La varietà dimensionale 2 – Capranica-Civitavecchia – 14/7/2018

Rapporto redatto da Dafne
Integrato da Cobol Pongide
Percorso: ex ferrovia Capranica-Civitavecchia

L’ansia della sveglia alle 7 di mattina fa dimenticare i piaceri del viaggio e rischia di dissuadere le persone dall’affrontarlo, invogliandole a restare a letto.
Nonostante ciò gli ufociclisti riescono a ritrovarsi puntuali in stazione, fare i biglietti con facilità, dribblando tutte le trappole burocratiche e i temporeggiamenti della macchinetta che prima ti avvisa di “fare attenzione ai borseggiatori” e poi si premunisce di dirti che il biglietto è valido solo in giornata e cose così, e salire in tempo sul treno che li porterà a Capranica Sutri.
Proprio sul treno avviene il primo incidente di percorso. I nostri eroi hanno la prontezza di chiedere al primo controllore che gli si para davanti se quello è il treno giusto per loro, e la donna, dubbiosa, guarda il suo tablet e li indirizza al binario corretto. Per fortuna sono in anticipo e riescono in fretta a ritrovare il loro treno.
Binario 4. Il nuovo controllore, o sarebbe più corretto dire la controllora, li informa che forse si dovranno separare perché il treno non è predisposto per le biciclette e dovranno trovare posto dove possono. Ma i nostri sono abituati ai treni e riescono a sistemarsi alla meglio con le bici nello stesso vagone evitando anche di bloccare il passaggio nel corridoio e di far sbattere i loro mezzi di trasporto qua e là.
Siedono vicino a un ragazzo tutto assorto dietro uno schermo. Anche lui viaggia con un mezzo a pedali, ma di quelli pieghevoli che si mettono con le valigie e così nessuno si accorge della loro presenza. Sul treno sono tutti silenziosi, sono pur sempre le 8,30 del mattino, guardano tutti i loro piccoli schermi o parlano al telefono con gli auricolari, forse vanno al lavoro o a trovare i parenti al paese per il fine settimana. Solo i tre ufociclisti hanno voglia di chiacchierare e si raccontano le cose più disparate, dalle esperienze di coinquilinaggio, alle vacanze che li aspettano passando per gli alieni insettoidi (presagio). Silvia viene da Milano, è di passaggio dalla capitale dove ha vissuto parecchio tempo e praticato UfoCiclismo. Forse un giorno fonderà la colonna milanese. E’ in procinto di andare in vacanza. Gli altri due sono ormai da diversi anni presenze fisse della periferia sud/est di Roma.
Il loro vicino di sedile si volta ogni tanto verso di loro e sorride nell’ascoltare i loro discorsi. Man mano che il viaggio prosegue sembra condividere sempre più le loro storie, malgrado rimanga nel silenzio. Solo una volta prova timidamente a intervenire nella conversazione. Si rivolge a Silvia che però non è in questa occasione troppo loquace.
La controllora che avevano incontrato poco prima giù dal treno passa a controllare i biglietti. Premurosa verso i passeggeri e sopratutto verso i ciclisti pare quasi faccia un altro mestiere e che su quel treno ci sia capitata per caso tanto che i tre pensano che l’abbiano presa perché con l’arrivo dell’estate il personale di bordo scarseggia.
Prima si prende in carico le vicende del biglietto del tizio con la bici pieghevole.  Dopo un po’ di tempo passa a controllare i biglietti degli ufociclisti.
Alla stazione successiva salgono molte bici.
Alla stazione San Pietro, sale un quarto ufociclista, quello che sarà la loro guida, in tutti i sensi, sia per i suoi preziosi consigli su come affrontare le strade sterrate e mantenere l’equilibrio sui ciottoli anche con una bicicletta da corsa, che per la conoscenza del percorso che il gruppo si accinge ad affrontare. Egli possiede anche il navigatore satellitare e il contachilometri.

