Collezioni e Tassonomie – La Rustica – Roma – 29/07/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Lorena

Questa ricognizione/esplorazione ha avuto il compito di testare la consistenza di due categorie “minori” dell’UfoCiclismo: le collezioni e le tassonomie.
Spieghiamo immediatamente cosa intendiamo per minori.
Entrambe hanno una funzione di raccolta di oggetti/sequenza presenti sul territorio. In entrambi i casi le collezioni e le tassonomie preparano il terreno per l’analisi vera e propria selezionando preliminarmente gli oggetti che compongono il percorso analizzato o l’UDA studiata. Si tratta in altre parole di insiemi.
L’interrogativo che con questa esplorazione volevamo risolvere è il seguente: dato che la collezione si struttura come un insieme generale mentre la tassonomia come sottoinsieme (specializzato), è pensabile che la collezione, una volta organizzata in tassonomie, perda la sua funzione euristica e che quindi sparisca dall’orizzonte di un rapporto (un resoconto) definitivo?
Al contrario: la collezione può mantenere una sua funzione euristica nella decifrazione delle caratteristiche del territorio anche una volta che sia stato fatto un lavoro tassonomico di organizzazione sugli oggetti?

Partiamo dalle definizioni:
Tassonomia: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> tra loro omologhi. Idealmente tali oggetti sono tutti trasformabili l’uno nell’altro senza ricorrere ad azioni come strappi e cuciture (deformazione continua – omotopia).
Un insieme di <<tonal>> può ad esempio costituire una tassonomia“.
Collezione: “Raccolta di <<oggetto/sequenza>> somiglianti: non omotopici. Ad esempio <<tonal>> e <<totem d’incongruenza>>, <<affordance conflittuali>> e <<affordance attrattive>>. Si tratta di congruenze molto meno forti rispetto alla <<tassonomia>>“.
Lasciamo intatti i caporaletti presenti nell’atlante ufociclistico da cui abbiamo tratto le definizioni.

Siamo partiti da via di Tor Cervara angolo via Costi. Tecnicamente ci troviamo nel quartiere di Tor Cervara sulla tradotta che ci condurrà presso il quartiere La Rustica.
Non possiamo fare a meno di “collezionare” il primo oggetto/sequenza che ci si para dinnanzi:

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Il New York 777 – cafè – casinò, scommesse e lotterie… tanto. Tantissimo tutto concentrato in un solo edificio.
Emotivamente ci cattura e lo infiliamo nel nostro “sacchetto” che chiamiamo Collezione.
Ogni inizio è complesso: una ufociclista fa notare che l’oggetto dirimpettaio del New York 777 è però forse più interessante: “perché non partire da quello?“.  Lo riportiamo nella foto che segue:

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Nel sostenere la sua tesi l’ufociclista si lascia scappare un: “l’altro fa schifo!“… prendendosene anche la responsabilità giuridica.
E’ proprio quel “fa schifo” che supporta la scelta d’includerlo nella Collezione mentre ci spinge a non considerare degno di nota quello appena mostrato che, nella sua seppur più accettabile decenza, non esprime alcuna forza tonale. Lo schifo è invece una risposta ambientale ben più interessante, capace di caratterizzare un luogo fino ad arrivare a costituirne o a disgregarne la compattezza timica: quell’aura emotiva che esso compattamente emana.
L’ufociclista non sembra troppo convinta.

Procediamo quindi su via Costi e subito c’imbattiamo negli ex edifici del comando della guardia di finanza. Foto che segue.

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L’edificio è spettralmente abbandonato (per una mappa generale sulle occupazioni abitative si veda questo lavoro di Luca Brignone e Chiara Cacciotti.
inseriamo l’edificio nel sacchetto Collezione.
Via Costi è molto caratteristica. Si tratta di una larga strada senza abitazioni ma con edifici commerciali e amministrativi: una sorta di area neutrale posta tra Tor Cervara e La Rustica. Tecnicamente si potrebbe trattare di una enclave ma non è questa la sede per accertarlo.

In un cumulo di rifiuti poco più avanti troviamo Luigi il fratello di Super Mario.

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C’e’ anche Winnie The Pooh ma recuperiamo solo Luigi (che è qui nella sede ufociclistica pronto ad essere adottato da chiunque ne faccia richiesta).

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Ancora un oggetto da infilare nella Collezione: un ulivo che, non ce ne intendiamo, ma ci pare secolare. Ci viene in mente sempre a Roma la zona dell’Alberone che prende il nome da un leccio che non esiste più (qui ce ne parla Romano Talone accennando ad altre zone di Roma caratterizzate da altre specie di albero).
Ancora non azzardiamo ipotesi sul ruolo degli oggetti che stiamo incontrando; ci limitiamo invece a resocontarli.
Non siamo ancora a La Rustica ma questa inclusione di oggetti al di fuori dell’area che ci siamo preposti come caso di studio ha un senso che emergerà più avanti.
Proseguiamo per via Virgilio Guidi e poi finalmente per via della Rustica.
Poco prima ancora su via Guidi entriamo nel parco Fabio Montagna de La Rustica.
Non siamo in cerca di qualcosa in particolare ma continuiamo nella nostra raccolta.

Il parco è molto ben tenuto. All’interno è arredato con attrezzi ginnici e guide all’uso. Le abbiamo raccolte:

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Si tratta di oggetti molto interessanti che esprimono una forma morbida di comando e di disciplinamento. Nel loro incedere numerico progressivo formano quello che Foucault definirebbe un Ordine del Discorso che sofficemente disciplina il corpo, lo sottomette ed esclude, su di esso, altri discorsi imponendo la propria volontà di verità:
Ora, questa volontà di verità, come gli altri sistemi d’esclusione , poggia su un supporto istituzionale: essa è riconfermata, e rinforzata insieme, da tutto uno spessore di pratiche come la pedagogia, certo, come il sistema dei libri, dell’editoria, delle biblioteche, come i circoli eruditi una volta, i laboratori oggi. Ma essa è anche riconfermata, senza dubbio più profondamente, dal modo in cui il sapere è messo in opera in una società, dal modo in cui è valorizzato, distribuito, ripartito, e in un certo qual modo attribuito“.
Possiamo scorgere una sorta di sistema d’esclusione in ogni istruzione per l’uso che morbidamente invita ad un utilizzo “superiore” segnando il territorio dei comportamenti non convenzionali, degli esercizi disfunzionali. In questo caso in particolare possiamo immaginare che gli esercizi “comandati” poggino su un sapere ginnico sopra la media, tuttavia che sia per il bene comune, sia che non lo sia, esso imbastisce un efficace sequenza di comportamenti che in questo specifico è molto ben esemplificato. Non a caso si chiamano percorsi, proprio come i percorsi di vita, le rette o non rette vie, le strade che qualcuno ha costruito per portarci da qualche parte o le passerelle che conducono al patibolo.
Ci viene in mente che potremo proporre l’aggiunta di una nuova voce ufociclistica: ritmi. Così in via del tutto informale si tratterebbe di oggetti/sequenza capaci di stabilire un ordine prioritario di segnali sul territorio ricorrendo a continue (e ritmiche) riproposizioni dello stimolo: una tabulazione della coazione a ripetere (abbiamo trovato una cosa non dissimile durante una ricognizione precedente a proposito degli specchi convessi stradali) che con cadenza più o meno stabile impongono una certa punteggiatura allo spazio quotidiano.
Nel sacchetto quindi.

Il parco dal lato più a sud/est costeggia ordinatamente la ferrovia FL2 (foto che segue) in una sorta di confine naturale apparentemente invalicabile. Lo è di fatto da questo lato del parco.
La ferrovia sappiamo essere una varietà dimensionale 2 (si veda anche questo resoconto) oppure l’atlante ufociclistico.

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Procedendo c’imbattiamo letteralmente in una fogna a cielo aperto che attraversa in più punti il parco (foto che segue) e qui nella veduta aerea.

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L’odore è nauseabondo ancor più in questa stagione di rapide fermentazioni. L’oggetto è comunque interessante e lo inseriamo nel sacchetto Collezione.
La fogna (o marana) segna il limite del parco oltre il quale si apre un parcheggio.
Lo attraversiamo e notiamo che al momento è accessibile ma ancora chiuso.
Su un lato di questo si apre un cancello (un’affordance attrattiva – si veda l’atlante ufociclistico) che dà sulla ferrovia. C’infiliamo restando da questo lato del passaggio (foto che segue).

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In invito esplicito a entrare che noi non possiamo non accettare.
Contempliamo come significativa anche questa affordance attrattiva che consegniamo alla nostra Collezione dato che essa ha un carattere più che semplicemente soggettivo. Un cartello (foto che segue) infatti invita a non entrare mentre un cancello spalancato ci urla esattamente il contrario. Non si tratta quindi semplicemente di un passaggio ma di una sorta di “trappola” a cui è difficile resistere: “Le affordance attrattive attraggono per definizione e spesso l’ufociclista si lascia catturare pur sapendo d’incorrere in una possibile trappola; e questo perché talvolta è saggio e intelligente farsi intrappolare investendoci tutta la propria soggettività“.
Anche questa nel sacchetto.

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Alla fine del percorso calpestabile (foto che segue) in lontananza scorgiamo gli ex studi televisivi della TVR Voxson di Tor Cervara da dove siamo venuti.

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Foto con mano e reperto ferroviario. Sta diventando una specie di classico.

Abbiamo abbandonato la ferrovia e siamo tornati nel parco perché avevamo lasciato in sospeso un percorso (foto che segue).

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Di nuovo al confine tra il parcheggio e il parco. Di nuovo di fronte alla fogna che avevamo poco prima incontrato. L’odore è insopportabile al limite del mancamento. Davanti a noi si apre una misteriosissima ciclabile che continua a seguire imperterrita il corso della marana. Eroicamente c’infiliamo sprezzanti dell’epatiti.

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Scopriamo che la ciclabile costeggia la ferrovia proprio dalla parte che, precedentemente, dal parco sembrava inaccessibile.
Nella foto precedente il sottopasso che scavalca le rotaie. Qui l’intero tracciato.

