno spazio che lo si vorrebbe cosmopolita nel migliore dei casi e a volergli fare un favore.
D’altro canto non potrebbe essere altrimenti. Se è vero che si tratta di spazi “genuinamente” inclusi nella città, luoghi quotidiani, è anche vero che di spazi ostili alle forme di vita si tratta; luoghi per estremofili (o feticisti ballardiani): così familiari e così ovviamente disertati in condizioni “normali”. Luoghi a cui, del tutto spontaneamente, ognuno di noi appiccicherebbe l’avverbio non anche se a suggerircelo non fosse un antropologo francese di fama.
Non mi risulta infatti, ma forse ora con la sola eccezione della Francia, che esistano daspo concernenti delle rotonde.
Le rotonde fanno schifo anche ai reietti.

Bene fanno i Gilets Jaunes a occupare le rotonde. La questione è quale lezione (dal sottotitolo dell’articolo di Paul Torino e Adrian Wohllebn ) trarne.
Nella interpretazione acefalizzata di Meme con la forza si tratta in effetti degli stramaledetti non luoghi, occultati e riproposti in chiave riottosa.
Comunque sia, la debolezza del punto di vista di Torino e Wohllebn è la stessa che accompagna la malfamante categoria analitica. I non luoghi lungi dall’essere spazi stranianti, acefali o cosmopoliti, sono semplicemente zone a cui nessuno vuol davvero bene e che quindi possiamo desiderare fugacemente (quando siamo in cerca di disimpegnati esotismi atmosferici e linguistici) o odiare ferocemente, senza che nessuno, in fin dei conti, se l’abbia troppo a male.
A parte i Gilets Jaunes e i frascatani chi mai si difenderebbe una rotonda?

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Una bellissima rotonda a Frascati adatta alla sperimentazione di piccoli riot

Ma il non luogo è ovviamente anche un’illusione, una distorsione sentimentale frutto dell’eterna pratica di appropriazione amorosa/morbosa delle cose.
I canili sono forse pieni di non cani perché nessun padrone li ama? Si tratta invece di animali la cui libertà è subordinata ad un rapporto “sentimentale”, perché straziante, viscerale e sentimentale è l’educazione giovanile verso la proprietà privata. I romantici sono degli aguzzini gargarozzoni.
Estremamente interessante allora il fatto che l’altra caratteristica fondamentale che Torino e Wohllebn colgono nelle lotte dei Gilets Jaunes, ciò che le rende “vocazionalmente” vaccinate alle intromissioni fasciste (secondo gli autori), è proprio la mancanza di qualsiasi forma di negoziazione con la proprietà privata. I Gilets Jaunes giungono dalle rotonde alle piazze per spaccare tutto, facendo a pezzi il baluardo di fronte a cui si genuflette anche il sedicente radicalismo fascista: la grande proprietà privata. L’attacco alla proprietà privata trasforma le piazze in rotonde.
Mentre Notre-Dame brucia qualche illuminato urbanista rimugina sul bizzarro arredo urbano che potrà inventare in uno spazio improvvisamente e imprevedibilmente resosi disponibile a divenire rotatoria.

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La rotatoria di Colleferro dedicata al capitalismo multiplanetario (lanciatore Vega)

Sulla presunta capacità connaturata di tenere fuori i fascismi nutro seri dubbi. D’altronde, sono gli stessi due autori a riconoscere che c’è stata una volontà precisa di cacciare i  fascisti dalla barricate ogni qualvolta si siano identificati con vessilli e simbologie.
La pratica dell’assalto alle zone dei ricchi e la sistematica distruzione non fanno quindi il paio con il feticismo per i non luoghi, ma conducono altrove. Un corpo senza testa che s’abbatte con violenza sulla proprietà privata non è immune dal fascismo. Ma sopratutto: un non luogo è incapace di generare conflitto, di esserne la piattaforma d’appoggio.
Va rintracciata allora l’affordance delle rotonde per comprenderne, nel suo ribaltamento logico, il carattere conflittuale (negativo in senso adorniano) che le fa mordere, le fa fare tutto a pezzi e infine le fa inghiottire. Non saranno né il “genuino” (la vicinanza alla vita reale), né il “buon selvaggio” (ragionare col cuore) a farlo per noi. Non c’è pratica automatica che ci metterà al riparo dal fascismo se non ci mettiamo anche la testa e un bel po’ di pregiudiziali a monte.