Prima di lasciare finalmente il treno e avventurarsi sul percorso della vecchia ferrovia ormai dismessa, Cobol chiede alla controllora se anche lei va in bici. Come se non avesse aspettato altro che quella domanda, lei, felice, con gli occhi che le si illuminano, risponde di si, che ci va spesso, dalle parti del lago di Bolsena, dove vive. Allora Cobol le regala un flyer e la invita alla prossima uscita. Lei in visibilio, promette che prima o poi si unirà a loro.
Speriamo di rivederla prima o poi perché è davvero simpatica.

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Il rassicurante flyer con cui gli ufociclisti fanno proseliti

Al bar della stazione si fermano a fare rifornimento di zuccheri, ma soprattutto d’acqua. È la prima volta che non incontrano gente che li guarda con sospetto o sorpresa e che invece di giudicarli dei pazzi che vanno in giro a pedalare “con questo caldo”, li guardano con entusiasmo e tradiscono la voglia di abbandonare tutto, inforcare la bici e seguirli. Anche la barista è di questo parere.
Dice che altri quella stessa mattina sono partiti prima di noi per lo stesso itinerario.

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Anche le guide più esperte possono essere deviate dai navigatori satellitari. Così succede alla loro guida che ci trascina su una strada in discesa che si allontana dall’ex ferrovia che invece è la nostra meta. Se ne accorge subito per fortuna e ritrova immediatamente il sentiero (qui il percorso corretto per accedere alle ferrovia dismessa).

Diciamo immediatamente che una ferrovia dismessa è  una varietà dimensionale di tipo 2: “si tratta di un territorio a due dimensioni. Una dimensione in cui vengono compresse due coordinate spaziali (larghezza e profondità) con la restante dimensione percettiva ed emozionale sottoposta a forte irreggimentazione sociale e psichica” (si veda l’atlante ufociclistico). La ferrovia è, d’altro canto, una istituzione totale come l’avrebbe definita M. Foucault al pari di un ospedale, di una scuola o di una caserma. Lungo la sua direttrice è difficile deviare, intraprendere percorsi alternativi e quant’altro. La ferrovia è così tanto istituzione totale da impartire una direzione e una forma di disciplinamento anche quando dismessa (come in questo caso). In questo senso la nostra esplorazione ha voluto assecondare questa sua natura per scoprire in quali luoghi ci avrebbe condotti.

La squadra s’inoltra nel mezzo di un groviglio di rovi che lascia appena uno spazio per passare. In mezzo a loro nuvole di farfalle colorate che amoreggiano o si posano sui fiori. Su alcuni cespugli crescono già le more prontamente ingerite dagli ufociclisti.
Pedalano sulla sabbia. Dafne con la bici ibrida, mountain bike col manubrio da corsa, monta cerchioni da strada, inadatti a quel percorso. Sente la bici che affonda e più di una volta rischia di sbandare. Inoltre deve spesso fermarsi perché le borse in cui ha stipato acqua e vivande non ben fissate sul portapacchi pendono ora da un lato ora dall’altro rischiando di sbilanciare la bicicletta. L’ufociclista guida le viene in aiuto.
Non snobba la sua bici come molti fissati della mountain bike, ma le insegna che è lei a dover adattarsi a un percorso di tipo diverso. Deve uscire dalla mentalità di chi guida su strada. Mettere le marce più basse che ha per alleggerire al massimo la bici e pedalare più possibile, per non impantanarsi e poter andare più facilmente anche sui sassi. Le dice anche di bilanciare i pedali quando non pedala, ovvero tenere i piedi alla stessa altezza, le gambe chiuse come a stringere il sellino e alzare leggermente il sedere, in modo da non poggiare quasi sulla bici e non subire tutti gli sbalzi delle ruote.
Lei scopre che lui è un esperto di equilibrio. Fa equilibrio sulla bici, sul monociclo e perfino sulla corda. Lei, invece, ha sempre avuto problemi con l’equilibrio e la bici è la sola cosa che riesce a farglielo ritrovare e mantenere.
Arrivano alla prima galleria. Un’aria fresca viene dall’imbocco. Lungo la strada hanno trovato tracce di orsi perciò hanno timore a percorrerla. Ma accendono i fari e si fanno coraggio. Cobol presta una lucetta a Dafne e le raccomanda di non tenerla accesa perché si scarica facilmente.