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Incontriamo due campi da tennis in buono stato e tutta la ciclabile sembra manutenuta non di recentissimo ma comunque presidiata.

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Siamo giunti alla fine della ciclabile. Chiusa. Si affaccia su via della Stazione di Tor Sapienza. Ci siamo imbattuti nuovamente in una varietà dimensionale d’ordine inferiore (1 dato che si tratta di una ciclabile) che è anche uno strappo (si veda anche questo resoconto). Ancora una volta ci rendiamo conto che urge una ridefinizione del concetto di varietà dimensionale così come era stato presentato nell’atlante ufociclistico.

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I fruitori dello strappo hanno comunque trovato una soluzione al dato di fatto che esso è ancora chiuso: come si può vedere nella foto precedente con la grata divelta. Ciò ci conferma l’importanza strutturale di questi oggetti all’interno del contesto urbano.
Secondo noi si tratta di uno strappo e non di una scorciatoia (si veda l’atlante ufociclistico) perché ci troviamo in presenza almeno di due UDA (il parco Montagna e Tor Sapienza) uniti da una ulteriore UDA con proprietà irriducibili alle precedenti (la ciclabile).

Siamo tornati indietro, di nuovo nel parco, dato che ancora dobbiamo inoltrarci verso La Rustica vera e propria.
Incontriamo un centro estivo con piscina (nella foto che segue):

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Ghiacciolo all’arancia nel chiosco che sa di mare e poi torniamo rapidamente sulle tracce di un’antica via romana (forse la vecchia Collatina):

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Qui la via dalla vista aerea.
La strada romana è interessante e anch’essa finisce nel nostro sacchetto Collezione.
Usciamo finalmente dal parco Fabio Montagna.

Siamo su via della Rustica e ci imbattiamo nel murales in ricordo di Lucio Conte:

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Anche questa sorta di cenotafio è di particolare interesse.
Facciamo l’ennesima sosta al nasone (fontanella) così da constatare che nella squadra un’ufociclista in particolare ha esigenze idriche fuori dalla norma.
Procediamo e c’imbattiamo nella interessantissima parrocchia di S. Czestochowa la Madonna Nera (foto che segue):

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La chiesa ha un aspetto compatto e minaccioso che ricorda una sorta di bunker.
Due reperti quelli appena incontrati (il cenotafio a Conte e la parrocchia) che si affrontano a poca distanza l’uno dall’altro ricordandoci la lotta tra Peppone e Don Camillo.

Più prosaico il murales della ASR Roma a largo Crivelli a pochi metri di distanza. Probabilmente storico.

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Siamo giunti al limite de La Rustica. La via finisce su un campo di calcio qui mostrato nella foto aerea.
Al lato destro del campo sportivo (venendo da via della Rustica) si apre un parco che abbiamo visitato. Termina dietro al campo con una sorta di sotto-parco recintato e arredato con belle panchine verdi in metallo.
Vale la pena visitarlo assolutamente (nella foto successiva):

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Affaccia sulla circonvallazione orientale che dista pochissimi metri dalle panchine come è visibile in foto. La circonvallazione orientale è una sorta di autostrada in cui sfrecciano automobili di continuo e il frastuono che ne deriva obbliga gli avventori a urlare per parlarsi. Surreale.
Mettiamo anche il sotto-parchetto nel sacchetto Collezione.

Torniamo indietro. Abbiamo già raccolto parecchi oggetti/sequenza.
Percorriamo via Galatea che costeggia il campo di calcio per riprendere, con un giro largo, via della Rustica. C’imbattiamo in un enorme cunicolo piantato sotto i piloni della circonvallazione orientale (foto che segue) che conduce al sottosuolo:

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E’ così ampio che potrebbe entrarci tranquillamente e comodamente un adulto strisciando. Potrebbe essere il Santo Graal della speleologia urbana romana. Non ne sappiamo niente e attorno a noi non c’e’ nessuno a cui chiedere. Quante generazioni di palloni ci saranno finiti? Quanti animali domestici scomparsi? Il tubo ha l’aspetto di una fàuce spalancata pronta a divorare il quartiere.
Pericolosissimo.
Anche questo nella Collezione.

Improvvisamente via Galatea diventa via Damone che termina su una strada sterrata posta a pochi metri dalla circonvallazione orientale (si veda la foto successiva):

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Si tratta di una scorciatoia (la struttura sulla destra sono i pannelli frangi rumore che danno sulla circonvallazione orientale). La scorciatoia sbuca su via Delia ed è notevolissima perché le due strade, attraverso altri percorrimenti, risultano invece molto distanti.
Si tratta di una scorciatoia (e non di uno strappo) perché le tenute tonali di via Damone e di via Delia paiono, almeno ad una prima ricognizione, identiche.
Ottimo: anche questa archiviata e messa nella Collezione.

Fin qui il lavoro “bruto”  di raccolta degli oggetti/sequenza incontrati durante una ricognizione.
Fin qui il ruolo svolto dalla collezione così come previsto, ma che poco ci dice circa l’interrogativo iniziale.
Lo ricordiamo:
tirati fuori dal “sacchetto” tutti gli oggetti/sequenza incontrati e tassonomizzati in varie categorie avremo ancora bisogno della collezione come strumento euristico o potremo dichiarare il suo ruolo terminato ai fini della compilazione del rapporto?

Procediamo con la tassonomia sperando che emerga in autonomia la risposta.
Svuotiamo il sacchetto Collezione:

1) l’inquieto New York 777 – totem d’incongruenza/flap (si veda l’atlante ufociclistico o il glossario on line);
2) il fortino ex comando della guardia di finanza – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
3) l’ulivo centenario – attrattore;
4) il percorso ginnico disciplinante – affordance consce/flap;
5) la marana repellente – psico-dissuasore (si veda anche questo resoconto o il glossario on line);
6) l’attrattiva FL2 – affordance attrattive;
7) la varietà dimensionale 1 (ciclabile) – strappo (si veda anche questo resoconto);
8) la anonima strada romana – cuspide (si veda anche questo resoconto);
9) il murales a Lucio Conte – attrattore/tonal;
10) la parrocchia di S. Cezstochowa – attrattore/tonal;
11) l’ASR di largo Augusto Corelli – attrattore;
12) il parchetto sonico – cuspide (si veda anche questo resoconto);
13) l’accesso al sottomondo della circonvallazione orientale – varietà dimensionale 1 (si veda anche questo resoconto);
14) lo sterrato di via Damone – scorciatoia.

Per le categorie non note si consulti l’atlante ufociclistico.

Abbiamo proceduto ad una prima attribuzione di ruoli che in caso di rapporto andrebbe ulteriormente approfondita.
Tra l’altro stiamo sommando oggetti/sequenza che tagliano trasversalmente più UDA e che si estendono anche oltre l’area d’indagine prefissata: come abbiamo spiegato all’inizio, questa ricognizione ha uno scopo “didattico” più che realmente conoscitivo quindi ci siamo calati in una condizione estrema mentre molti di questi oggetti potrebbero non essere associabili per definizione.
Procediamo quindi con la tassonomia:

Gruppo 1) 1, 2, 5.
Gruppo 2) 4, 6.
Gruppo 3) 3, 9, 10, 11.
Gruppo 4) 8, 12.
Gruppo 5) 7, 14.
Gruppo 6) 13.

Siamo stati incerti se unificare il gruppo 5 e il gruppo 6. Questo tipo di semplificazioni riguardano il contesto d’uso dell’oggetto e quindi appartengono ad una sorta di pragmatica contestuale o situazionale.
Rileggendo la definizione di tassonomia (all’inizio di questo rapporto) si comprende infatti l’esistenza di una sorta di trans-oggettualità perché gli oggetti possono appartenere a gruppi diversi a patto che tale apparentamento rispetti l’unica condizione posta, cioè quella della omotopia. La decisione è quindi pragmatica e funzionale alla coerente costruzione della mappa. In questo senso, ad esempio, avremmo potuto creare un gruppo con varietà dimensionale 1 e scorciatoia se avessimo voluto “sottolineare” questa caratteristica “filiforme” per lo spazio indagato.

I gruppi 1 e 3 si pongono all’apice del vertice di una ipotetica piramide valoriale sfidandosi, nel caso delle UDA ad esempio, sull’asse più importante: quello di aggregazione vs disgregazione.

A questo punto saremo pronti per organizzare gli oggetti entro specifici contesti di studio rilevando quali funzioni peculiari essi assolvano nella determinazione di UDA o di ley line.  Non lo faremo ovviamente.
Il problema che rimane senza soluzione è quello di che fine faccia lo strumento collezione ora che è stato, per così dire, svuotato.

Ci torna quindi utile aver forzato l’inclusione di oggetti al di fuori dell’area prescelta per il nostro esperimento e cioè gli oggetti 1, 2, 3.
A rigore essi non andrebbero contemplati entro lo spazio de La Rustica invece noi li abbiamo inclusi perché “attrattori” percettologici insiti nel complessivo percorso tracciato. Più semplicemente potremo affermare che i confini artificiali di un qualunque spazio non vanno mai intesi alla lettera perché ovviamente essi si sfrangiano in zone d’interferenza (alone d’interferenza). Lasciare fuori per principio (o per troppo perfezionismo) gli oggetti che popolano tali aree potrebbe compromettere l’analisi dello spazio. Ecco che allora la collezione ci torna utile come una sorta di “registro di lavoro” in cui includere al margine gli oggetti che potremo non necessariamente immediatamente tassonomizzare. Mancando di categorizzazione essi rimarrebbero disponibili, “aperti”  come possibili caratterizzatori timici dello spazio. La collezione mantiene quindi una funzione di “scorta”, da cui ripescare ruoli che potrebbero non essere contemplati nello spazio circoscritto che è il nostro nucleo d’analisi.

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Guarda la mappa completa.

 

 

 

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UfoCiclismo e Cosmismo

Riferimento importante per l’UfoCiclismo è il Cosmismo russo nella sua accezione originaria di umanesimo tecno-scientifico rivolto alla propagazione dell’essere umano nel cosmo.
A partire dalle concezioni di Konstantin Ciolkovskij l’UfoCiclismo tiene viva la distinzione, oggi in disuso, tra cosmonauti e astronauti, valorizzando nei primi lo spirito sociale e solidale della “conquista del cosmo” laddove nei secondi l’esplorazione spaziale ha il sapore dell’estensione dello spettacolo integrato al di fuori della biosfera (si veda anche Edoardo Rothe La conquista dello spazio nel tempo del potere).