Le rotonde non sono un oggetto familiare più di quanto non lo sia una piazza. Sono oggetti ostili senza compromessi laddove le piazze ricorrono alla cosmesi per fingersi spazio amichevole e collettivo. Ma quando il mascara inizia a graffiare l’asfalto (quando iniziano a emergere le politiche del decoro, i suoi daspo e le zone rosse dell’interdizione), allora il crudele ridestarsi dall’illusoria pace sociale, l’aver toccato il fondo della credulità beota, fa apprezzare anche la brutale onestà intellettuale sbandierata dalle rotatorie. Confonderle per degli spontanei alleati è quindi comprensibile, ma occorre andare oltre questo lancinante bisogno d’affetto che ci ottunde i sensi, che ci fa scodinzolare ogni qual volta qualcuno ci tende la mano scevra da randello.
Provate ad attraversare una piazza cittadina, meglio se centrale e nota come il vanto della comunità perbenista. Notate un certo impaccio emotivo? Udite la frequenza dell’odore del mascara che graffia i cofani delle automobili ivi ammonticchiate? Sì? Strano in verità, le piazze nascono invece per far sentire a proprio agio la comunità, per strapparci alla dimensione privata del nostro confortevole salotto. Le piazze sono la comunità umana.
La verità è che il capitale è più adorniano di noi e il ribaltamento logico, il negativo, lo ha attuato da tempo manipolando efficacemente le affordance. Ha chirurgicamente individuato il ruolo centripeto delle piazze e lo ha silenziato trasformandole in luoghi ostili e respingenti.

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Ufociclisti accertano l’impulso centrifugo, il ribaltamento d’affordance, di una piazza a Omegna

Le piazze si sono trasformate così in trappole che ci attirano per poi mortificarci emotivamente. Ancora più concretamente, ci attraggono centripetamente per poi identificarci con sistemi di riconoscimento facciale, con fermi e identificazioni qualora si sia involontariamente varcata una zona rossa immateriale, come bene sanno gli anti-facial recognition di Hong Kong.
L’attrazione-trappola si trasforma quindi in repulsione-daspo, allontanamento, respingimento entro la vuota formula del decoro, sotto gli occhi di tutti, alla luce del sole, senza che nessuno ci faccia veramente caso. Se di decoro si tratta allora tutto è ammesso, dato che altro non ci resta. Si tratta del principio d’identità tra la piazza e il “monumentale” salotto (piccolo borghese) di casa, entrambi interfaccia pubblica del grigiore e della reclusione casalinghi. La piazza va tenuta religiosamente “pulita” come il salotto di rappresentanza. Guai a farci cadere le briciole.

Gli ufociclisti ereditano dalla pratica psicogeografia il concetto di piattaforma girevole per descrivere quei luoghi del transito che invitano, costringono, forzano la rotazione. La piattaforma girevole, ufociclisticamente, potrebbe avere anche una seconda definizione: l’opposto della piazza. La sua affordance è infatti spontaneamente centrifuga, sparpagliatrice. Si tratta a tutti gli effetti di un mulinello, o di un tornado: dipende dalle dimensione ed è direttamente proporzionale al numero di direttrici di fuga. La rotonda di Frascati sopra fotografata è un mulinello.

La rotonda spazza un’ampia superficie e in questo suo creare caotici flussi ha anche un ruolo rigeneratore.
Se analizzata attraverso la sua affordance (piattaforma girevole) la rotatoria si tramuta da tracciato di un cerchioide a pianale rotante, su cui una volta saliti si assiste, da un sistema di riferimento inerziale non solidale con esso, a “bizzarri” fenomeni fisici.