L’ufociclista guida dice loro di stare sempre sulla sinistra, perché al centro le gallerie sono bucate: di solito il buco è coperto da lastre di cemento che ne segnalano la presenza, ma in alcuni punti queste lastre sono inesistenti e i buchi sono ricoperti da sabbia o non ricoperti affatto perciò bisogna fare attenzione.
In fila indiana, tenendosi quanto più vicini possibile, percorrono la lunga galleria nel buio più totale.
Il buio crea strane illusioni ottiche e Dafne, vedendo la roccia bianca che si china e crea quasi una piccola pendenza, che finisce in un rigagnolo d’acqua, non si sente di percorrere quello stretto corridoio pedalando. Così cammina un po’ finché non le sembra che il terreno sia di nuovo piano. Poi, ricongiungendosi agli altri, ritrovando le luci dei fari e avvicinandosi alla luce del sole che filtra dall’uscita dalla galleria, ritrova la sua sicurezza e ricomincia a pedalare.

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All’entrata della prima galleria

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Il sistema di drenaggio dell’acqua piovana nelle gallerie

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L’atmosfera psichedelica all’interno delle gallerie

Nella foto che segue tre dei quattro ufociclisti presenti all’uscita della prima galleria (S. Donato).

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Per quel che riguarda le gallerie, esse possono essere alternativamente degli occultatori o dei separatori (guarda qui un esempio di separatore). In questo caso si tratta di un occultatore dato che il suo compito è quello di restituire percettivamente una continuità di atmosfere (quella predominante la zona d’entrata e quella predominante la zona d’uscita) che è invece solo apparente.
Congiungendo due UDA con atmosfera diversa e essendo essa stessa un’UDA con atmosfera irriducibile a quelle limitrofe la galleria è anche uno strappo (guarda qui un esempio).
Gli strappi sono tipici delle dimensionalità d’ordine superiore e più specificatamente della varietà 4 (si veda l’atlante ufociclistico). Tutto ciò e in contraddizione con quanto fin’ora l’UfoCiclismo aveva sostenuto circa le dimensionalità d’ordine inferiore (1 e 2). Su ciò dovremmo presto ritornare calibrando meglio questo tipo di strumento analitico.
Ovviamente le atmosfere provenienti da UDA (si veda qui un esempio) poco antropiche (prevalentemente UDA naturalistiche) sono difficili da decifrare. In questo caso in realtà ci troviamo in una situazione mista in cui la vecchia ferrovia caratterizza fortemente il paesaggio naturale costringendolo, come abbiamo visto, in una varietà dimensionale 2.

Ci si ferma a una deviazione del sentiero per mangiare una banana tonificante e riprendere le forze (le banane sono un alimento altamente consigliato in questo tipo di situazioni con bicicletta).
Dopo aver camminato ancora un po’, la squadra si ferma di nuovo nei pressi di una delle tante stazioni abbandonate e semidistrutte dagli agenti atmosferici, dal fango e dalla vegetazione. Silvia ha forato. L’ufociclista guida smonta la bici in un attimo e con fare esperto, in men che non si dica, sostituisce la camera d’aria. Bravo Alessandro! (Finora non l’avevamo mai nominato).
Poi la vegetazione si apre. Passano attraverso pareti scoscese di pietra, che un tempo forse erano servite a circoscrivere lo spazio della ferrovia, o a facilitare il passaggio del treno. Adesso le pareti formano come delle terrazze in cui crescono cespugli, erbe, rovi, in una sorta di giardino verticale spontaneo.
Poi il paesaggio si apre ancora e intorno a loro si estende una valle, dove crescono radi alberi. Camminano su ciottoli e rocce che creano spuntoni sul terreno. Passano una staccionata sulla quale devono sollevare le bici per passare dall’altra parte, e dopo un po’ devono fare lo stesso per passare un muro che blocca il sentiero.