Dal Cosmismo l’UfoCiclismo mutua l’idea che alcune pratiche terrestri (come ad esempio il ciclismo) in realtà prefigurino e incentivino la vita dell’uomo nel cosmo, passaggio necessario come afferma Ciolkovskij: “La Terra è la culla dell’umanità, ma non si può vivere nella culla per sempre”.

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Anche la concezione d’estensione della vita dei terrestri nel cosmo del Cosmismo è centrale per l’UfoCiclismo, non tanto nella sua connessione con la resurrezione dei morti (che il cosmismo mutua dalla sua vicinanza alle dottrine teosofiche) quanto con l’idea non imperialista (quindi opposta alla conquista) della propagazione umana oltre il pianeta terra.
In questo senso l’UfoCiclismo porta avanti da tempo un incontro/convegno periodico dal titolo Mars Beyond Mars in cui invita esperti, specialisti e militanti a confrontarsi su temi come il terraforming, il capitalismo interplanetario e il cosmo come nuovo terreno di scontro tra antagonismo e neo capitalismo (capitale-terra).
Prima edizione del MBM; (13/5/2017)
seconda edizione del MBM; (7/7/2017)
terza edizione del MBM; (15/11/2017)
quarta edizione del MBM (28/10/2018);

Nello specifico: il Mars Beyond Mars ha l’obiettivo di “giocare d’anticipo” cercando d’intercettare quello che sarà il futuro terreno di conquista del capitale in espansione. Lo fa analizzando in progress il nuovo terreno di conflitto per comprenderlo anticipatamente invece di precipitarvi dentro.
Il presente è considerato come la fase di definizione e pianificazione tecno-scientifica di questo futuro scenario in cui la planetologia, l’astrofisica e l’esobiologia giocano un ruolo chiave.
L’ipotesi è quindi quella che definisce il presente come la “terza era spaziale”. Dopo la Luna e Marte l’attenzione oggi si sposta sull’esplorazione e l’abitabilità delle lune del sistema solare e degli esopianeti come terreno senza soluzione di continuità tra il capitale-terra e tutto quanto, là fuori, lo sarà: il terraformabile.
Il MBM si pone quindi le seguenti domande:
come immaginare un futuro nel cosmo che non sia esclusivamente l’estensione del modello predatorio già operante sul pianeta Terra? Cosa troveremo là fuori e come faremo questa volta a preservare l’umano e il non umano che appartengono al nostro futuro?

Ancora dal Cosmismo proviene l’idea d’una pianificazione etica e razionale del futuro terraforming dei pianeti alieni. E sempre dal Cosmismo l’intuizione che per viaggiare nel cosmo ci sia bisogno di accedere a saperi che sopravanzino la pratica amministrativa della scienza così come, ad esempio, l’esplorazione psicogeografica dei territori necessita che si travalichino le tradizionali forme di sapere e di narrazione di matrice geometrica e geografica.

Ecco le parole del proto-cosmista Aleksandr Vasilyevič Sukhovo-Kobylin:
Una persona che vola orizzontalmente su una bicicletta è già un movimento
verso la forma angelica, la suprema forma umana. Mediante macchine per il volo orizzontale, l’umanità si approssima alla condizione angelica, o umanità ideale. Ogni essere umano pensante può comprendere che la bicicletta rappresenta esattamente le ali meccaniche, l’origine o germe delle future ali organiche, mediante le quali l’umanità indubbiamente spezzerà le catene che la imprigionano nel mondo tellurico e fuggirà per mezzo di invenzioni meccaniche nel mondo solare circostante”.

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https://www.youtube.com/watch?v=1ywyOecvias&t=3s
Ascolta e canta l’inno cosmista.

https://www.youtube.com/watch?v=vcqD0X1F9z0
Introduzione al cosmismo (documentario).

Il Popolo solare! il Cosmismo applicato.

Strappo – via Assisi – Roma – 22/7/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide

Gergalmente lo  “strappo” a Roma è il passaggio dato al volo, improvvisato, che consente evidentemente di percorrere tratte più velocemente e agevolmente rispetto ai mezzi che si avrebbero a disposizione per compiere lo stesso percorso.
“Ti do uno strappo”  indica, in maniera informale, la disponibilità ad accompagnare qualcuno da qualche parte facendole risparmiare tempo.

Non poco probabilmente l’UfoCiclismo ha integrato questo gergalismo nella sua concezione di strappo tanto più che anche in topologia esso indica un’operazione di discontinuità rispetto all’omeomorfismo delle UDA (si veda l’atlante UfoCiclistico) che per trasposizione vengono “violate” da passaggi atti a far risparmiare tempo nello spostamento in altre UDA. A differenza dalla scorciatoia, lo strappo ha caratteristiche peculiari. Da definizione esso è un: “Passaggio di natura concreta o/e di natura emozionale che connette elementi di una <<collezione>>. Gli strappi si distinguono quindi dalle <<scorciatoie>> per il fatto di mettere in comunicazione, ad esempio, punti di UDA differenti” (si veda l’atlante UfoCiclistico). Ancora, la caratteristica di uno strappo (ne avevamo già parlato qui) è quella di attraversare (collegando due UDA) un terzo spazio, spesso un’enclave, caratterizzato dallo sprigionare una colorazione emotiva irriducibile a quella dei due spazi adiacenti.
Lo strappo è quindi un concetto fondamentale dell’UfoCiclismo nella precisa definizione di un’UDA perché stabilisce attributi specifici e irriducibili ad una condizione (quella delle scorciatoie) che è peculiare del mezzo bicicletta stesso.
La bici per propria natura è una cacciatrice di scorciatoie, importante è quindi dettagliare le caratteristiche di uno spazio o di una condizione d’attraversamento (ufociclisticamente si parla di oggetti/sequenza) che pur molto simile alla scorciatoia è ad essa invece irriducibile.

Siamo tornati quindi sullo strappo di via Assisi a Roma che avevamo trattato nell’atlante. Partiamo da quella mappa quindi:

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Questa è la situazione (da manuale) che andremo a riesplorare con due UDA caratterizzate da differenti tonalità emotive e un passaggio (lo strappo) che attraversa un’altra UDA, in questo caso un’enclave (per la definizione di enclave si veda l’atlante UfoCiclistico).

Ce la siamo presa un po’ comoda e abbiamo iniziato questa ricognizione da uno dei quadranti estremi di Roma sud/est: il quartiere di Tor Tre Teste di cui abbiamo relazionato di un recente avvistamento UFO.
Siamo su via Viscogliosi quasi all’angolo con via di Tor Tre Teste. Qui si apre uno dei tanti varchi al parco Giovanni Palatucci più noto come parco di Tor Tre Teste.

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Lo attraversiamo tangenzialmente uscendo su via Castelli (nella foto che segue).

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La strada a senso vietato che intravediamo è via delle Nespole. Ne percorriamo pochi metri fino all’entrata in un altro parco (di cui non conosciamo il nome).

Prima ci soffermiamo sul “graffito” di Holly e Benji della Scuola Calcio Elite Savio su via Castelli (nella foto che segue).

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Via delle Nespole dicevamo quindi. Siamo già nel quartiere Alessandrino. Pochi metri come detto ed eccoci all’entrata del secondo parco.


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Se non la si conosce ci si può facilmente sbagliare perché sembra un’entrata privata. Si tratta a tutti gli effetti di una scorciatoia sopratutto provenendo dal senso vietato di via Castelli.  In fondo alla fila di macchine parcheggiate sulla sinistra c’é il parco che attraverseremo.

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Qui qualcuno o qualcosa sta dipingendo le panchine di un bel rosso.
Usciamo su via Bonafede. Per prendere subito via delle Passiflore. Attraversiamo viale Alessandrino per prendere viale della Bella Villa e poi via dell’Edera che ci porta direttamente sull’intersezione (si veda l’atlante UfoCiclistico) di viale Palmiro Togliatti altezza via Casilina (per il concetto d’intersezione si può leggere anche il resoconto della ottava ricognizione ufociclistica).

E’ un piccolissimo tratto quello che percorriamo sull’intersezione Togliatti (su ciclabile tra l’altro – da molti ritenuta la peggior ciclabile dell’universo); ci immettiamo infatti immediatamente su via Casilina.
Giusto il tempo di soffermarsi sugli scavi nei pressi della stazione di Centocelle (vedi foto che segue) su cui torneremo in maniera più dettagliata quando approfondiremo il concetto di UDA contattistica (si veda latlante UfoCiclistico).

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Un “vitone” blocca rotaie. I reperti archeologici (visibili dietro la vite) infatti sono posizionati esattamente al centro della ferrovia Roma-Giardinetti

Costeggiamo il parco di Centocelle per giungere fino a via di Centocelle. Qui percorriamo il tratto interessato agli incendi tossici del 2017 (e anche su questi torneremo a proposito della UDA Contattistica). Nella foto che segue, su via di Centocelle, il canalone da cui nel 2017 iniziarono i roghi che caratterizzarono l’estate tossica di quella parte di Roma.

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Arriviamo quindi a via degli Angeli e lì fino all’incrocio con via di Porta Furba/via di Tor Pignattara (nella foto che segue).

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Da qui si accede al quartiere del Mandrione dove risiede finalmente lo strappo.
Nella foto sopra quella che s’intravede è ancora via degli Angeli caratterizzata da una commistione di architetture nuove e altre risalenti agli anni Quaranta. La caratteristica più evidente del quartiere (una borgata) è il riutilizzo che fu fatto in senso abitativo dell’Acquedotto Felice negli anni sul finire della Seconda Guerra Mondiale (wikipedia). Lo vedremo tra poco.
Attira la nostra attenzione invece un’altra caratteristica: l’abbondante presenza di specchi convessi stradali in questa zona.
Ne abbiamo fatta una mappa.

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Il primo specchio su via degli Angeli (1).