Le cose che accadono su una piattaforma girevole sono incomprensibili per chi le osserva da fuori, e similmente collocandoci su una piattaforma girevole ci sfuggiranno le leggi che regolano il mondo di chi sta fuori e non rotea con noi.
Cosa accade quando si occupa una rotonda quindi? Si procede alla stessa operazione portata a termine dal capitale rispetto alle piazze, ma con effetti diametralmente opposti: la repulsione-daspo si trasforma in attrazione-trappola.
Occupare una rotonda significa quindi deturnarne la funzione, sovvertire la sua affordance, silenziarla.
La possibile “trappola” sta nel rischio di non riuscire più bene a comprendere cosa accada ai sistemi di riferimento che ad essa non sono solidali, finendo per vivere felicemente con Ballard in un’isola di cemento (il ghetto).
Ecco mi pare questa la “lezione” (almeno una) che ci proviene dai Gilets Jaunes, la capacità di trasformare il territorio a partire dalle affordance espresse dagli oggetti che lo caratterizzano. Una scelta tutt’altro che romantica, che non scomoda l’Illuminismo e Rousseau.
Questo è anche il senso politico dell’UfoCiclismo: individuare gli oggetti che caratterizzano il territorio (e la sua solidificazione cognitiva, la mappa) e resettarli attraverso strategie d’affordance conflittuale pilotata. Conferire un significato diverso al territorio individuandone i puntelli della struttura spaziotempo che lo tengono in piedi e dispiegato.

E’ quindi del tutto normale (anche se non scontato) che le rotonde divengano i luoghi privilegiati del conflitto, sopratutto laddove la lotta è prioritariamente un scontro per la coesione della comunità, contro le forze disgregatrici che operano affinché ci si senta tutti contro tutti, gli uni contro le altre. Spegnere le rotonde! Silenziale le piazze deturnate! Altro che oggetti familiari!
Si tratta di una battaglia tutt’altro che simbolica, che si spinge fin dentro al funzionamento dei meccanismi di definizione e strutturazione spaziale.

Anche la massa critica ciclistica ha una propria strategia d’affordance conflittuale specifica per le rotonde. Dal punto di vista della tattica i risultati ottenuti sono esattamente gli stessi (il silenziamento dell’affordance dispersiva), anche se fenomenologicamente il risultato è molto diverso.
Dato che come abbiamo visto l’affordance della rotonda (piattaforma girevole) è intrinsecamente centrifuga, la massa critica si compatta e inizia a roteare attorno ad essa resistendo alla sua capacità di “farla a pezzi”. Tanto più la massa critica rotea, tanto più essa resiste agli effetti “naturali” della rotonda, sfidandone il ruolo all’interno del contesto spaziale, minando il suo operato. Sovvertendo gli effetti della rotatoria, la massa critica mette in crisi il sistema dei flussi e delle circolazioni che, in condizioni non conflittuali, plasmano lo spazio circostante rendendolo ciò che quotidianamente (e nella sua monotonia) esso è.

Sopra tre esempi di massa critica alle prese con una piattaforma girevole.
Nel terzo video sono anche udibili due fronti sonici (massa critica ciclistica e automobili) che si affrontano per l’egemonia atmosferica della rotonda (si veda anche Le UDA armoniche).
Occupare una piattaforma girevole significa, in questo senso, salire su di un “disco volante”, trasformando il proprio e l’altri punto di vista.
Le piattaforme girevoli avevano già oltremodo interessato i situazionisti e quindi, ancora una volta, non deve sorprende più di tanto che questa storia si ripeta in una Francia in subbuglio.
Nel filmato che segue un altro esempio di approccio critico alle rotonde.

In fine, come ci si allena a sconfiggere una piattaforma girevole:

 

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Piattaforma girevole volante miniaturizzata