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La squadra giunge nella vecchia stazione di Civitella – Cesi (ormai ovviamente dismessa).

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Ufociclisti alla stazione di Civitella – Cesi. Di straforo c’é anche il Luther Blissett Project

Ancora lungo il percorso: altre stazioni dismesse e altre gallerie.
Un altro muro e oltre questo  inizia un ponte di ferro. Sotto passa un fiume: il Mignone.

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La pausa sul ponte della ferrovia

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Il Mignone visto dal ponte

Il ponte di ferro sul Mignone è davvero affascinante. Tecnicamente anche un ponte, proprio come una galleria può essere un occultatore o un separatore.
In questo caso si tratta di un separatore perché esso restituisce l’impressione di mettere in collegamento due UDA con atmosfere differenti mentre invece esso è solo una scorciatoia all’interno della stessa UDA naturalistica.
E’ inoltre di una varietà dimensionale 2 se non addirittura 1: “si tratta di un percorso unidimensionale fortemente irreggimentato socialmente e psichicamente. L’irreggimentazione diviene praticamente l’unica coordinata visibile” (si veda l’atlante ufociclistico).
La varietà dimensionale di un ponte va ancora ben compresa ma l’ipotesi che azzardiamo dopo aver percorso il suddetto e che si tratti di una varietà 1.
Ufociclisticamente conoscere la varietà di un percorso è molto importante perché può metterci sulla giusta strada per individuare la natura di un’UDA.

Sono ormai le 14.00 e la squadra è ancora a metà percorso, perciò, ormai completamente fuori orario rispetto alla tabella di marcia, si ferma a mangiare.
Scoprono che da quelle parti viene la gente ad arrampicare. Sorge perciò spontanea la curiosità di sapere a che altezza si trovi il ponte. Gettano un chicco d’uva di sotto e calcolando il tempo che ci mette ad arrivare a terra, e facendo appello a tutta la fisica che ricordano (in particolar modo all’energia potenziale gravitazionale: h=v^2/2g) fanno una stima dell’altezza del ponte. 22,80 m.
La scoperta di quell’altezza così vertiginosa e la consapevolezza del fatto che basta mettere un piede in fallo per cadere dai buchi che si aprono ai loro piedi, non li spaventa. Anzi provano un certo piacere, azzarderei a dire addirittura una certa sicurezza e spavalderia a stare lassù. Perciò rimangono lì, contornati dal silenzio della valle desolata, finché il cielo comincia a oscurarsi e minaccia di piovere. Ma anche l’idea di ipotetici tuoni o lampi che potrebbero colpirli su un ponte di ferro non li scoraggia. Passa un po’ di tempo prima che si decidano a rimettersi in cammino.

Dopo aver pedalato per un po’ sui ciottoli, si ritrovano in un’altra galleria. Stavolta Dafne pedala sul rivolo d’acqua senza pensarci troppo; ma l’acqua ben presto diventa fango. Scende perciò  dalla bici e cammina per un po’ lungo il muro. Alla fine della galleria si staglia un alto muro davanti a loro. Devono scavalcare e portare le bici dall’altra parte. Ai piedi del muro, semisommersa dal fango c’è la carcassa di una vecchia motocicletta. Le ipotesi sulla fine che ha fatto il suo proprietario si fanno molteplici, e ritorna la paura dell’orso, perciò si affrettano a uscire da lì.