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Sempre via degli Angeli. A destra una tipica casa bassa del Mandrione mentre a sinistra su un altro livello stradale (più basso) si ergono i palazzi di Tor Pignattara.

Adiacente al caratteristico scorcio mostrato nella foto precedente un altro specchio (2).
Ancora via degli Angeli:

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Nella foto che segue l’angolo con via dei Savorgnan (sul lato sinistro le automobili bellamente accomodate sul marciapiede):

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Sul lato opposto dell’incrocio un altro specchio (3) – la foto seguente:

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Siamo sempre su via degli Angeli. Se rotassimo la testa vesro destra vedremmo via dei Savorgnan.

Procediamo su via degli Angeli e attraversiamo la galleria del ponte della stazione Casilina.

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Il ponte tecnicamente è un occultatore (si veda latlante UfoCiclistico) o si può vedere questo resoconto.
Attraversata la galleria un nuovo specchio su via del Mandrione (4):

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A destra la strada è interdetta mediante psico-dissuasori (si veda latlante UfoCiclistico o il glossario on line).

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L’interdizione (forse solo momentanea) rende questo pezzo di via del Mandrione una scorciatoia o uno strappo (da definire) dato che attraversandolo è possibile mettere in comunicazione due aree altrimenti tra loro molto distanti.

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Nelle due foto precedenti l’area di via del Mandrione interdetta alle automobili.
Che pace.

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Un altro psico-dissuasore (un dosso artificiale) che serviva a moderare la velocità dei mezzi a combustione quando la via era aperta.

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Ancora via del Mandrione, nella foto precedente, e a pochi metri di distanza dallo psico-dissuasore un altro specchio (5). La sua posizione è curiosa visto che da quella angolazione e quella altezza permette a coloro che solo al di là del muro di vedere cosa accade in strada a mo’ di una telecamera.

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Un altro specchio (foto precedente). Sempre via del Mandrione (6).

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Nelle quattro foto precedenti una sequenza ravvicinatissima di specchi (cinque). Rispettivamente (6 -7 – 8 – 9 – 10)

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Nella foto precedente inizia (da questa parte di via del Mandrione direzione Casilina) la sequenza di archi dell’Acquedotto Felice chiusi (un tempo) e trasformati, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, in abitazioni di fortuna (baracche). Gli archi spesso sono piastrellati perché costituivano la cucina o il bagno di una baracca prospiciente.

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Nella foto precedente la piastrellatura è ancora evidente all’interno di un arco.

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Un altro specchio (11) e poco più avanti (foto successive) altri due. Rispettivamente (12 – 13)

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Un altro arco (foto che segue) un tempo adibito ad abitazione. E’ visibile la finestra che dava sul retro e un finestrino ancora più piccolo che forse era il bagnetto.

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Eccoci quindi all’entrata dello strappo (foto che segue).

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Il filmato precedente documenta lo stato di via del Mandrione nel 1973.
E’ riconoscibile l’acquedotto, e lì dove oggi sono visibili solo le tracce degli archi un tempo abitati, il filmato documenta dello stato delle baracche così come un tempo si dispiegavano lungo tutta la strada.

Prima d’addentrarci riguardiamo la mappa:

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Il cerchio rosso indica la posizione da cui è stata presa la foto precedente (l’entrata dello strappo) mentre la freccia rossa il senso di percorrenza fin qui eseguito su via del Mandrione.
Nell’ordine:
1) vediamo l’area senza la mappatura ufociclistica e
2) osserviamo come si compone fisicamente l’enclave attraversata dallo strappo.

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Come è possibile vedere l’area non mostra chiaramente il passaggio che stiamo esaminando. Topograficamente in rosa sono segnati gli edifici civili abitativi mentre in viola le aree industriali o addette a magazzini. Questo ci dà un’idea della composizione fisica dell’UDA di sinistra.

Ora capiamo quali sono i limiti fisici e la composizione dell’enclave che circonda lo strappo.
Riferendoci sempre alla foto precedente dell’entrata dello strappo a destra abbiamo la ferrovia (foto che segue).

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Mentre a sinistra è inaccessibile alla vista perché occupato da un’abitazione privata adiacente l’acquedotto.  Ecco cosa possiamo scorgere (foto che segue):

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Nella foto precedente (col riferimento sempre alla foto dell’entrata dello strappo) guardiamo al limite sinistro dell’enclave in uno spazio tra l’acquedotto e l’abitazione privata. Ancora non siamo entrati nello strappo.
La visione aerea ci chiarisce un po’ meglio la consistenza dell’enclave:

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Di nuovo: il cerchio indica l’entrata mentre il contorno rosso l’enclave. Davanti al cerchio l’entrata dello strappo.
L’enclave si presenta quindi come un indistinta proprietà privata: in basso  prevalentemente verde inaccessibile mentre in alto essa confina con la ferrovia. A destra c’é un’UDA costituita da piccole palazzine ed ex baracche condonate mentre a sinistra la città riprende il suo aspetto quasi abituale se non fosse che quest’area anticamente, costeggiando la ferrovia, era destinata a magazzini e ad attività produttive (quelle dal colore viola) e quindi ha un spetto abbastanza anomalo rispetto al resto del quartiere Tuscolano nel quale s’immette.

Entriamo quindi nello strappo:

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Un coppo “segnalatore” su cui è indicata la strada da seguire poco prima di superare l’arco d’entrata.

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Appena superato l’arco d’entrata (foto precedente) s’intravede l’enclave (proprietà privata).

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Davanti a noi: ecco il primo tratto dello strappo (foto sopra) fino al palo visibile (foto che segue).

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Sul palo già preso di mira dagli stickeristi lasciamo un adesivo: “la bicicletta buca la trama spaziotempo della città“… appropriatissimo!

Voltiamo a sinistra sempre lungo lo strappo:

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E raggiungiamo la salita a spire che termina su via Assisi (vera e propria) dove la città riprende il suo aspetto tradizionale:

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La parte terminale (provenendo da via del Mandrione) dello strappo: la salita a spire.

Si tratta di uno strappo molto importante perché ciclopedonalmente mette in comunicazione via Casilina con via Tuscolana (le due arterie più grandi in quella sezione della città) che altrimenti sarebbero (pur costeggiandosi a raggiera) tra loro molto distanti.
Le due arterie distano rispettivamente 1.09 chilometri mediante lo strappo e 2,34 chilometri senza strappo (si veda la mappa interattiva).

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Sul lato destro della parte finale dello strappo (foto precedente) si apre un percorso alternativo il cui ripetuto uso non previsto ha messo a nudo la struttura in ferro soggiacente. Passando da qui si evitano le spire e si giunge diretti all’ultima rampa percorrendo lo strappo nel senso inverso a quello da noi appena percorso: una scorciatoia in uno strappo.

Segue la mappa dell’intero percorso:

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La varietà dimensionale 2 – Capranica-Civitavecchia – 14/7/2018

Rapporto redatto da Dafne
Integrato da Cobol Pongide
Percorso: ex ferrovia Capranica-Civitavecchia

L’ansia della sveglia alle 7 di mattina fa dimenticare i piaceri del viaggio e rischia di dissuadere le persone dall’affrontarlo, invogliandole a restare a letto.
Nonostante ciò gli ufociclisti riescono a ritrovarsi puntuali in stazione, fare i biglietti con facilità, dribblando tutte le trappole burocratiche e i temporeggiamenti della macchinetta che prima ti avvisa di “fare attenzione ai borseggiatori” e poi si premunisce di dirti che il biglietto è valido solo in giornata e cose così, e salire in tempo sul treno che li porterà a Capranica Sutri.
Proprio sul treno avviene il primo incidente di percorso. I nostri eroi hanno la prontezza di chiedere al primo controllore che gli si para davanti se quello è il treno giusto per loro, e la donna, dubbiosa, guarda il suo tablet e li indirizza al binario corretto. Per fortuna sono in anticipo e riescono in fretta a ritrovare il loro treno.
Binario 4. Il nuovo controllore, o sarebbe più corretto dire la controllora, li informa che forse si dovranno separare perché il treno non è predisposto per le biciclette e dovranno trovare posto dove possono. Ma i nostri sono abituati ai treni e riescono a sistemarsi alla meglio con le bici nello stesso vagone evitando anche di bloccare il passaggio nel corridoio e di far sbattere i loro mezzi di trasporto qua e là.
Siedono vicino a un ragazzo tutto assorto dietro uno schermo. Anche lui viaggia con un mezzo a pedali, ma di quelli pieghevoli che si mettono con le valigie e così nessuno si accorge della loro presenza. Sul treno sono tutti silenziosi, sono pur sempre le 8,30 del mattino, guardano tutti i loro piccoli schermi o parlano al telefono con gli auricolari, forse vanno al lavoro o a trovare i parenti al paese per il fine settimana. Solo i tre ufociclisti hanno voglia di chiacchierare e si raccontano le cose più disparate, dalle esperienze di coinquilinaggio, alle vacanze che li aspettano passando per gli alieni insettoidi (presagio). Silvia viene da Milano, è di passaggio dalla capitale dove ha vissuto parecchio tempo e praticato UfoCiclismo. Forse un giorno fonderà la colonna milanese. E’ in procinto di andare in vacanza. Gli altri due sono ormai da diversi anni presenze fisse della periferia sud/est di Roma.
Il loro vicino di sedile si volta ogni tanto verso di loro e sorride nell’ascoltare i loro discorsi. Man mano che il viaggio prosegue sembra condividere sempre più le loro storie, malgrado rimanga nel silenzio. Solo una volta prova timidamente a intervenire nella conversazione. Si rivolge a Silvia che però non è in questa occasione troppo loquace.
La controllora che avevano incontrato poco prima giù dal treno passa a controllare i biglietti. Premurosa verso i passeggeri e sopratutto verso i ciclisti pare quasi faccia un altro mestiere e che su quel treno ci sia capitata per caso tanto che i tre pensano che l’abbiano presa perché con l’arrivo dell’estate il personale di bordo scarseggia.
Prima si prende in carico le vicende del biglietto del tizio con la bici pieghevole.  Dopo un po’ di tempo passa a controllare i biglietti degli ufociclisti.
Alla stazione successiva salgono molte bici.
Alla stazione San Pietro, sale un quarto ufociclista, quello che sarà la loro guida, in tutti i sensi, sia per i suoi preziosi consigli su come affrontare le strade sterrate e mantenere l’equilibrio sui ciottoli anche con una bicicletta da corsa, che per la conoscenza del percorso che il gruppo si accinge ad affrontare. Egli possiede anche il navigatore satellitare e il contachilometri.

Prima di lasciare finalmente il treno e avventurarsi sul percorso della vecchia ferrovia ormai dismessa, Cobol chiede alla controllora se anche lei va in bici. Come se non avesse aspettato altro che quella domanda, lei, felice, con gli occhi che le si illuminano, risponde di si, che ci va spesso, dalle parti del lago di Bolsena, dove vive. Allora Cobol le regala un flyer e la invita alla prossima uscita. Lei in visibilio, promette che prima o poi si unirà a loro.
Speriamo di rivederla prima o poi perché è davvero simpatica.

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Il rassicurante flyer con cui gli ufociclisti fanno proseliti

Al bar della stazione si fermano a fare rifornimento di zuccheri, ma soprattutto d’acqua. È la prima volta che non incontrano gente che li guarda con sospetto o sorpresa e che invece di giudicarli dei pazzi che vanno in giro a pedalare “con questo caldo”, li guardano con entusiasmo e tradiscono la voglia di abbandonare tutto, inforcare la bici e seguirli. Anche la barista è di questo parere.
Dice che altri quella stessa mattina sono partiti prima di noi per lo stesso itinerario.

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Anche le guide più esperte possono essere deviate dai navigatori satellitari. Così succede alla loro guida che ci trascina su una strada in discesa che si allontana dall’ex ferrovia che invece è la nostra meta. Se ne accorge subito per fortuna e ritrova immediatamente il sentiero (qui il percorso corretto per accedere alle ferrovia dismessa).

Diciamo immediatamente che una ferrovia dismessa è  una varietà dimensionale di tipo 2: “si tratta di un territorio a due dimensioni. Una dimensione in cui vengono compresse due coordinate spaziali (larghezza e profondità) con la restante dimensione percettiva ed emozionale sottoposta a forte irreggimentazione sociale e psichica” (si veda l’atlante ufociclistico). La ferrovia è, d’altro canto, una istituzione totale come l’avrebbe definita M. Foucault al pari di un ospedale, di una scuola o di una caserma. Lungo la sua direttrice è difficile deviare, intraprendere percorsi alternativi e quant’altro. La ferrovia è così tanto istituzione totale da impartire una direzione e una forma di disciplinamento anche quando dismessa (come in questo caso). In questo senso la nostra esplorazione ha voluto assecondare questa sua natura per scoprire in quali luoghi ci avrebbe condotti.

La squadra s’inoltra nel mezzo di un groviglio di rovi che lascia appena uno spazio per passare. In mezzo a loro nuvole di farfalle colorate che amoreggiano o si posano sui fiori. Su alcuni cespugli crescono già le more prontamente ingerite dagli ufociclisti.
Pedalano sulla sabbia. Dafne con la bici ibrida, mountain bike col manubrio da corsa, monta cerchioni da strada, inadatti a quel percorso. Sente la bici che affonda e più di una volta rischia di sbandare. Inoltre deve spesso fermarsi perché le borse in cui ha stipato acqua e vivande non ben fissate sul portapacchi pendono ora da un lato ora dall’altro rischiando di sbilanciare la bicicletta. L’ufociclista guida le viene in aiuto.
Non snobba la sua bici come molti fissati della mountain bike, ma le insegna che è lei a dover adattarsi a un percorso di tipo diverso. Deve uscire dalla mentalità di chi guida su strada. Mettere le marce più basse che ha per alleggerire al massimo la bici e pedalare più possibile, per non impantanarsi e poter andare più facilmente anche sui sassi. Le dice anche di bilanciare i pedali quando non pedala, ovvero tenere i piedi alla stessa altezza, le gambe chiuse come a stringere il sellino e alzare leggermente il sedere, in modo da non poggiare quasi sulla bici e non subire tutti gli sbalzi delle ruote.
Lei scopre che lui è un esperto di equilibrio. Fa equilibrio sulla bici, sul monociclo e perfino sulla corda. Lei, invece, ha sempre avuto problemi con l’equilibrio e la bici è la sola cosa che riesce a farglielo ritrovare e mantenere.
Arrivano alla prima galleria. Un’aria fresca viene dall’imbocco. Lungo la strada hanno trovato tracce di orsi perciò hanno timore a percorrerla. Ma accendono i fari e si fanno coraggio. Cobol presta una lucetta a Dafne e le raccomanda di non tenerla accesa perché si scarica facilmente.

L’ufociclista guida dice loro di stare sempre sulla sinistra, perché al centro le gallerie sono bucate: di solito il buco è coperto da lastre di cemento che ne segnalano la presenza, ma in alcuni punti queste lastre sono inesistenti e i buchi sono ricoperti da sabbia o non ricoperti affatto perciò bisogna fare attenzione.
In fila indiana, tenendosi quanto più vicini possibile, percorrono la lunga galleria nel buio più totale.
Il buio crea strane illusioni ottiche e Dafne, vedendo la roccia bianca che si china e crea quasi una piccola pendenza, che finisce in un rigagnolo d’acqua, non si sente di percorrere quello stretto corridoio pedalando. Così cammina un po’ finché non le sembra che il terreno sia di nuovo piano. Poi, ricongiungendosi agli altri, ritrovando le luci dei fari e avvicinandosi alla luce del sole che filtra dall’uscita dalla galleria, ritrova la sua sicurezza e ricomincia a pedalare.

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All’entrata della prima galleria

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Il sistema di drenaggio dell’acqua piovana nelle gallerie

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L’atmosfera psichedelica all’interno delle gallerie

Nella foto che segue tre dei quattro ufociclisti presenti all’uscita della prima galleria (S. Donato).

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Per quel che riguarda le gallerie, esse possono essere alternativamente degli occultatori o dei separatori (guarda qui un esempio di separatore). In questo caso si tratta di un occultatore dato che il suo compito è quello di restituire percettivamente una continuità di atmosfere (quella predominante la zona d’entrata e quella predominante la zona d’uscita) che è invece solo apparente.
Congiungendo due UDA con atmosfera diversa e essendo essa stessa un’UDA con atmosfera irriducibile a quelle limitrofe la galleria è anche uno strappo (guarda qui un esempio).
Gli strappi sono tipici delle dimensionalità d’ordine superiore e più specificatamente della varietà 4 (si veda l’atlante ufociclistico). Tutto ciò e in contraddizione con quanto fin’ora l’UfoCiclismo aveva sostenuto circa le dimensionalità d’ordine inferiore (1 e 2). Su ciò dovremmo presto ritornare calibrando meglio questo tipo di strumento analitico.
Ovviamente le atmosfere provenienti da UDA (si veda qui un esempio) poco antropiche (prevalentemente UDA naturalistiche) sono difficili da decifrare. In questo caso in realtà ci troviamo in una situazione mista in cui la vecchia ferrovia caratterizza fortemente il paesaggio naturale costringendolo, come abbiamo visto, in una varietà dimensionale 2.

Ci si ferma a una deviazione del sentiero per mangiare una banana tonificante e riprendere le forze (le banane sono un alimento altamente consigliato in questo tipo di situazioni con bicicletta).
Dopo aver camminato ancora un po’, la squadra si ferma di nuovo nei pressi di una delle tante stazioni abbandonate e semidistrutte dagli agenti atmosferici, dal fango e dalla vegetazione. Silvia ha forato. L’ufociclista guida smonta la bici in un attimo e con fare esperto, in men che non si dica, sostituisce la camera d’aria. Bravo Alessandro! (Finora non l’avevamo mai nominato).
Poi la vegetazione si apre. Passano attraverso pareti scoscese di pietra, che un tempo forse erano servite a circoscrivere lo spazio della ferrovia, o a facilitare il passaggio del treno. Adesso le pareti formano come delle terrazze in cui crescono cespugli, erbe, rovi, in una sorta di giardino verticale spontaneo.
Poi il paesaggio si apre ancora e intorno a loro si estende una valle, dove crescono radi alberi. Camminano su ciottoli e rocce che creano spuntoni sul terreno. Passano una staccionata sulla quale devono sollevare le bici per passare dall’altra parte, e dopo un po’ devono fare lo stesso per passare un muro che blocca il sentiero.

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La squadra giunge nella vecchia stazione di Civitella – Cesi (ormai ovviamente dismessa).

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Ufociclisti alla stazione di Civitella – Cesi. Di straforo c’é anche il Luther Blissett Project

Ancora lungo il percorso: altre stazioni dismesse e altre gallerie.
Un altro muro e oltre questo  inizia un ponte di ferro. Sotto passa un fiume: il Mignone.

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La pausa sul ponte della ferrovia

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Il Mignone visto dal ponte

Il ponte di ferro sul Mignone è davvero affascinante. Tecnicamente anche un ponte, proprio come una galleria può essere un occultatore o un separatore.
In questo caso si tratta di un separatore perché esso restituisce l’impressione di mettere in collegamento due UDA con atmosfere differenti mentre invece esso è solo una scorciatoia all’interno della stessa UDA naturalistica.
E’ inoltre di una varietà dimensionale 2 se non addirittura 1: “si tratta di un percorso unidimensionale fortemente irreggimentato socialmente e psichicamente. L’irreggimentazione diviene praticamente l’unica coordinata visibile” (si veda l’atlante ufociclistico).
La varietà dimensionale di un ponte va ancora ben compresa ma l’ipotesi che azzardiamo dopo aver percorso il suddetto e che si tratti di una varietà 1.
Ufociclisticamente conoscere la varietà di un percorso è molto importante perché può metterci sulla giusta strada per individuare la natura di un’UDA.