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A turno salgono sul muro, aiutati da uno scalone all’interno della galleria, su cui issano le bici per poi alzarle fino alla sommità. Dall’altra parte li aspetta il pantano. Lì la compagnia rallenta. Dafne ha i piedi ormai completamente immersi nel fango.
Prova a pedalare, ma poi si ferma perché anche gli altri si sono fermati e passano tutti a piedi, cercando di camminare sulle “isolette” di rami spezzati per evitare di affondare le scarpe nel fango; tranne Alessandro che non scende mai dalla bici, come incollato ad essa. Alessandro l’eroe di questa puntata!

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Frattanto, insetti giganti passano loro vicini, libellule antichissime attaccate l’una all’altra, ragni che aderiscono con le loro zampe adesive alla superficie dell’acqua e cavallette.
Guadato il pantano, completamente zuppi (Cobol è finito anche dentro una pozza con tutta la bicicletta), Silva con fare per nulla sospetto affianca Cobol e intraprende una discussione sugli alieni insettoidi. “Ma tu che dici…”; “ma te che ne pensi…”; “come reagiresti se li vedessi…”. Cobol diventa sospettoso. Poi d’improvviso si ferma, osserva attentamente Silvia sperando che ella sia il più diretta e sincera possibile e che la sua sia una disinteressata chiacchierata tra colleghi. Poi le chiede: “ho una cavalletta gigante addosso?” Silvia non può che rispondere con estrema sincerità: “si: sulla schiena”.
Ora Cobol tra le tante non qualità ha quella da panico d’insetti giganti. Cerca di mantenere la calma e facendosi guidare da Silvia cala lo zaino nella direzione della cavalletta gigante sperando che questa desista la scalata. Non desiste. Anzi dalla schiena produce una manovra evasiva che la porta rapidamente sul lato di Cobol dove finalmente diviene visibile a quest’ultimo. E’ praticamente un alieno. Grossa come una pannocchia.
Si tratta a tutti gli effetti di un incontro ravvicinato del terzo tipo. Tra tutti gli ufociclisti ha scelto proprio quello col panico da insetto fuori misura.
I momenti che seguono sono concitati. Cobol è visibilmente nel panico e con fulminea mossa caccia l’alieno. Chiede ai compagni se la cavalletta s’è allontanata. Della cavalletta non c’e’ più traccia. Cobol si riprende dallo shock. Propone seduta stante una mozione per non intraprendere mai e poi mai alleanze con alieni insettoidi.
La mozione non passa perché troppo partigiana e dettata da circostanze che influenzano emotivamente il promulgatore.
Si rammarica molto però: gli dispiacerebbe averla ferita. Proprio un bell’inizio di dialogo con gli alieni. Ma in effetti l’addetta alle ambasciate è Lorena che però non è presente.

Poi la squadra ricomincia a pedalare: il sentiero è stretto e in mezzo c’è un avvallamento che rende difficoltosa la pedalata. Alessandro fa provare la sua bici a Dafne. Lei riconosce che quella bici che pare ingombrare come una motocicletta, è in realtà molto leggera. Tuttavia, forse per abitudine o per l’ingombro che le procura, fa comunque fatica a portarla e ha comunque paura a passare nel fossato o sulle leggere pendenze che invece ad Alessandro non fanno alcun effetto. Perciò dopo un po’ lo ringrazia e si riprende la sua biciclettina con le borse che pendono da una direzione o dall’altra e le ruote piccole, ma resistenti. Di colpo si rende conto che davanti a lei c’è una buca enorme, ma segue Alessandro e ci passa di lato senza nemmeno guardare giù.
Arrivano alla stazione di Allumiere.