Sono ormai le 14.00 e la squadra è ancora a metà percorso, perciò, ormai completamente fuori orario rispetto alla tabella di marcia, si ferma a mangiare.
Scoprono che da quelle parti viene la gente ad arrampicare. Sorge perciò spontanea la curiosità di sapere a che altezza si trovi il ponte. Gettano un chicco d’uva di sotto e calcolando il tempo che ci mette ad arrivare a terra, e facendo appello a tutta la fisica che ricordano (in particolar modo all’energia potenziale gravitazionale: h=v^2/2g) fanno una stima dell’altezza del ponte. 22,80 m.
La scoperta di quell’altezza così vertiginosa e la consapevolezza del fatto che basta mettere un piede in fallo per cadere dai buchi che si aprono ai loro piedi, non li spaventa. Anzi provano un certo piacere, azzarderei a dire addirittura una certa sicurezza e spavalderia a stare lassù. Perciò rimangono lì, contornati dal silenzio della valle desolata, finché il cielo comincia a oscurarsi e minaccia di piovere. Ma anche l’idea di ipotetici tuoni o lampi che potrebbero colpirli su un ponte di ferro non li scoraggia. Passa un po’ di tempo prima che si decidano a rimettersi in cammino.

Dopo aver pedalato per un po’ sui ciottoli, si ritrovano in un’altra galleria. Stavolta Dafne pedala sul rivolo d’acqua senza pensarci troppo; ma l’acqua ben presto diventa fango. Scende perciò  dalla bici e cammina per un po’ lungo il muro. Alla fine della galleria si staglia un alto muro davanti a loro. Devono scavalcare e portare le bici dall’altra parte. Ai piedi del muro, semisommersa dal fango c’è la carcassa di una vecchia motocicletta. Le ipotesi sulla fine che ha fatto il suo proprietario si fanno molteplici, e ritorna la paura dell’orso, perciò si affrettano a uscire da lì.

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A turno salgono sul muro, aiutati da uno scalone all’interno della galleria, su cui issano le bici per poi alzarle fino alla sommità. Dall’altra parte li aspetta il pantano. Lì la compagnia rallenta. Dafne ha i piedi ormai completamente immersi nel fango.
Prova a pedalare, ma poi si ferma perché anche gli altri si sono fermati e passano tutti a piedi, cercando di camminare sulle “isolette” di rami spezzati per evitare di affondare le scarpe nel fango; tranne Alessandro che non scende mai dalla bici, come incollato ad essa. Alessandro l’eroe di questa puntata!

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Frattanto, insetti giganti passano loro vicini, libellule antichissime attaccate l’una all’altra, ragni che aderiscono con le loro zampe adesive alla superficie dell’acqua e cavallette.
Guadato il pantano, completamente zuppi (Cobol è finito anche dentro una pozza con tutta la bicicletta), Silva con fare per nulla sospetto affianca Cobol e intraprende una discussione sugli alieni insettoidi. “Ma tu che dici…”; “ma te che ne pensi…”; “come reagiresti se li vedessi…”. Cobol diventa sospettoso. Poi d’improvviso si ferma, osserva attentamente Silvia sperando che ella sia il più diretta e sincera possibile e che la sua sia una disinteressata chiacchierata tra colleghi. Poi le chiede: “ho una cavalletta gigante addosso?” Silvia non può che rispondere con estrema sincerità: “si: sulla schiena”.
Ora Cobol tra le tante non qualità ha quella da panico d’insetti giganti. Cerca di mantenere la calma e facendosi guidare da Silvia cala lo zaino nella direzione della cavalletta gigante sperando che questa desista la scalata. Non desiste. Anzi dalla schiena produce una manovra evasiva che la porta rapidamente sul lato di Cobol dove finalmente diviene visibile a quest’ultimo. E’ praticamente un alieno. Grossa come una pannocchia.
Si tratta a tutti gli effetti di un incontro ravvicinato del terzo tipo. Tra tutti gli ufociclisti ha scelto proprio quello col panico da insetto fuori misura.
I momenti che seguono sono concitati. Cobol è visibilmente nel panico e con fulminea mossa caccia l’alieno. Chiede ai compagni se la cavalletta s’è allontanata. Della cavalletta non c’e’ più traccia. Cobol si riprende dallo shock. Propone seduta stante una mozione per non intraprendere mai e poi mai alleanze con alieni insettoidi.
La mozione non passa perché troppo partigiana e dettata da circostanze che influenzano emotivamente il promulgatore.
Si rammarica molto però: gli dispiacerebbe averla ferita. Proprio un bell’inizio di dialogo con gli alieni. Ma in effetti l’addetta alle ambasciate è Lorena che però non è presente.

Poi la squadra ricomincia a pedalare: il sentiero è stretto e in mezzo c’è un avvallamento che rende difficoltosa la pedalata. Alessandro fa provare la sua bici a Dafne. Lei riconosce che quella bici che pare ingombrare come una motocicletta, è in realtà molto leggera. Tuttavia, forse per abitudine o per l’ingombro che le procura, fa comunque fatica a portarla e ha comunque paura a passare nel fossato o sulle leggere pendenze che invece ad Alessandro non fanno alcun effetto. Perciò dopo un po’ lo ringrazia e si riprende la sua biciclettina con le borse che pendono da una direzione o dall’altra e le ruote piccole, ma resistenti. Di colpo si rende conto che davanti a lei c’è una buca enorme, ma segue Alessandro e ci passa di lato senza nemmeno guardare giù.
Arrivano alla stazione di Allumiere.

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Entrano dentro e salgono le scale fino in cima. I muri sono coperti di antiche pitture, e tra queste c’è un’astronave aliena, dipinta chissà quando e da chissà chi.
(Qui Cobol che l’astronave aliena non l’ha vista domanda a Dafne: perché mai non l’hai fotografata? Vabbè…)
La vegetazione circonda quelle quattro mura e sale fino alle finestre. Ovunque cacche di uccelli che vengono sicuramente a farci i nidi, e ragnatele.
Ripartono.
Dafne, rimasta indietro come al solito, arriva all’imbocco della nuova galleria. Gli altri hanno già attraversato, ma Alessandro è rimasto indietro. Mormora qualcosa tra i denti. Non vuole disturbarlo e passa oltre. Pedala stavolta fino alla fine. All’imbocco della galleria successiva, si vede in lontananza un buco da cui filtra luce: quel buco è l’uscita. Pensando quindi che la galleria sia breve, Dafne si lancia dentro senza accendere la luce, seguita da Silvia. A un certo punto quest’ultima le chiede perché non accenda la luce, e quando si rende conto che la galleria è più lunga di quello che sembrava, accende la lucetta che però, probabilmente poco carica illumina debolmente creando di nuovo strani effetti ottici. Ai lati della galleria attaccate al muro bianco, si susseguono fittissime ragnatele anch’esse ormai bianche.

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Alla galleria successiva, l’ultima, Dafne riesce a intuire la presenza dell’acqua che brilla alla luce rossa di Alessandro che la precede.. Inizialmente cerca di camminare sulle parti asciutte, poi tutto diventa di nuovo un pantano e non se la sente. Cammina con i piedi immersi nell’acqua gelida, riuscendo a sciacquarli un po’ dal fango ma poi l’acqua diventa fango di nuovo anche lì e al buio vede la superficie mossa da qualcosa che vi si poggia continuamente. Alla luce, vede che quel qualcosa sono i piccoli insetti che aderiscono appena alla superficie con le loro zampette.
Infine, arrivano su un’erta di sassi, sui quali, quasi tutti trascinano la bici a piedi. Poi il terreno torna a scendere e la strada si fa via via meno impervia finché non ritrovano l’asfalto.

Da lì percorrono 6 km di raccodo. Per fortuna non c’è nemmeno un’auto. Solo  chilometri di noiosa e faticosissima salita.
E finalmente, appare Civitavecchia con il suo porto.
La squadra razzia una fontanella, poi si getta su una piccola cala con i sassi e si immerge nell’acqua torbida, ricca di alghe rosse e brune. Ci si riposa e ci si disinfetta le ferite.
Sono giunti alla spiaggetta in calo d’acqua. Due litri a testa sono bastati a malapena e comunque non a tutti.
L’acqua del mare è davvero putrida ma dopo più di sei ore in bicicletta è un toccasana nonostante gli scarichi del porto vicino.

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Gli ufociclisti rimangono per un po’ sulla spiaggetta a succhiare pesche quasi marce e frutta secca. Poi arriva il momento di ripartire. Stavolta vanno a colpo sicuro sul treno, e in fretta, perché parte subito e non hanno nemmeno il tempo di salutare Alessandro che prende un treno diverso.
Il viaggio di ritorno è più breve di quello d’andata. Mentre parlano di film di fantascienza e di robot che un giorno forse sosterranno l’esigenze sentimentali degli umani, quasi senza accorgersene rientrano nei ritmi frenetici della capitale più caotica d’Europa. Mentre si preparano a uscire con grande anticipo (colpa sempre dell’ansia di non fare in tempo), perché devono cambiare treno a Ostiense per Tiburtina, sale un altro ciclista. Riescono nonostante tutto a non aggrovigliarsi a vicenda e a uscire così come sono entrati. Un sacco di ciclisti. Bene!

La squadra è giù dal treno ora. Sono le 20 passate. Percorrono la via Tiburtina per riaccompagnare Silvia a riportare la bici alla ciclofficina alla quale l’ha presa in prestito. La salutano.
Cobol e Dafne tornano verso la via Prenestina passando da una strada ancora non ufficialmente aperta che li porta da via di Monti Tiburtini direttamente su via Valente, senza passare per il traffico della Serenissima e del famigerato semaforo all’incrocio della farmacia notturna.
Alla periferia sud/est di Roma anche loro si separano e finisce ufficialmente la ricognizione.

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Qui la mappa completa interattiva

 

Ricognizione UfoCiclistica – Terni – 28/6/2018

Rapporto redatto da Cobol Pongide
Integrato da Claudia

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Quello precedente è il percorso pedalato su Terni il giorno 28/6/2018. Il Cerchio rosso rappresenta l’inizio e la fine della ricognizione dal e al Labbiciclario (LB nella mappa).
I colori utilizzati per identificare le aree non si riferiscono in nessun modo alla Tavola cromatica degli stati d’animo  ma sono utilizzati solo per differenziare le zone d’interesse intercettate durante la ricognizione.

Il giro in bici è durato troppo poco per redigere un rapporto definitivo e approfondito tuttavia crediamo di aver individuato:
1) un’UDA (psicoacustica) – guarda l’atlante UfoCiclistico o  il glossario on line – zona: largo delle More;
2) una piattaforma girevole – guarda l’atlante UfoCiclistico o  il glossario on line – zona: obelisco Lancia di Luce;
3) un IR3 (incontro ravvicinato del terzo tipo) – guarda l’atlante UfoCiclistico – zona: giardini pubblici la Passeggiata;
4) uno psico-dissuasore – guarda l’atlante UfoCiclistico o  il glossario on line – zona: via Cavour.

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Una copia dell’Atlante UfoCiclistico è disponibile per consultazione presso il frigo sovietico/libreria del Labbiciclario.

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La ricognizione, pause comprese, è durata 0:42:06 minuti per un totale di 6.76 chilometri.

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Nella foto precedente la cargo bike condotta da Giuseppe con a bordo Claudia (autrice delle riprese del filmato).

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Nella foto precedente il gruppo quasi al completo dinanzi le giostre del metaforico IR3 nei giardini pubblici la Passeggiata prima di scattare le istantanee contenute nel video.

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Le giostre col razzo ci trasmettono un messaggio piuttosto eloquente.

Nel dettaglio degli oggetti/sequenza (guarda l’atlante UfoCiclistico) ritrovati:

1) quella che abbiamo con ampia approssimazione definito UDA psicoacustica (zona largo delle More) è caratterizzata dall’attraversamento di via dei Castelli. La strada è lastricata in pietra, ci è sembrata basalto, che col tempo ha perso la malta di legame così da trasformarsi in una sorta di xilofono al passaggio delle ruote della bicicletta (si veda il video).
Avevamo incontrato un fenomeno simile ancora più accentuato a Roma procedendo sul marciapiede di via Pincipe Eugenio.
Per quel che riguarda il rapido passaggio nella zona largo delle More, le meravigliose intonazioni della pavimentazione ci sono sembrate la caratteristica più saliente di quel quadrante.

2) Quella dell’obelisco Lancia di Luce (guarda il dettaglio della foto aerea) è senza dubbio da definizione una piattaforma girevole: “si tratta di un’Unità d’Ambiance (UDA) rotante che fa perdere l’orientamento, solitamente una piazza, o se si vuole, se non si desidera stare al gioco: in qualsiasi piazza si perda sistematicamente l’orientamento si può ipotizzare l’esistenza di una piattaforma girevole.”
La naturale propensione del ciclista urbano a circoscriverla (guarda il video) più e più volte è una naturale conseguenza della sensibilità percettivo-ambientale prodotta dall’interazione tra bicicletta e vortici cittadini.

3) Un incontro ravvicinato del terzo tipo può prodursi dal contatto tra terrestri e velivoli alieni. Tuttavia spesso si tratta anche d’attrattori o di forze d’attrazione passionale – guarda l’atlante UfoCiclistico o  il glossario on line – come ad esempio una giostra a forma di razzo decorata con dischi volanti (guarda il video).

razzo

4) Lo psico-dissuasore (guarda l’atlante UfoCiclistico o  il glossario on line ) di via Cavour angolo via Visciotti ha bloccato in quella direzione la nostra ricognizione. Nella fattispecie ad essere bloccata (guarda il video) è stata la cargo bike di Giuseppe e Claudia.
Mentre le altre biciclette sarebbero potute passare lo psico-dissuasore ha respinto la “astronave madre” che trasportava l’ufociclista addetta al video.
Tra l’altro come è visibile nella mappa lo psico-dissuasore ha prodotto un nodo all’interno del camminamento che come abbiamo già descritto qui rappresenta un importante elemento d’analisi.

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Qui puoi vedere il video completo della ricognizione.

Ringraziamo sentitamente:
Labbiciclario, Blob.lcg, tutti gli UfoCiclisti intervenuti e in particolar modo Claudia Busi per l’aiuto topografico nel redigere le mappe e per le riprese.

 

L’UDA Torre Maura – Roma – 1/7/2018

Rapporto redatto da Cobol 

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La mappa al piano di sopra è l’area di Torre Maura esplorata in cerca di UDA (Unità D’Ambiance – vedi l’atlante UfoCiclista o il glossario on line).
Nello specifico ci si è mossi nello spazio compreso tra viale di Torre Maura e via dell’Aquila Reale che nella mappa precedente descrivono una sorta di triangolo scaleno col terzo lato su via Casilina.
Tanto per iniziare va chiarito (a noi stessi più che altro) che la zona di Torre Maura si estende ben oltre come è visibile nella successiva mappa.

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L’area completa è quella col tratteggio più grande mentre lo spazio limitato interno è lo spazio esplorato.
Ovviamente un’UDA non è quasi mai identificata da un intero quartiere (anche se a volte può esserlo). In questo caso il quartiere è composto da più UDA di cui una sola presa in esame.
Nella mappa prossima l’estensione completa dell’UDA che concerne la nostra esplorazione.

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A parte qualche estensione di poco conto risulta subito chiaro come ci sia inizialmente sfuggita la parte superiore, tagliata dalla Casilina (segnata col doppio tratteggio). Questo perché via Casilina funziona da separatore e come tale restituisce l’idea di un terminatore dell’UDA che invece non c’é (si veda anche la mappa aerea). La parte superiore (oltre il separatore) non compresa nell’esplorazione è infatti perfettamente integrata nell’UDA che stiamo analizzando; ci era però sfuggita per via di un “taglio” che ha il compito di simulare una cesura che non c’é. Altrove abbiamo definito come cosmetica questa funzione del separatore.
La tenuta e la continuità dell’UDA in questione è fenomenologicamente il prodotto dell’azione antropica sul territorio. Lo spazio è caratterizzato compattamente da un’edilizia di scarsa qualità tipica di questo settore di Roma con palazzine basse di due massimo tre piani e cortiletti interni. La maggior parte di questa edilizia è ex abusiva poi in seguito condonata.

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Avendo già visitato la zona di Torre Maura ci siamo mossi con un’idea preconcetta dell’UDA che avremmo individuato e quindi abbiamo lavorato ad una sua più precisa definizione in termini d’analisi dei camminamenti (si veda l’atlante UfoCiclista).
Questo tipo d’analisi poggia sulla tecnica psicogeografica della deriva casuale. A questa gli UfoCiclisti hanno aggiunto la rilevazione cartografica per percorso e l’analisi dei nodi che si generano.
In sostanza si percorre casualmente l’UDA in bicicletta e si segna sulla mappa il percorso emergente. Una volta ottenuto il camminamento totale lo si disambigua con una tecnica che è chiamata Algoritmo delle Mosse di Reidemeister (vedi l’Atlante) in modo da ottenere una semplificazione del percorso ripulito dal ripetuto passaggio del ricognitore sulle stesse strade e dagli scavalcamenti di strade già percorse (ponti, gallerie, cavalcavia, eccetera). Senza semplificazione la mappa ottenuta sarebbe illeggibile.
A essere d’interesse per l’analisi dei camminamenti sono i Nodi anche detti ricorsioni, cioè il transito per punti già attraversati ma provenendo da direzioni diverse (spesso si tratta di croci prodotte da incroci).  Ogni nodo implica una sorta di “fissazione” del territorio esplorato e quindi ne caratterizza un certo modo d’essere. Il fatto che “accidentalmente” una ricognizione stocastica ci riporti su alcuni passaggi è da noi interpretata come la presenza di attrattori che costituiscono la spina dorsale dell’UDA.
A seconda del numero e della disposizione dei nodi si può procedere ad una prima interpretazione dell’UDA stessa.
Ovviamente la tecnica di rilevamento dei camminamenti non può durare troppo tempo (in rapporto all’ampiezza dello spazio indagato) altrimenti alla fine s’otterà un groviglio di passaggi non interpretabile. Bisogna utilizzare il buon senso.
L’UfoCiclismo al momento è riuscito a interpretare camminamenti fino a sette nodi con diverse configurazioni.

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Ecco come, alla fine della deriva casuale, si presentava la mappa prodotta da un’app per la tracciatura gps del percorso.
I cerchi grigi rappresentano le soste.
Se zoommassimo sulla mappa scopriremmo una situazione ben più complessa di quella mostrata in foto. Il rilevamento gps non è un buon modo di tracciatura anche se è il più veloce. Col gps la disambiguazione attraverso l’Algoritmo delle Mosse di Reidemeister diviene molto complessa dato che la mappa riporta tutte le ripetizioni di percorsi che ai fini euristici non ci dicono nulla sullo spazio indagato. L’utilizzo di una mappa stampata e di una matita è un metodo meno rapido in sede d’esplorazione ma più efficace in termini d’analisi. Tra l’altro l’utilizzo di una mappa cartacea ci aiuta a comprendere seduta stante il tipo di situazione che si sta delineando nel corso della deriva casuale.
Le prossime tre mappe mostrano:
1) il percorso totale semplificato (dopo l’applicazione del Algoritmo delle Mosse di Reidemeister);
2) le direzioni dei camminamenti necessarie per comprendere come l’UDA si “annoda”;
3) I nodi che emergono.

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Guarda la mappa ingrandita

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Guarda la mappa ingrandita

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Guarda la mappa ingrandita

Abbiamo colorato i camminamenti per semplificare la visione d’insieme. La tecnica utilizzata prevede che ad ogni incrocio il percorso cambi colore così da rendere più evidente i modi della generazione del nodo.
Qui un’animazione a slide del camminamento nell’UDA.