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Entrano dentro e salgono le scale fino in cima. I muri sono coperti di antiche pitture, e tra queste c’è un’astronave aliena, dipinta chissà quando e da chissà chi.
(Qui Cobol che l’astronave aliena non l’ha vista domanda a Dafne: perché mai non l’hai fotografata? Vabbè…)
La vegetazione circonda quelle quattro mura e sale fino alle finestre. Ovunque cacche di uccelli che vengono sicuramente a farci i nidi, e ragnatele.
Ripartono.
Dafne, rimasta indietro come al solito, arriva all’imbocco della nuova galleria. Gli altri hanno già attraversato, ma Alessandro è rimasto indietro. Mormora qualcosa tra i denti. Non vuole disturbarlo e passa oltre. Pedala stavolta fino alla fine. All’imbocco della galleria successiva, si vede in lontananza un buco da cui filtra luce: quel buco è l’uscita. Pensando quindi che la galleria sia breve, Dafne si lancia dentro senza accendere la luce, seguita da Silvia. A un certo punto quest’ultima le chiede perché non accenda la luce, e quando si rende conto che la galleria è più lunga di quello che sembrava, accende la lucetta che però, probabilmente poco carica illumina debolmente creando di nuovo strani effetti ottici. Ai lati della galleria attaccate al muro bianco, si susseguono fittissime ragnatele anch’esse ormai bianche.

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Alla galleria successiva, l’ultima, Dafne riesce a intuire la presenza dell’acqua che brilla alla luce rossa di Alessandro che la precede.. Inizialmente cerca di camminare sulle parti asciutte, poi tutto diventa di nuovo un pantano e non se la sente. Cammina con i piedi immersi nell’acqua gelida, riuscendo a sciacquarli un po’ dal fango ma poi l’acqua diventa fango di nuovo anche lì e al buio vede la superficie mossa da qualcosa che vi si poggia continuamente. Alla luce, vede che quel qualcosa sono i piccoli insetti che aderiscono appena alla superficie con le loro zampette.
Infine, arrivano su un’erta di sassi, sui quali, quasi tutti trascinano la bici a piedi. Poi il terreno torna a scendere e la strada si fa via via meno impervia finché non ritrovano l’asfalto.

Da lì percorrono 6 km di raccodo. Per fortuna non c’è nemmeno un’auto. Solo  chilometri di noiosa e faticosissima salita.
E finalmente, appare Civitavecchia con il suo porto.
La squadra razzia una fontanella, poi si getta su una piccola cala con i sassi e si immerge nell’acqua torbida, ricca di alghe rosse e brune. Ci si riposa e ci si disinfetta le ferite.
Sono giunti alla spiaggetta in calo d’acqua. Due litri a testa sono bastati a malapena e comunque non a tutti.
L’acqua del mare è davvero putrida ma dopo più di sei ore in bicicletta è un toccasana nonostante gli scarichi del porto vicino.

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Gli ufociclisti rimangono per un po’ sulla spiaggetta a succhiare pesche quasi marce e frutta secca. Poi arriva il momento di ripartire. Stavolta vanno a colpo sicuro sul treno, e in fretta, perché parte subito e non hanno nemmeno il tempo di salutare Alessandro che prende un treno diverso.
Il viaggio di ritorno è più breve di quello d’andata. Mentre parlano di film di fantascienza e di robot che un giorno forse sosterranno l’esigenze sentimentali degli umani, quasi senza accorgersene rientrano nei ritmi frenetici della capitale più caotica d’Europa. Mentre si preparano a uscire con grande anticipo (colpa sempre dell’ansia di non fare in tempo), perché devono cambiare treno a Ostiense per Tiburtina, sale un altro ciclista. Riescono nonostante tutto a non aggrovigliarsi a vicenda e a uscire così come sono entrati. Un sacco di ciclisti. Bene!

La squadra è giù dal treno ora. Sono le 20 passate. Percorrono la via Tiburtina per riaccompagnare Silvia a riportare la bici alla ciclofficina alla quale l’ha presa in prestito. La salutano.
Cobol e Dafne tornano verso la via Prenestina passando da una strada ancora non ufficialmente aperta che li porta da via di Monti Tiburtini direttamente su via Valente, senza passare per il traffico della Serenissima e del famigerato semaforo all’incrocio della farmacia notturna.
Alla periferia sud/est di Roma anche loro si separano e finisce ufficialmente la ricognizione.

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Qui la mappa completa interattiva

 

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