Prima di venire all’analisi dei nodi vale la pena soffermarsi su un’altra tecnica d’indagine utilizzata in questa ricognizione: l’Archeologia del sé (si veda l’atlante alla voce Cuspide) presupponendo di trovarci in presenza del giacimento di una Cuspide.
In questo caso, in realtà, il giacimento è emerso spontaneamente senza presupporne l’esistenza. Per giacimento (e anche cuspide) intendiamo un collettore di raccolta fisico o emozionale presente sul territorio.
Procedendo su via dell’Aquila Reale ci siamo fermati in prossimità di un “baretto” gestito da un indiano al di fuori del quale stazionavano chiacchierando degli autoctoni (la tappa è visibile anche sull’immagine della mappa del gps).
La sosta era motivata dal bisogno di reperire informazioni circa la torre che dà il nome al quartiere di Torre Maura.
Alla nostra richiesta d’informazioni il gruppo d’avventori ha gentilmente risposto offrendoci da bere dell’acqua; evidentemente sotto il sole di metà giornata della deriva causale dovevamo apparire provati.
Durante una ricognizione non va mai persa l’occasione di fare due chiacchiere con i locali in una sorta di “osservazione partecipante” ufociclistica.  Il gruppo, tra le altre cose, era evidentemente in vena da chiacchiere pre-pranzo e quindi molto disposto a sciorinare dettagli.
Accomodatici e accettato il dono d’acqua minerale abbiamo iniziato a guardare più attentamente i nostri ospiti. Quasi tutti, cosa di cui non ci eravamo accorti, ostentavano tatuaggi inneggianti al fascismo: chi più chi meno esplicitamente alla luce del sole. Affatto scoraggiati dal trovarci in tale pattume abbiamo iniziato a leggere la situazione osservandola come una cuspide (un sedimento) che da definizione è proprio un “retro-aggregatore” tanto fisico (ad esempio una fossa, o la valle di un’elevazione), che emozionale (una conventicola di fasci ad esempio).
Dopo alcune domande esplicite sui reperti archeologici della zona (Torre Maura è storicamente considerata un’importante zona archeologica anche se periferica rispetto a Roma centro) il gruppo è divenuto sospettoso. Sono iniziate le occhiate di squadramento atte a capire quali fossero le nostre reali intenzioni e motivazioni.
Dopo una serie di circonvenzioni linguistiche poco efficaci nel tentativo di riconquistare la fiducia del gruppo, siamo riusciti a piazzare miracolosamente l’elenco dei Sette Re di Roma recitati tutti d’un fiato partendo da Numa Pompilio. Tale manifestazione di cultura (delle elementari) ha sortito l’effetto sperato. Il gruppo stupito da tanto sapere si è infine autoconvinto che fossimo degli archeologi alla ricerca d’informazioni sulle torri d’avvistamento romane di cui torre Maura fa parte.
Un autoctono allora si è spinto oltre: convintosi della nostra professionalità ci ha mostrato, dal proprio cellulare, delle foto di reperti archeologici trovati in zona. Ci ha chiesto una sorta d’autenticazione e valutazione degli stessi. Ovviamente il nostro consiglio è stato quello di consegnare il tutto alla sopraintendenza per i beni archeologici. Chissà…
L’indiano gestore del bar intanto si era seduto con noi. Parlava un fluente l’italiano e mostrava una certa competenza in fatto di cose territoriali. Incuriosito dal nostro girare in cerca di “monumenti” periferici ci ha consigliato di visitare il Colosseo… effettivamente…
Di fatto tutta la conversazione è stato uno straordinario esempio di giacimento sedimentario di tipo archeologico (nel senso più stretto del termine).
Abbiamo ringraziato e ci siamo rimessi in marcia verso la torre.
In effetti la torre si trova oltrepassando il separatore di via Casilina nella zona limitrofa alla fermata della metro Torre Maura.
Eccola la torre (qui nella veduta aerea):

torre

Difficile stabile se si tratti di un tonal (vedi l’atlante UfoCiclista o il glossario on line); la sua posizione è estremamente periferica rispetto alla zona di Torre Maura e la sua collocazione del tutto isolata rispetto al resto del quartiere.
Torniamo però alla nostra UDA.
Una delle domande fatte agli autoctoni del baretto è stata quella circa i luoghi d’interesse o di aggregazione di quella parte del quartiere. Ci hanno indicato via delle Rondini come strada dei negozi più in vista della zona e la parrocchia di San Giovanni Leonardi.

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La suddetta parrocchia si trova proprio nel bel mezzo di uno dei nodi individuati. Spesso le parrocchie costituiscono dei tonal “deboli” in UDA che lo hanno perso per via di un totem d’incongruenza (vedi l’atlante UfoCiclista o il glossario on line) eccessivamente forte o per ragioni urbanistiche.
Nell’atlante UfoCiclistico abbiamo segnalato un’altra situazione simile; neanche a farlo apposta un’altra torre: Tor Sapienza.
Questo valore di “segnaposto” supplisce la mancanza di un tonal vero e proprio. Il fatto che degli autoctoni siano stati convergenti nel segnalarcelo e la sua collocazione (nel nodo) ci ha convinti che l’UDA potrebbe essere retta e alimentata nella sua compattezza da questo tonal debole.
In prima analisi muovendoci poco fuori dall’UDA abbiamo individuato un possibile totem d’incongruenza in via Enrico Giglioli:

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Si tratta di un complesso abitativo che non può non evocare un totem dalla forza disgregante (ma probabilmente si tratta semplicemente di una suggestione estetica) . A dire il vero si trova fuori dalla UDA che stiamo esaminando ma non così lontano da risultarne totalmente avulso. Comunque molto bello. Ci ricorda gli interni di un brutto film di fantascienza: 2013 la Fortezza. Brutto senza scampo.

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Nella mappa precedente la collocazione del sospetto totem (cerchiato) rispetto all’UDA.
Di fatto mentre per il tonal la collocazione all’interno dell’UDA pare essere condizione necessaria, il totem ha più gradi di libertà spaziali.
Quella del totem della UDA di Torre Maura resta però un’ipotesi.

La deriva casuale nell’UDA ha dato vita ad un camminamento di tipo trialettico (vedi l’atlante UfoCiclista).
Quello che segue è il modello ideale di questa conformazione:

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Il livello basilare (struttura semio-narrativa) di questo tipo di conformazione è il seguente: “percorso a triplice simmetria rotazionale. Raccoglie molti simboli ternari […] In questo camminamento ogni nodo può accogliere un omphalos o un attrattore” (vedi l’atlante UfoCiclista).
Per ciò che riguarda gli omphalos dovremmo addentrarci nell’analisi di possibili ley line (cosa che non abbiamo fatto in loco ma che forse faremo più avanti).
Per ciò che riguarda gli attrattori: “si tratta di tonal in potenza”. Da definizione quindi avremmo trovato un’interessante corrispondenza con il tonal debole di cui abbiamo parlato interpretato dalla parrocchia di San Giovanni Leonardi (il nodo centrale). Questa analisi ci dice poco sul tipo di UDA dovremmo infatti concentrarci sugli attributi del camminamento trialettico che nella fattispecie riguardano i gruppi archetipici ternari.
Prenderemo invece un’altra strada, quella della Teoria Cromatica degli Stati d’Animo utilizzando l’apposita tavola.
Tra ricognitori ci accordiamo sul gradiente 12. Ci riferiamo all’atlante per la collocazione cromatica: “Amaro: ambiance inquieta, tremebonda“. Il gradiente dodici è l’estremo superiore del suo cluster quindi tutti gli attributi dovrebbero apparire ben sedimentati e messi in evidenza.
Ancora una volta dobbiamo riferirci al tonal debole dell’UDA. Come tale esso presta il fianco agli attacchi del totem d’incongruenza qualunque esso sia. Una UDA retta da un segnaposto può di fatto apparire piuttosto instabile: diciamo sul chi va là. Si tratterebbe in sostanza di una UDA sotto attacco o la cui continuità e compattezza sono messe in discussione da un totem più forte del tonal. Prababilmente si tratta di una UDA in trasformazione e l’ipotesi non sarebbe così strana se si pensa che proprio adiacente all’UDA è da poco sorta la fermata Torre Maura della line C di Roma.
La creazione di un nuovo ramo della metropolitana con le sue relative stazioni porta sempre belle cose e mutamenti non facilmente prevedibili nelle zone interessate. Di fatto la stazione stessa potrebbe essere un totem o il tonal.
La comoda stazione della metropolitana “caduta” come manna dal cielo in una zona di Roma da sempre mal servita da mezzi pubblici inconsistenti potrebbe aprire un nuovo varco alla galoppante gentrificazione che sta interessando Roma sud/est. Forse certo non accadrà domani ma fino a 7/8 anni fa sarebbe stato impensabile che un quartiere vicinissimo come Centocelle sarebbe divenuto, da lì a poco, il nuovo obiettivo della trasformazione della città in vetrina della speculazione edilizia.
Sarebbe un gran peccato. Lo sarebbe in ogni caso ma ancor più perché Torre Maura, almeno paesagisticamente, ancora interpreta il ruolo di una città più a misura d’essere umano con varietà locali, architetture non asfissianti tipiche delle borgate e inattesi spazi verdi/marroni non colonizzati dalla cementificazione speculativa.
Purtroppo la mancanza di un tonal forte ci fa prevedere il peggio e la sensazione cromatica ce lo conferma. Man mano che scriviamo ci appare sempre più chiaro che il probabile totem d’incongruenza sia proprio l’adiacente stazione della metro C.
Comunque sia ciò ci conferma che l’UDA sta per cambiare e che il tonal debole che la caratterizza non potrà resistere alla forza di questi mutamenti.
Ci fermiamo qui con l’analisi dell’UDA riportandone le caratteristiche cromatiche sulla mappa.

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Come sempre il riferimento TCSD è relativo alla Tavola Cromatica degli Stati d’Animo.
Alla UDA di Torre Maura (nella stessa mappa) abbiamo affiancato la limitrofa UDA di Torre Spaccata già individuata e studiata in precedenza.
Prima di congedarci dal gruppetto d’autoctoni del baretto indiano questi ci hanno consigliato di vistare il Parco delle Rupicole.

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Accanto alla UDA di Torre Maura abbiamo evidenziato nel tratteggio il parco (qui la veduta aerea).

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Si tratta in effetti di un piccolo ma particolarissimo parco caratterizzato dalla presenza di più giardini:

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Il parco non è al momento manutenuto ma la commistione di diversi tipi di giardino è molto bella.

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Questo è, ad esempio, il giardino arabo.

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Ci sono anche delle belle tavole con animali e piante tipiche di quella zona.
Se vi capita di passarci fateci un salto e ci raccomandiamo: lasciate pulito!!!
Tutto molto bello. Ma vi prego manutenetelo!